La battaglia di Montecassino
di Gianni Sarro
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PROLOGO
Il primo settembre del 1939 la Germania invadeva la Polonia: era l’atto conclusivo di una strategia politico – militare inaugurata dai tedeschi nel 1933, anno della presa del potere da parte di Adolf Hitler, mirante a trascinare l’Europa sotto il dominio nazista. A fianco dell’alleato germanico l’Italia di Mussolini entrò in guerra circa un anno dopo: il 10 giugno del 1940. La guerra dell’Italia fascista durò poco più di tre anni, fu segnata da cocenti sconfitte in Grecia, Africa e dalla tragica spedizione dell’ A.R.M.I.R. in U.R.S.S. La situazione precipitò con lo sbarco alleato del 10 luglio 1943 in Sicilia a cui fece seguito la destituzione da parte del Gran Consiglio del fascismo e l’arresto ( quest’ultimo voluto dal Re) di Mussolini il 25 luglio. Infine, l’8 settembre veniva reso noto l’armistizio con gli alleati firmato tre giorni prima, il 5, dal maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, nuovo primo ministro. Ed è all'indomani della firma dell’armistizio che iniziò la vera tragedia della guerra per la popolazione civile italiana: l’esercito si dissolse e il Re con il governo fuggirono a Brindisi. I Tedeschi impiegarono pochi giorni a impossessarsi del controllo della penisola, dalle Alpi a Napoli, non ancora liberata dagli alleati. I due anni che seguiranno saranno durissimi, nulla sarà risparmiato agli Italiani: da un lato i bombardamenti a tappeto da parte degli anglo – americani, dall’altro l’occupazione feroce dei Tedeschi, costellata di eccidi, rastrellamenti, privazioni di ogni tipo.
Il FRONTE SI FORMA A CASSINO
Una delle storie più tremende della guerra in Italia la visse Cassino e tutta la Ciociaria, completamente sconvolte dai sanguinosissimi combattimenti tra gli Alleati e i Tedeschi. Gli alleati il 9 settembre del 1943 sbarcarono a Salerno. Il 10 settembre iniziava il primo bombardamento su Cassino, che rimarrà sotto le bombe degli aerei e dell’artiglieria per 8 mesi quando verrà liberata dagli alleati, ormai ridotta a un cumulo di macerie. I tedeschi fecero sfollare Cassino, per prepararvi meglio la loro difesa. In questa fase la parte del leone la fece la R.A.F., l’aviazione inglese, che era padrona assoluta dei cieli italiani. La popolazione non intuì che stava per iniziare un lungo calvario: il 28 settembre, mentre Napoli stava per essere liberata, su Cassino si abbatté uno dei più violenti bombardamenti della guerra. Quel giorno i Tedeschi avevano rastrellato una sessantina di civili e li avevano portati alla stazione ferroviaria a scaricare fusti di benzina: appena videro le formazioni dei bombardieri alleati comparire nel cielo, i soldati scapparono in alcuni depositi da dove tenevano sotto tiro con i loro fucili i civili, i quali rimasti immobili sotto il bombardamento morirono quasi tutti; solo sei o sette di loro si salvarono.
