Le "Grandi" del Calcio:

Il BIVIO di Roccasecca

Negli ultimi anni, grazie alla testimonianza di uno dei protagonisti, tra l’altro tuttora in attività, ossia Ferdinando Vicini, che ha scavato nella memoria per riportare alla luce le formazioni del Bivio di Roccasecca di circa vent’anni fa. Le due fotografie a corredo sono state prelevate dagli immensi archivi della Franco Nardi Communications.

 

BIVIO 1977-78: Da sinistra, in piedi: De Carolis Nino (Presidente), Santarpia S., Vicini, Torriero, Di Ruzza L., Rampini, Testa, Santarpia C. (dirigente accompagnatore); fila in basso, da sinistra: Santarpia G. (mascotte), Di Rollo, Mollo, Vesqui, Riccardi F., Di Ruzza C. (non presente: Fiore)

 

 

 

La prima formazione che andiamo a rievocare è quella del 1977-78. Le due cariche più alte erano detenute da due "padri" di futuri giocatori celebri: presidente era infatti Nino De Carolis (padre dell’attuale attaccante della Turris, Tommaso De Carolis detto "Battaglin", di cui l’Eco ha già scritto mesi addietro); allenatore era Valerio Giannichedda, padre di Giuliano, poderoso centrocampista dell’Udinese e dell’ultima Nazionale italiana allenata dal leggendario Zoff.

In porta si esibiva l’atletico Pasquale Vasqui, (agente di custodia), classe 1959; sulla fascia destra, come terzino, operava l’arrembante Fernando Riccardi (classe 1958), divenuto più celebre successivamente grazie alle sue notevoli ricerche storiche, ora anche graditissimo collaboratore dell’Eco di Roccasecca; con il numero 3, terzino fluidificante di sinistra, veniva schierato l’imprevedibile Diodato Rampini (1953), operatore ecologico; stopper non poteva essere altri che il granitico corazziere Sergio Rocco Torriero, classe di ferro 1947, tuttora in attività, in seguito anche apprezzatissimo pediatra; ad un altro collaudato difensore era affidata la maglia numero 6, quella del libero, il classico Claudio Di Ruzza che già all’epoca aveva superato la trentina (è del 1946); a centrocampo giostravano il mediano Licinio Di Ruzza, ex-arbitro, nonché meccanico, il sottoscritto Ferdinando Vicini (1958), centrocampista di regia, ed il tecnico ancorché irascibile Tommaso Testa, di professione ferroviere, classe 1957; sull’ala destra si esibiva l’oggetto misterioso Giovanni Fiore, operaio, che in realtà giocò pochissimo, mentre sulla sinistra caracollava lo scattante Mollo (1961, recentemente scomparso) detto "Sputnìkke" per la sua velocità; completava il modulo (un 1-3-3-2-1, come si scriverebbe oggi) l’attaccante Aldo Di Rollo, punta centrale di provata esperienza, classe 1947, proveniente dal mitico Roccasecca anni ‘60; come prima riserva, l’allora numero "13", siedeva in panchina Salvatore Santarpia, il cui cugino Carletto fungeva da dirigente accompagnatore, mentre il piccolo figlio, Giuseppe, era la mascotte della squadra.

 

 

 

BIVIO 1982-83: Da sinistra, in piedi: Meta, Malnati, Cocco, Vicini, Torriero, Nardone; fila in basso, da sinistra: Fratini, Riccardi F., Papale, Di Ruzza M. (allenatore-giocatore), Marciano.

 

Ecco ora i quadri del Bivio versione 1982-83, una formazione che ha utilizzato un modulo ultra difensivo, ben congegnato dall’allenatore-giocatore Massimino Di Ruzza, precursore di Vialli, che è stato anche l’unico, prima ancora di Lombardo (Crystal Palace e Lazio) a diventare allenatore-giocatore e poi di nuovo solo giocatore (è tuttora in attività con la Real Marsella).

