L’Eco di
Roccasecca presenta ai suoi lettori un’altra iniziativa
dedicata ai luoghi e alle tradizioni popolari della Ciociaria.
Abbiamo raccolto una serie di articoli narrati in prima persona,
che descrivono esperienze di viaggio in paesi ciociari. Per la
maggior parte sono testi molto vecchi, ma non escludiamo di
aggiungerne di più recenti. Pensiamo che sia un modo per
confrontare diverse realtà e diversi momenti storici della
nostra zona. Se qualche lettore volesse inviarci la sua
"gita in Ciociaria", la prenderemmo senz’altro in
considerazione.
Su un vecchia
e polverosa, ma interessantissima rivista (La Tribuna del
25/8/1897), abbiamo trovato un breve racconto scritto da Angelo
Conti, in cui descrive una visita nella Boville dell’epoca. Un
affresco di una realtà che nei secoli è sì cambiata, ma ha
mantenuto ugualmente alcuni aspetti sia nel paesaggio che in
alcune radicate tradizioni popolari.
Antico centro
degli Ernici, subì l’occupazione dei Volsci, fu elevato a
Municipio romano, e distrutto successivamente dai Saraceni (IX
sec.)e dagli Ungari (939). Fu ricostruito con il nome di Babucus
o Bauco (che rimanda al culto agricolo dedicato al Dio Bove,
simbolo della fertilità), denominazione che conservò fino al
1907, anno in cui riprese l’antico nome di Boville Ernica.
Da Arpino all’Anitrella,
breve è la strada; grande è la differenza del paesaggio, e
più lieta e fresca è l’aria che si respira. Io ho
traversato, allegro, la piccola valle ubertosa, quasi
benedicendo il mezzo che doveva portarmi sulle montagne degli
Ernici. Boville, la mèta della mia escursione, mi sorrideva
già dall’altura lontana, illuminata dai primi raggi del sole,
e i pioppi lungo il Liri e le querce delle vicine collinette
sembravano salutarmi e darmi il benvenuto. Boville Ernica è
costruita sopra un’alta montagna isolata, in mezzo ad una
estesissima campagna, ed è cinta da mura, alle quali, a brevi
intervalli, stanno addossate piccole torri rotonde. Il paesello
è un labirinto di stradicciuole pulite, in fondo alle quali si
vedono ad ora ad ora i monti azzurri lontani. Non mancano i
palazzi signorili, alcuni dei quali d’architettura del secolo
decimosesto. Fra questi il palazzo Filonardi, con finestre di
stile purissimo e un portone del Vignola; e, nell’interno, con
una gran sala adorna di un camino medioevale, bellissimo. C’è
finanche, in una stradetta che conduce al municipio, una casa
bizantina costruita con eleganza, direi quasi armoniosa, di
linee. Gli abitanti nati a Boville vanno quasi tutti a lavorare
i campi, lasciando così il paese, il quale, a quel che m’han
detto, ha, nell’inverno, un aspetto un po’ squallido. Ma
nell’estate, recandovisi a villeggiare non poche famiglie, in
maggioranza romane, Boville acquista, per la presenza di
eleganti e leggiadre signore, vita nuova, e diviene soggiorno
delizioso.
Io giunsi a
Boville il giorno della festa di San Rocco, un Santo al quale
gli abitanti sono singolarmente affezionati. Desiderosissimo di
vedere tutto da vicino, ebbi la fortuna di arrivare in tempo
alla benedizione data dal vescovo di Veroli alle genti
inginocchiate e dimostranti. Finito infatti l’ultimo gesto
della mano benedicente, si levò un lungo e forte grido di
evviva, col quale i Bovillesi sono soliti esprimere il loro
entusiasmo religioso. Fu una vera dimostrazione. Poi, uscendo
dalla porta principale della chiesa, la processione cominciò
lentamente a sfilare. Precedeva la banda municipale; quindi una
doppia fila di uomini portanti un Cristo crocifisso; poi una
confraternita con le cappe rosse, quindi una schiera di ragazze
votate al Signore. Poi un’altra confraternita con le cappe
azzurre, e infine, dinanzi alla statua del Santo, in doppia
fila, le suore di Santa Teresa, con un mantello bianco sulle
spalle, con bianche bende intorno alla fronte, col viso bianco e
pio: un poema di candore. Finalmente apparve la figura di San
Rocco, un santo scolpito in legno con un cane ai piedi portante
la mistica pagnotta. Seguivano i signori della giunta comunale,
disposti in processione dopo la statua del santo e poi una
interminabile folla di contadini, donne, la maggior parte belle
e giovani; le quali per la via saliente verso l’interno del
paese formavano un grande assiepamento di teste coperte di
bianco, di un effetto bellissimo.
Ho anche
veduta, nella chiesa di San Pietro Ispano, costruita nel cortile
medesimo del Palazzo Filonardi, una importantissima opera d’arte.
E’ un angelo di mosaico, eseguito da Giotto, cui fu commesso
in Roma da Bonifacio VIII: E’ dello stesso stile della famosa
navicella di San Pietro, di purissimo disegno, dall’espressione
femminilmente gentile. Un’antica iscrizione latina postavi
accanto è prova sicura dell’autenticità di quel lavoro.
E poi ho
trovato un’altra cosa, forse molto più importante di questa;
ed è il muro di cinta della antichissima Bovillae, una città
piccola, ma che dette molto da fare a Coriolano, il quale, a
quel che sembra, assalitala con un esercito regolare, fu più
volte respinto giù per il declivio. Il quale declivio io ho
voluto visitare, poco curando la via lunga, ripida e sassosa, e
il caldo intensissimo. Le mura di cinta sono costruzione
pelasgica del secondo periodo.
Ho cercato
anche, ma inutilmente, i ruderi d’un anfiteatro, i quali, a
quel che m’ha detto un dotto prete di Boville, è posto in
quella medesima cinta pelasgica.
Ma una delle
cose più belle di Boville è la profondità del cielo che si
vede da questa altura. E bello è l’orizzonte con le montagne
lontane. Dalla passeggiata che corre intorno al paese, si
scoprono nientemeno che settantadue paesi, quali sui monti e
quali sulla pianura. E’ un panorama immenso, grandioso,
indimenticabile.
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