Intanto l’8 settembre, dopo l’annuncio dell’armistizio, i tedeschi avevano preso il controllo della città, quasi senza trovare resistenza, se non a porta S. Paolo. Hitler decise di affidare il comando delle armate del Sud- Ovest a Kesselring. Questa nomina avvenne il 21 novembre del 1943 e fu una grande sorpresa: infatti fino all’ultimo momento questo incarico sembrava dover essere ad appannaggio di Erwin Rommel. Cosa era successo? Pare che quest’ultimo fosse convinto della necessità, per i Tedeschi, di abbandonare il sud Italia e attestarsi nel nord, per proteggere meglio i confini del Reich. Kesselring da parte sua aveva il gran merito di aver saputo far sganciare il grosso delle truppe tedesche dalla Sicilia e portarle in salvo, dopo lo sbarco alleato sull’isola. Inoltre era molto abile nella strategia della guerra di posizione e di logoramento: assicurava quindi a Hitler quello che lui voleva, vale a dire fermare al più presto l’avanzata degli alleati, tenendoli bloccati il più a lungo possibile nel sud della penisola, in attesa di tempi migliori per i Tedeschi. Infine era stato sempre Kesselring a prendere velocemente il controllo di Roma. Uno dei primi ordini impartiti da Kesselring, quando ancora non era stato nominato comandante, fu quello di resistere sulla linea del Volturno fino al 15 ottobre agli attacchi della Vª Armata alleata: questo per avere il tempo di completare la linea Gustav, che sarebbe dovuta essere il perno inespugnabile della linea di difesa tedesca. Il motivo della decisione dei Tedeschi di attestare il fronte intorno a Cassino va ricercato nella conformazione del territorio che va da Roma a Napoli, la cui natura è caratterizzata da una serie di rilievi valicabili soltanto attraversando strette strisce di terra. All’epoca l’ unica strada interna atta al passaggio di truppe motorizzate era la statale n°6 ovvero la Casilina e Monte Cassino era la vera chiave di accesso per Roma. Lì infatti la valle del fiume Rapido forma un angolo retto con la valle del Liri e consente a chi ne avesse tenuto il possesso di dominare entrambe le valli per chilometri, quindi tenere Monte Cassino significava controllare la via Casilina. I tedeschi avevano trasformato il monte e tutta la zona circostante in un immenso bunker, disseminando ovunque postazioni di cannoni, piazzole per nidi di mitragliatrici, ricoveri in caverna e campi minati lungo le rive dei fiumi e i fianchi del rilievo montuoso. Infine non va dimenticato che questo è il punto più stretto della penisola tra il Tirreno e l’Adriatico: i tedeschi quindi decisero di costruire tre linee difensive parallele, distanti 12 – 18 km l’una dall’altra:
1. la linea REINHARD che andava dalla foce del Garigliano fino all’Adriatico sul fiume Sangro;
2. la linea GUSTAV lungo il corso dei fiumi Liri e Garigliano
3. la linea SENGER – RIEGEL ( meglio nota come Hitler) che correva sulla direttrice Pontecorvo – Aquino – Piedimonte San Germano.
La battaglia di Cassino fu una delle più sanguinose e dure che si svolse nel teatro di guerra europeo. Gli alleati impiegarono otto mesi, dai primi bombardamenti su Cassino del settembre ’43 fino all’ultima offensiva del maggio ’44, per sfondare le linee tedesche. Il 22 gennaio 1944 gli alleati effettuarono anche uno sbarco ad Anzio, ma non seppero approfittare del momentaneo sbandamento dei Tedeschi, finendo impantanati anche sul litorale laziale. Quando all’inizio di gennaio del ’44 gli alleati sferrarono la prima possente offensiva contro i Tedeschi, i due eserciti si fronteggiavano così schierati:
-ALLEATI-
a) 5° Armata al comando del Generale Mark Clark
·
X C.A. britannico sul Garigliano;·
II C.A. americano sul Rapido dinanzi alla piana del Liri, a Cassino e a Caira;·
Corpo di spedizione francese ( formata da contingenti di soldati marocchini e algerini) sull’alto Rapido e in corrispondenza della valle del Rio Secco;·
VI C.A. (formata in prevalenza da divisioni americane e britanniche) nelle zone di Salerno e Napoli;·
La riserva d’armata, in cui era presente anche un raggruppamento motorizzato del collassato esercito italiano.
b) 8° armata al comando di Sir Oliver Leese
·
XXXI C.A. (formata da divisioni britanniche e indiane) sull’alta e media valle del Sangro;·
V C.A. ( paracadutisti canadesi e contingenti indiani) nella bassa valle del Sangro;
·
Riserva d’Armata formata dalla 2° divisione neozelandese.
c) Riserva generale
·
I C.A. canadese, 3° divisione ftr. polacca carpatica.
tedeschi
a) 10° armata sul fronte Garigliano – Cassino – Sangro
XIV C.A., formato da contingenti corazzati, di fanteria e da montagna , tra il Garigliano e l’alto Rapido;
LXXVI C.A., formato da gruppi alpini, di fanteria semplice e paracadutisti, nella valle del Sangro.