Portiere era il mitico Antonio Meta, dal fisico possente, ferroviere, classe 1955; come terzini venivano schierati a destra l’operaio Franco Nardone (1957) ruvido ed essenziale ed a sinistra il confermatissimo Fernando Riccardi (classe 1958) che rispetto al precedente "Bivio" aveva soltanto cambiato fascia; a stopper c’era ancora il trentasettenne Sergio Rocco Torriero, mentre a libero era subentrato l’altro operaio Franco Cocco, molto tecnico anche se un po’ indolente, del 1962; mediano era il settepolmoni Claudio Malnati (1956); con il numero 8 dettava i ritmi sempre il sottoscritto, Ferdinando Vicini (1958), mentre con l’11 sulle spalle, ma centrocampista di fatto, scorrazzava il dinamico Benito Fratini, operaio, anche lui del 1958; un po’ più avanti, si fa per dire, era posizionato il classico Pino Papale (1963), al cui fianco, in posizione di mezza punta, giostrava l’allenatore-giocatore Massimino Di Ruzza; chiudeva l’undici, con funzioni di interno avanzato (non proprio una punta, ma un classico alla Van Himst, o alla Roberto Baggio, se preferite) il sindacalista Rolando Marciano (1953). Il modulo del Di Ruzza, fedele allievo di Tommasino Sacco, risulta abbastanza evidente: è un 4-4-1-1 ad essere buoni, o meglio un 4-5-1-0 nelle trasferte più impegnative.

Gli aneddoti legati al periodo del "Bivio" sono tantissimi; noi proveremo a ricordarne qualcuno tra i più particolari.

Ricordiamo che il sottoscritto, all’epoca, era universitario a Perugia, giocava nell’Olimpia Fermi di quella città ed era quindi tesserato nell’ambito della Regione Umbria. Nonostante ciò, quando veniva a Roccasecca, era tranquillamente convocato per le partite del "Bivio", pur non essendo, ovviamente, tesserato anche per la Regione Lazio. In una di queste occasioni, partecipando ad un epico scontro in casa del Piedimonte, primo in classifica, proprio Vicini segna il gol della vittoria (1-0), scatenando le proteste degli avversari che vedono poco chiaro nella presenza di questo "recuperato" nella formazione avversaria. Purtroppo per loro i vari ricorsi non vanno a buon fine, almeno in termini di recupero dei due punti (per loro essenziali), in quanto la lentissima burocrazia non viene a capo dell’inghippo, e l’unica conseguenza che si becca il Vicini è un breve periodo di squalifica non per doppio tesseramento, ma per mancato tesseramento, punizione risibile dal momento che nel frattempo era ripartito per le Umbrie.

Come non rammentare poi la doppia figura del Sergio Torriero in veste di rude stopper e di dottore? Molto spesso egli doveva sfruttare le sue capacità professionali per rimettere in sesto in qualche modo i centroattacchi avversari da lui stesso brutalizzati!

Altra "perla" di aneddoto è senza ombra di dubbio l’episodio del calcio di rigore contro Pastena. Il rigorista era il sottoscritto, ma in quella occasione volle battere a tutti costi Salvatore. Prese la rincorsa di lato, come usava fare allora qualche giocatore di serie A tipo Chiarugi,. Ma lui calciò con violenza senza cambiare direzione, "dritto per dritto" come si suol dire, colpendo la bandierina del calcio d’angolo!!! L’arbitro, in preda a convulsioni per il ridere, lo abbracciò quasi in lacrime e disse: "Ecco perché vale la pena fare l’arbitro a questi livelli!" E, rivolto a noi, increduli: "Dovrei farlo ripetere perché il portiere si è mosso prima, ma non posso rovinare un simile capolavoro!". Pensate se all’epoca fosse già esistito "Mai dire gol!".

Che dire poi di quel giocatore che spesso arrivava al campo semi ubriaco? Non facciamo nomi, certo, ma possiamo ricordare come l’allenatore, prima di consegnargli la maglia, gli abbassasse le palpebre per guardarlo negli occhi e constatare il grado di ubriachezza!

 

Concludiamo questa scorribanda sul calcio roccaseccano riproponendo, a grande richiesta, due episodi già pubblicati sull’Eco n. 4 del 1996, ma entrati a far parte della leggenda.

