Anedddoti Roccaseccani di Mario Izzi (1)

L’amico Mario Izzi continua a rifornirci (tramite Vincenzo, la cui bottega sembra sempre più un "Eco Post Office") di ricca ed interessantissima documentazione in dialetto roccaseccano.

Riguardo l’ultima fatica pubblicata da Izzi, vi rimandiamo alla recensione di pagina 18, mentre qui ci soffermiamo sul volumetto "Aneddoti Roccaseccani" (Bologna, 1995) che ci è stato consegnato durante l’ultima nostra brevissima visita a Roccasecca (25 settembre u.s.) e di cui già vi vogliamo proporre qualche spezzone. Gli aneddoti in questione si riferiscono a personaggi realmente esistiti: Angele Mucch’lone, Dun Foleche, Zì Unnarde, Tumase Parlavane, Dun Antonie, le "Comparse" ed altri brevi episodi raccontati nell’ultimo capitolo, intitolato "Humour". Noi cominceremo proprio da quest’ultima sezione, per motivi di spazio, lasciando alle prossime edizioni i gustosissimi personaggi summenzionati.

Nella sua introduzione, l’autore pone l’accento sull’importanza del dialetto nella storia e nella cultura di un popolo, e ricorda che "già Frontone, letterato del II° sec. D.C. e maestro di Marco Aurelio e Lucio Vero – figli adottivi dell’imperatore Antonino Pio – credeva in un tipo di letteratura che aderisse alla lingua parlata del popolo. Così facendo, notava, è come ridar vita ad una pianta, smuovendo la terra attorno alle sue radici".

La parola aneddoto viene dal greco anekdotos (an privativo e il verbo ekdidvmi = io pubblico) e si riferisce ad un fatterello poco noto e caratteristico che può riguardare un determinato periodo storico, un personaggio o un evento importante. Gli aneddoti presentati "sono stati raccolti dalla viva voce dei compaesani e integrati dai ricordi personali … il tutto come significativa espressione di una cultura contadina vivace, civile, secolare. C’è stata, forse, negli episodi che seguono, qualche aggiunta, apportata nel corso degli anni dall’estro degli affabulatori, i quali hanno cercato di supplire ai vuoti di memoria o di arricchire comunque l’esposizione. La sostanza, nei casi in cui ciò è avvenuto, è rimasta tuttavia integra ed in qualche caso può essersi giovata dell’occasionale inventiva, sempre in linea con lo scopo di riferire il fatto o la storiella, quale segno e prova di credenze e comportamenti passati, peraltro comuni alle aggregazioni territoriali contigue".

Nelle "Avvertenze" l’autore scrive che "si noteranno parole scritte in modo diverso nello stesso contesto pur avendo il medesimo significato. Lo si è fatto per lasciare traccia della diversità espressiva, spesso contemporanea a luoghi distinti dello stesso territorio. Così "fenisce" e "fernisce", "cumència" e "cumènza" ecc… o si è privilegiato l’ambito contadino (es. "oja" anziché "oje" o "ogge", "craje" e non "addumane" "maddumane" e non "stammatina" ecc.) … al fine di accentuare la originaria matrice del nostro comune parlare, così come esso è venuto affermandosi nel corso dei secoli sia nel territorio che nel tessuto sociale ivi esistente.

Il rischio di non capirsi si presenta, ma è un rischio calcolato, come si è detto, che ‘diabolicamente’ si è voluto correre, nella consapevolezza del fine che pure in questa occasione si è inteso perseguire: quello di salvare per quanto è possibile del nostro passato e del nostro presente, nella pericolosa prospettiva di un futuro che certamente sarebbe vuoto, anonimo, asettico se non fosse segnato dalle tracce di ciò che siamo e di ciò che siamo stati"

Ecco dunque un primo brevissimo assaggio delle storielline presentate da Mario Izzi.

 

La cunetta

Nu uttantenne tè de pruprietà ‘na cunetta agliu cimitere vecchie, ma è a nord, all’ombra, allu fridde. Mò ca stave a fa gliu cimitere nove, allarghènne gliu vecchie, se n’è prunutata ‘n àveta ca guarda a sud, agliu sole. Va ‘n cantiere, nu jorne, p’ vedè comme vave gli lavure, i s’accorge ca gli murature stave nu poche arretrate. Pe’ sullecitarèglie, dice a nu manuale che ‘ncontra: "Uè, sbrigàteve, ca ie so’ vecchie, i me serve – e aggiogne, guardènne gliu sole – ‘n’espusizzione adatta".

Po’, addulurate, tenènnese appuggiate agliu bastone, burbuttènne i come se duesse giustificà cu cachedune gliu desiderie seie, parlènne sule, dice: "Cu ‘sti reumatisme, l’artrosi cirvicale i ‘sta sciatica ca me retrove, sai che delizzia, a nord!"

 

 

 

 

Panurama

Du’ cumpare, sittantenne, passìane p’ la piana della stazzione, i videne le tante case nove, le belle strade larghe, le piazze, le villette, gli negozzie.

Cumpiaciute da ‘na parte, ma scunzulate dall’aveta, une dice: "Nen se recanosce cchiù niente a parenzia de comm’era cinquant’anne fa. Chi le sa come sarau beglie tra ‘n avite i cinquanta … Me piaciarìa de revederèglie, allora…".

Gl’atu cumpare, pe farigli curaggie, gli fa usservà, addivertite: "Cumpà, nen te la prenne ca dall’àvete se vede tutte, i pure meglie!".

 

 

 

 

Veduta di Roccasecca