LE TRE BATTAGLIE DI Cassino
Dopo aver martellato con i bombardamenti la zona di Cassino per quasi quattro mesi, gli alleati decisero che era giunto il momento di sferrare l’attacco con le truppe terrestri, per sfondare le linee tedesche e arrivare finalmente a Roma. Qui va fatta subito una precisione sulla numerazione delle battaglie per la presa di Cassino: per i tedeschi furono tre, infatti subirono tre attacchi da parte alleata a partire dall’inizio del 1944, il primo dal 17 gennaio al 18 febbraio, il secondo dal 15 al 23 marzo e il terzo e decisivo dall’ 11 al 20 maggio. Per gli Alleati, invece, le battaglie sono quattro: infatti suddividono in due distinte battaglie quella dal 17 gennaio al 18 febbraio. Questo perché mentre dal 17 gennaio al 7 febbraio furono le truppe Anglo – Americane della Vª armata a combattere i Tedeschi, dall’ 8 febbraio andò a combattere a Cassino l’VIIIª del gen. Freyberg composta da soldati Neozelandesi e Indiani. Abbiamo adottato la numerazione tedesca evidentemente non per simpatia, ma perché nell’attacco sferrato dagli Alleati nel periodo gennaio febbraio non ci fu una soluzione di continuità dell’offensiva, ma piuttosto un’ avvicendamento di truppe tra le loro fila : appare quindi congruo parlare di te battaglie di Cassino.
LA PRIMA BATTAGLIA (17 gennaio – 7 febbraio)
- Il primo attacco alla fortezza naturale di Cassino venne sferrato alle 9 di sera del 17 gennaio dal X corpo d’armata britannico insieme al II corpo d’armata americano: la forza d’urto dell’offensiva alleata fu così forte che il 18 si profilò il crollo di tutto il fronte di Cassino. Per parare il colpo il feldmaresciallo Kesselring richiamò in tutta fretta buona parte delle sue riserve a contrapporsi agli Angloamericani. Furono quindi richiamate due divisioni di Panzer Grenadier ( la 29ª e la 90ª) e alcuni contingenti della Divisione Herman Göring che riuscirono a respingere l’offensiva. La prima battaglia per la conquista di Cassino entrò nel vivo il 20, quando la 36ª divisione americana attaccò i Tedeschi cercando di guadare il fiume Rapido: l’offensiva fu un sanguinoso fallimento e i due reggimenti di punta furono quasi annientati. Le perdite della 36ª divisione furono così ingenti da essere considerato uno dei maggiori disastri per l’esercito americano dopo l’assalto subito dai Giapponesi a Pearl Harbour. Nel frattempo il 22 gli alleati diedero inizio all’operazione Shingle (tegola di legno), e cioè allo sbarco di Anzio. Lo scopo di Shingle fu quello di tagliare le principali linee di comunicazione dei tedeschi nei Colli Albani e di colpire alle spalle il 14° corpo d’armata tedesco. Lo sbarco del 6° corpo d’armata del Generale Lucas tecnicamente riuscì, ma quello che per Churchill doveva essere un "gatto selvatico" divenne, (usando sempre le parole del primo ministro britannico) "una balena arenata". Successe infatti che i tedeschi ancora una volta reagirono con una prontezza impressionante, e pur disponendo di meno soldati e meno materiali andarono vicinissimi a ributtare in mare gli Alleati. Questo comportò che anziché essere aiutati dal 6° corpo le forze di Mark Clark dovettero sferrare un nuovo attacco alla linea Gustav, questa volta da nord di Cassino, per evitare l’annientamento della testa di ponte di Anzio. Così il 24 gennaio la 34ª divisione americana, appoggiata sul suo fianco dal corpo di spedizione francese (formato per lo più da effettivi marocchini e algerini) attaccò nuovamente Cassino, cercando di penetrarvi da nord est. I Tedeschi resistettero per una settimana, e solo il 29 gli Alleati riuscirono