Il primo riguarda Tommasino Sacco, qui più volte menzionato come allenatore del Roccasecca, ovviamente in epoca precedente al "Bivio" di cui abbiamo scritto. Gli aneddoti in questione videro come protagonista un Ferdinando Vicini calciatore agli inizi della carriera, proprio con Tommasino Sacco allenatore. Costui non era proprio quello che si dice un mister innovativo, non seguiva le mode olandeggianti, non prendeva neanche in considerazione ipotesi quali "difesa in linea", "pressing a tutto campo", "difensori e centrocampisti disposti a zona", "ripartenze", etc. Considerava queste concezioni calcistiche aberranti, anormali, devianti, addirittura aliene. Lui era per una difesa a 9, rigorosamente a uomo, rottura dell’impostazione di gioco dell’avversario, rilanci lunghi su Franco Rossini e speranza di fare un gol, altrimenti pazienza, va bene lo 0-0.

 

 

Ai suoi occhi Trapattoni attuava una tattica dissennata e troppo rischiosa! Viceversa, all’epoca, Ferdinando era totalmente pervaso di grande entusiasmo e trasporto nei confronti delle nuove filosofie calcistiche, orientate su un gioco corale, votato all’attacco, che puntava non tanto a non subire gol, quanto a realizzarne uno in più dell’avversario. Il nostro eroe sognava il numero 9 dietro la schiena, alla Bobby Charlton, alla Cruyff, alla Augusto Scala, alla Casarsa, per intenderci; non un centravanti puro, ma un attaccante-boa, tecnicamente dotato, che smistava palloni invitanti alle due (!!!) punte e su tutto il fronte dell’attacco. Quale non fu la delusione quando si ritrovò con una maglietta n. 6, e, ancora peggio, con l’unica prerogativa di spezzare (in tutti i sensi) il gioco altrui e rilanciare il più lontano possibile in avanti il pallone!

 

Il primo episodio si riferisce ad un "derby" tra le due società di Roccasecca ("di sopra" e "di sotto", ovvero Alta e Scalo), che vedeva la squadra di Ferdinando soccombere per 0-1 a pochi minuti dalla fine. Sull’ultimo calcio d’angolo a proprio favore, Ferdinando, contravvenendo a tutte le disposizioni dell’allenatore, si spinge in avanti, e, raccogliendo con un perentorio colpo di testa il cross proveniente dalla bandierina, insacca il goal dell’insperato pareggio all’89’! L’autore della rete corre inseguito dai compagni festanti, e dallo stesso allenatore. Pensa che anche il "mister" voglia abbracciarlo, ma questi invece gli urla:

"Mò, come t’arriva la palla, piglia la mira e falla arrivà alla casa di Salvatore Santarpia!"

(nella foto del "Bivio 1982-83" detta casa è visibile, sullo sfondo)

 

Il secondo fatto, o sarebbe meglio dire "misfatto" di Ferdinando, ebbe luogo durante un’altra mitica partita, sul risultato di 0-0. Ferdinando, venendo meno a tutte le consegne tattiche ricevute, si spinse verso il centrocampo e, malauguratamente, perse palla, gli avversari si involarono in attacco ed andarono in gol. La partita fu persa e Ferdinando rimuginò per due giorni il discorso da fare al mister, alla ripresa degli allenamenti del martedì, sui motivi che avevano portato la squadra a subire inopinatamente quel gol. Già pensava ad argomentazioni che riguardassero il mancato "filtro" a centrocampo, l’inadeguata "copertura" dei mediani mentre lui avanzava, l’imprevedibile e fortunoso rilancio avversario e così via. La squadra si ritrovò dunque negli spogliatoi e Ferdinando si apprestava a prendere la parola per perorare la sua linea difensiva, quando Tommasino Sacco, guardandolo fisso negli occhi e lasciando perdere ogni altro preambolo, lo apostrofò così:

 

"Mò tu m’adda dì: che cazze si ite a fà innànze?"

 

Altro che "scuole calcistiche" di svariate provenienze! Questa fu soprattutto una "scuola di vita". E pensiamo che rileggendo queste pagine molti di voi si ritroveranno come d’incanto in quell’atmosfera fatta di spogliatoi fatiscenti, campi polverosi, magliette scolorite e rigorosamente non-firmate, l’appello dell’arbitro al quale spesso si rispondeva con nomi inventati per l’occasione.

 

F.V.

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