Un Pot Pourry di aneddoti e detti roccaseccani

 

La stazione molto diversa

da come la vediamo oggi

 

Questa edizione dell’Eco comincia con una serie di piccole storielle e modi di dire raccolti da Ferdinando, Gianfranco e Franco Nardi; quest’ultimo ha pure fornito le due cartoline anni ‘50 che fungono da corredo a questa divertente paginetta.

 

Partiamo con una situazione vissuta da Ferdinando e Gianni Rossini durante il primo periodo di permanenza all’Università di Perugia. La storia ricorda molto da vicino quella avventura "Metro-Roccaseccana" vissuta a Torino e raccontata da Scienziato nel numero scorso dell’Eco.

I due baldanzosi giovinetti, freschi universitari, stavano godendosi i primi giorni di "indipendenza", lontani da casa, dalle famiglie, dai luoghi consueti e dalle abitudini consolidate. Passeggiavano per Corso Vannucci partecipando con grande interesse al cosiddetto "struscio", sentendosi ben lontani dalla natia Roccasecca. L’atmosfera era vivace ma non chiassosa, come se quella fiumana di persone si limitasse ad un sommesso chiacchiericcio, senza alzare i toni della voce. Ma ecco, ad un certo punto, improvvisa, imprevista e tonante, una voce che piomba sui presenti, facendo voltare tutti, meno i nostri due amici:

 

"Roccaseccà … Ve pòzzen’ accìde!"

Ferdinando e Gianni continuarono a camminare senza voltarsi, ma la voce li seguì, impietosa:

 

"Roccaseccà … ‘n’ ve manche girate!"

Al che i due, rossi di vergogna non poterono sottrarsi all’incontro e si voltarono. E la Voce:

 

"Roccaseccà … E finalmente!"

Era un "compaesano", venditore di automobili a tempo perso, che chissà come e chissà perché (forse stava contrattando un lotto di macchine targate PG) si trovava a passare lì proprio in quel momento.

Addio isolamento mentale, addio lontananza da casa, addio atmosfera vellutata: Roccasecca era tornata prepotentemente e li aveva riportati a casa, anzi, come si dice dalle nostre parti "alla casa"!

 

 

 

Ed ecco una serie di battute, riferite alle donne, anzi alle "femmene" raccolte davanti ad uno qualunque dei bar di Roccasecca:

 

"Ne so’ viste de puttane, ma mai comm’alle femmene"

"Se ‘na femmena cammina d’anca, se n’è puttana, poche ce manca"

"Alla fica ce nasce la fichecèlla" (come a dire "tale madre, tale figlia")

 

 

 

 

La stazione con la "littorina"

Il tipico romano in vacanza a Roccasecca prova a telefonare al tizio che deve venirgli a sistemare qualcosa a casa con una certa urgenza (i problemi capitano sempre di sabato pomeriggio o di domenica, n.d.r.). La conversazione che riferiamo, (realmente accaduta, solo il nome è di fantasia) è un classico esempio di come va questo genere di cose:

"Pronto, c’è Giovanni per favore?"

Risponde una giovane signora:

"Giuà, agliu telèfene!"

…. Silenzio …..

"Giuààààà, agliu telèfene! Addò staie?"

…. Ancora silenzio …..

"Ah, sta’ agliu bagne. Po’ richiamà tra cinghe minute?"

- " Va bene, buongiorno"

I cinque minuti roccaseccani alle volte corrispondono a cinque giorni!

 

E per finire un ultimo detto (in roccaseccano muttette):

 

"Chi se scallave campave, chi magnave crepave"

Letteralmente sarebbe "Chi si scaldò campò, chi mangiò morì". La morale è "E’ più importante scaldarsi che mangiare" ovvero "Se hai un soldino per comprare legna o per comprare da mangiare …"

 

Se siete a conoscenza di altri "muttette" inviateli, li pubblicheremo senz’altro, tenuto conto del fatto che riscuotono un enorme successo.

 UP.jpg (843 byte)