a occupare il villaggio di Cairo. Per un attimo sembrò che la strada aperta dai Francesi del gen. Juin potesse servire per puntare su Piedimonte San Germano e Roccasecca, invece il 142° reggimento del gen. Ryder ripiegò verso sud, direzione Monte Cassino. Questo perché gli Americani nutrivano una sorte di ossessione nei confronti di Cassino e del suo monte, peraltro strategicamente giustificabilissima come abbiamo visto precedentemente, ma in questo caso non capirono che i Tedeschi per ora inespugnabili frontalmente (e cioè da Cassino) avevano aperto un varco sul proprio fianco, che, se sfruttato, avrebbe rappresentato un vero cavallo di Troia. Ma gli americani non ebbero l’istinto per seguire l’abbrivio dello sfondamento laterale. Nonostante questo, il 5 febbraio, con un colpo fortunato, il 135° reggimento conquistò una collinetta sita immediatamente sotto il monastero, ma il pronto intervento di un contingente della 90ª Panzer Division e dei parà sventarono il colpo. Sempre il 5 gli Alleati riuscirono a impossessarsi della Rocca Janula. Dopo poco più di una settimana di aspri combattimenti la Vª armata era riuscita ad assicurarsi una solida testa di ponte, ma le sue truppe erano esauste ed inoltre nuovi rinforzi stavano giungendo al comandante tedesco Senger. Fu in questo quadro che il 6 maturò il cambio della guardia sul fronte alleato e gli Americani lasciarono il proprio posto al 2° corpo d’armata neozelandese del generale Freyberg, formate da due divisioni che si erano distinte per la loro combattività in Africa: la 2ª divisione neozelandese e la 4ª indiana. L’ordine per Freyberg era di assaltare contemporaneamente Cassino da nord e da sud – est.
Il BOMBARDAMENTO DELL’ABBAZIA
– Per il 15 febbraio era fissata la data della ripresa dell’offensiva alleata, ma prima di dar vita al nuovo attacco, sia il comandante della divisione indiana Tuker, sia Fryberg si trovarono concordi su un punto: l’Abbazia di Monte Cassino andava bombardata, gli alleati nutrivano al riguardo una vera e propria psicosi. A ogni modo nessuno era sicuro che all’interno delle mura del convento vi fossero né soldati tedeschi né il più piccolo posto di osservazione. In effetti la Wehrmacht, con l’avvicinarsi del fronte, aveva stabilito un cordone sanitario di 300 metri intorno al perimetro delle mura dell’Abbazia, eppure la massiccia mole dell’Abbazia incuteva timore agli Alleati. Di sicuro vi era un dato: una volta deciso di sfondare la linea di Cassino frontalmente era necessario impadronirsi dell’altura del Monte Cassino. Fu così che Tuker e Fryberg chiesero un pesante bombardamento dell’Abbazia, in quanto necessario dal punto di vista militare. D’altronde se era vero che nemmeno un Tedesco trovasse ricovero dentro l’Abbazia era pur vero che tutto il Monte pullulava di soldati della Wehrmacht. La psicosi di Monte Cassino era aumentata da una serie di cartelli che i Tedeschi avevano lasciato in giro, che recitavano: " voi siete sotto l’osservazione del nemico, non siate sciocchi". Oltretutto un aereo di ricognizione alleato sorvolando l’Abbazia aveva asserito di aver visto sul Convento delle antenne radio, che invece erano dei parafulmini….La decisione di bombardare l’Abbazia era ormai presa nonostante il parere contrario di Clark, che poi fu colui che, a malincuore, dovette dare materialmente l’ordine del bombardamento. Il 14 gli Alleati gettarono una pioggia di manifestini, in inglese e italiano, in cui preannunciavano il bombardamento, questo per dar modo sia ai profughi sia ai religiosi presenti nell’Abbazia di evacuare il convento.
Il conto alla rovescia era alla fine: la mattina del 15, in una giornata meteorologicamente serena, sul cielo sopra l’ Abbazia si presentarono 142 aerei B-17 , le temibili fortezze volanti e 82 bombardieri medi B-25 e B-26 che sganciarono quasi 500 tonnellate di bombe esplosive e incendiarie. Il bombardamento andò avanti quasi tutta la giornata; alla fine dell’Abbazia era rimasto un cumulo di macerie, aveva resistito soltanto parte delle mura perimetrali, il cui spessore aveva retto al bombardamento. I civili morti durante l’operazione furono un numero variabile tra i 100 e i 300, infatti mai fu possibile stabilire con esattezza quanti sfollati ospitasse l’Abbazia prima del bombardamento. Il risultato però non fu quello sperato dagli Alleati infatti nei giorni 16 e 17 i ripetuti attacchi della 5ª e 6ª brigata si infransero contro l’accanita resistenza dei Tedeschi, ben protetti nei loro bunker (che non avevano minimamente risentito del bombardamento…) e fornitissimi di bombe a mano. Alla fine il disastroso bilancio alleato di questi attacchi fu la perdita di 40 ufficiali e 600 soldati, tra morti e dispersi. Ma ci fu dell’altro; i Tedeschi all’indomani dell’ attacco aereo si sentirono autorizzati a servirsi in tutti i modi delle rovine del Monastero, sicché le macerie si trasformarono in una sorta di bunker naturali per i soldati della Wehrmacht: adesso sì che il Monte Cassino era pressoché inespugnabile. Ne sfuggì ai tedeschi l’occasione di fare propaganda: asserirono infatti che gli Alleati non avevano avuto rispetto nemmeno dei luoghi di culto. Infine il 18 tentarono un attacco i Maori del 28° battaglione neozelandese, ma furono ineluttabilmente respinti dai Tedeschi. Freyberg allora decise per la sospensione dell’attacco, rimandando ai primi di marzo la ripresa delle operazioni.
Il bombardamento dell’Abbazia di Monte Cassino alla fine si risolse in un clamoroso errore tattico e psicologico: il Monastero era stato abbattuto ma Cassino non era stata presa, e i tedeschi avevano rafforzato le proprie difese. La prima battaglia di Cassino quindi si concluse
con una sconfitta per le armate alleate: la porta per Roma rimaneva, per ora, saldamente chiusa: con il catenaccio.
LA SECONDA BATTAGLIA (15- 23 marzo)
- Alexander, Clark e Freyberg concertarono un nuovo attacco: questa volta l’offensiva terrestre sarebbe iniziata solo dopo un bombardamento a tappeto di Cassino e sarebbe stata ancora più diretta che in gennaio – febbraio. Freyberg soprattutto era convinto che Monte Cassino sarebbe stata presa grazie a un attacco dal basso, nella stesura dei piani di battaglia commise però un errore: quello di non considerare che i Tedeschi avevano trasformato le rovine dell’Abbazia in un vero e proprio fortino. Il piano, denominato operazione Dickens, prevedeva di espugnare Cassino e la Rocca Janula con le truppe neozelandesi, mentre gli Indiani avrebbero attaccato il Monte. Qualora fosse arriso il successo alle due azioni sarebbe intervenuta la 78ª divisione britannica. Il compito della 78ª sarebbe stato quello di attraversare il fiume Rapido, ripercorrendo il cammino che tante perdite era costato alla 36ª divisione americana durante la prima battaglia. Avendo il gen. Clark sollevato delle obiezioni a questo piano, Freyberg stabilì che l’attacco a Cassino sarebbe stato sferrato dalla 6ª brigata neozelandese e dalla 5ª indiana con l’appoggio della 4ª brigata neozelandese. Appena si fosse aperta una breccia sarebbe intervenuta il resto della 4ª divisione con un gruppo di carri armati. Questo era il piano d’attacco sulla carta, la realtà dei fatti fu purtroppo diversa.L’attacco aereo fu rimandato fino al 15 marzo, dal momento che, a partire, infatti dal 23 febbraio, per ventuno giorni nevicò e piovve in continuazione, rendendo inattuabile qualsiasi attività aerea. Continuarono invece di buona lena i martellamenti dell’artiglieria alleata. Poi, preceduto dalla parola d’ordine " Bradman batte le mani", il 15 marzo 1944 alle ore 8.30 si presentarono sul cielo di Cassino 775 aerei (575 bombardieri medi e pesanti e 200 tra caccia e caccia bombardieri) che rovesciarono sulla città 1000 tonnellate di bombe. Alle 12.30 era tutto finito, di Cassino, scomparsa sotto le bombe, non rimaneva praticamente più niente, il panorama offriva solo macerie e immensi crateri. Immediatamente le truppe alleate passarono all’offensiva, ma con loro immenso stupore furono accolti dalle mitragliatrici tedesche. Un reduce anni dopo affermò: " i tedeschi erano inspiegabilmente e ostinatamente vivi". La voglia di combattere dei parà tedeschi del II battaglione del 4° reggimento paracadutisti comandati dal maresciallo Nedhoff riuscì quindi a respingere il primo attacco della fanteria alleata, per di più (come già era accaduto sul Monte) i Tedeschi avevano tratto vantaggio tattico dal bombardamento, potendo sfruttare le macerie come bunker. A ciò si aggiunga che i grandi crateri scavati dalle esplosioni delle bombe risultavano degli ostacoli invalicabili per i carri armati americani. Con uno sforzo immenso i Neozelandesi riuscirono comunque a conquistare i due terzi di Cassino entro la sera del 15, combattendo metro per metro. Ma inopinatamente quella stessa sera ricominciò a piovere e la 4ª divisione indiana fu bloccata mentre stava per dare l’ultimo assalto all’altura principale. Questo mutamento delle condizioni metereologiche fu molto gradito dai Tedeschi che ebbero il tempo necessario per far arrivare da Fontana Liri e Roccasecca l’11ª compagnia del 3° Reggimento paracadutisti: l’ordine per il capitano Rennecke era quello di resistere fino all’ultimo uomo. Il 16 e il 17 gli Alleati cercarono in ogni modo di sfondare lungo la Casilina e soprattutto occupare il resto di Monte Cassino. I tedeschi da parte loro cercavano in ogni modo di rimanere attaccati a quella fettuccia di Cassino che era ancora in loro possesso per evitare lo sfondamento del fronte. Nonostante l’impiego di carri armati i neozelandesi non riuscirono a far sloggiare i paracadutisti di Heidrich dall’ Hotel Excelsior che era il portale d’accesso alla strada statale. In compenso i neozelandesi la sera del 17 riuscirono a occupare la stazione ferroviaria di Cassino. Per il 19 era prevista un’altra spallata alleata in direzione dell’ Excelsior, ma Heidrich fu più svelto di Freyberg e lanciò i suoi paracadutisti al contrattacco; Freyberg fu colto di sorpresa dalla controffensiva tedesca, e decise di annullare l’offensiva. Anche sulle pendici di Monte Cassino i Tedeschi resistevano a meraviglia: la mattina del 19 una fila di carri armati americani riuscì ad arrivare fin quasi alle macerie dell’Abbazia, i Tedeschi in un primo tempo rimasero sorpresi, ma poi reagirono con la loro consueta determinazione e distrussero nove carri armati.
Il 19, preso atto delle difficoltà incontrate dalle truppe nel tentativo di sfondare le linee tedesche, i comandanti alleati considerarono l’ipotesi di porre fine all'attacco per consolidare il terreno conquistato in quei giorni che sarebbe stato utilissimo per l’offensiva di primavera. Per gli Alleati era ora di vitale importanza riuscire a disimpegnare i Gurka (truppe indiane) che, dopo l’arresto dell’offensiva, erano rimasti isolati sui crinali della collina dell’impiccato, su per le pendici del Monte Cassino. Per far questo furono fatti due sbarramenti di artiglieria, cosicché i Gurka cominciarono a ridiscendere la collina. Ma la storia non fu così semplice, infatti i soldati indiani a un certo punto andarono a finire dritti verso una postazione di tedeschi, e vistosi perduti decisero di farsi passare per feriti. Vi era infatti un accordo cavalleresco (tra Wehrmacht e Alleati) secondo il quale si permetteva al nemico di recuperare i feriti e riportarli verso le proprie linee: capitò per esempio che i Tedeschi andassero a raccogliere i propri feriti e li potessero trasportare grazie alle barelle degli Alleati restituendole poi il giorno dopo. Ebbene i Gurka sfruttarono questa possibilità avvolgendosi in vistosi bendaggi: badate che stiamo parlando di circa 400 uomini e i Tedeschi, che proprio cretini non erano, al passaggio di uno degli ultimi gruppuscoli di Indiani fecero sapere che da quel momento in poi avrebbero controllato l’entità delle ferite…. Sia come sia, i Gurka si portarono in salvo e in questo caso si può plaudire al barlume di umanità rimasto nell’inferno di quei drammatici giorni.
Il 23 Freyberg decise per la sospensione dell’offensiva; la seconda battaglia di Cassino combattuta tra anfratti, cantine, case diroccate , cespugli era costata agli Alleati, secondo quanto scrisse Churchill, 2400 uomini, quasi altrettanto ingenti furono le perdite per i Tedeschi. Le truppe erano stanche e abbisognavano di riposo ( le due divisioni neozelandesi furono smembrate) in attesa dell’ offensiva di primavera.
Sulla battaglia di Cassino è molto significativo ciò che scrisse il Generale Alexander in risposta a un dispaccio inviatogli dal Primo Ministro inglese Winston Churchill che gli chiedeva delucidazioni sul perché " questa vallata -(quella del Liri) – rappresenti l’unico fronte contro cui continuate a dar di cozzo. Ormai in questo settore si sono logorate 5 o 6 divisioni". Alexander replicò così: " Lungo tutto il fronte principale, dall’Adriatico alla costa tirrenica, soltanto la vallata del Liri porta direttamente a Roma e offre un terreno adatto allo spiegamento della nostra superiorità in fatto di artiglieria e di mezzi corazzati. La grande strada statale denominata <<n.6>> è la sola che dalle montagne dove ci troviamo si addentra nella valle. Lo sbocco nella pianura è dominata dal Monte Cassino su cui sorge il monastero. Ripetuti tentativi sono stati compiuti per aggirare il colle dell’Abbazia da nord, ma sono falliti a causa dei profondi burroni, delle scarpate rocciose che consentono la manovra soltanto a reparti relativamente piccoli di fanteria". Alexander, sempre nello stesso messaggio a Churchill, spiegava altrettanto precisamente anche il mancato conseguimento degli obiettivi prefissatisi da Freyberg nella seconda battaglia di Cassino: "i danni arrecati alle strade di Cassino dai bombardamenti furono così imponenti che ne risultò gravemente ostacolato l’impiego dei carri armati e di ogni altro mezzo da combattimento. La tenacia dei paracadutisti tedeschi è davvero eccezionale, ove si consideri che sono stati sottoposti al più grande concentramento di fuoco mai prima attuato, per ben sei ore, ad opera dell’intera aviazione del Mediterraneo e di gran parte dei nostri 800 pezzi d’artiglieria. Stento a credere che vi siano altre truppe al mondo che avrebbero potuto resistere a tale tempesta di fuoco e poi passare all’attacco con la ferocia da essi dimostrata". Questo carteggio tra Churchill e Alexander era del 20 marzo 1944.
La situazione alla fine della seconda battaglia di Cassino vedeva gli Alleati in possesso di quasi i ¾ della città, ma i Tedeschi continuavano a controllare tutta la valle dal Monte. Per riprendere a combattere gli Alleati aspettavano la primavera, quando si sarebbe sciolta la neve sui monti e il terreno si fosse rassodato, cosicché avrebbero avuto a disposizione un fronte più vasto per schierare forze ancora più ingenti di quelle allineate da Freyberg.
LA TERZA BATTAGLIA ( 11 – 20 MAGGIO) –
Prima di intraprendere la nuova offensiva, il generale Alexander riorganizzò tutto il fronte Alleato, operazione che richiese circa due mesi di tempo necessario affinché le truppe si riposassero dagli immani sforzi a cui erano state sottoposte nei mesi precedenti. La nuova offensiva di primavera fu denominata Diadem e prevedeva uno schieramento di truppe mai visto precedentemente sul fronte di Cassino. Il piano d’attacco era stato preparato dal generale britannico John Harding (uno dei più brillanti tattici dell’esercito di Sua Maestà che in precedenza aveva architettato la difesa inglese nella battaglia di Tobruk contro l’Africa Korps di Rommel), che aveva stabilito la necessità di godere di una superiorità di fanteria quantificata in tre uomini contro uno per avere qualche ragionevole speranza di aprire una breccia nell’accanita linea difensiva tedesca. Harding calcolò che la forza d’attacco alleata sarebbe dovuta essere di 12 divisioni, divise in 4 corpi d’armata: due per sfondare il fronte e due per l’inseguimento dei Tedeschi. Infatti l’obiettivo degli Alleati, una volta liberata Cassino, era quello di tagliare la ritirata alle divisioni della Wehrmacht in modo tale da non doversele ritrovare davanti nel proseguo della guerra. Alexander era in ogni caso convinto che gli Alleati avrebbero tratto vantaggio, più che dal numero di divisioni a loro disposizione, dallo stato di incertezza vissuto dai Tedeschi, che non riuscivano a prevedere da dove sarebbe stato sferrato il nuovo attacco. In effetti i Tedeschi non credevano molto all’ipotesi che gli Alleati avrebbero cercato di sfondare il fronte di Cassino, visto che già due volte avevano sbattuto il muso sulla linea Gustav. Gli Alleati avevano lasciato credere ai Tedeschi di ritenere inespugnabile la Gustav, e quindi di ritenere necessario un ulteriore sbarco a nord di Roma: con tutta probabilità a Civitavecchia. Per rendere più credibile questa falsa notizia, gli Alleati avevano spostato il corpo canadese, rinforzato dalla 36ª divisione U.S.A., nella zona tra Napoli e Salerno, dove venivano addestrate le truppe alle tecniche anfibie. Ovviamente l’ufficio informazioni degli Alleati non mancò di far sapere la notizia ai tedeschi, i quali si fecero ingannare dal depistaggio degli Alleati, che godettero anche di una circostanza fortunata: il Generale Senger, convinto che l’attacco sarebbe avvenuto non prima del 24 maggio, si era preso una licenza e si trovava in Germania ( singolare coincidenza con quanto avverrà poco meno di un mese dopo in Normandia: il 6 giugno, giorno dello storico sbarco, anche Rommel si trovava in Germania in licenza).
L’operazione Diadem era quindi articolata in tre fasi:
1. espugnare la linea Gustav, prima che Kesselring capisse di essere stato aggirato dalla falsa minaccia dell’attacco anfibio a nord di Roma;
2. la distruzione della linea Hitler (quella che andava da Pontecorvo a Piedimonte), posta 10 km indietro rispetto alla Gustav, prima che i tedeschi potessero trincerarvisi;
3. una volta sfondato il fronte tagliare le comunicazioni della Xª armata tedesca all’altezza di Valmontone e di fatto farla prigioniera.
Prima di sferrare l’offensiva gli Alleati dettero vita all’operazione Strangle (che significa strangolare) che consisteva nel bombardare a tappeto le comunicazioni terrestri nemiche affinché si interrompessero, così da costringere i Tedeschi a ritirarsi per mancanza di rifornimenti. In sei settimane Strangle provocò gravi danni: il traffico ferroviario a nord di Roma fu bloccato dal bombardando degli snodi principali, dei ponti e dei viadotti. Tuttavia i Tedeschi, per rimediare ai danni provocati alla linea ferroviaria, trasferirono i rifornimenti sugli automezzi facendogli viaggiare di notte. Strangle non si era però rivelata del tutto inutile, infatti i rifornimenti tedeschi alla lunga si rivelarono insufficienti per la lunga e aspra battaglia che gli attendeva.
Dopo tutte queste schermaglie intorno alle 23 dell’ 11 maggio, dopo che per tutta la giornata le artiglierie avevano stranamente taciuto, gli Inglesi dell’ 8ª Armata sferrarono l’attacco sul Garigliano, mentre i Polacchi del generale Anders attaccavano lungo i crinali a nord – ovest di Monte Cassino, i Francesi di Juin sui monti Aurunci e gli Americani di Clark sul fronte costiero. Lo spiegamento delle forze in campo sul fronte lungo 30 km era portentoso: come auspicato dal gen. Harding gli Alleati schieravano la bellezza di 16 divisioni contro le 6 della Wehrmacht, appoggiate da circa 2000 cannoni e da circa 1000 aerei, mentre i Tedeschi non avevano ancora completato le manovre difensive sul fronte di Cassino.
A ogni modo la mattina del 12, a una prima verifica dei risultati ottenuti, gli Alleati constatarono di essere stati bloccati su tutto il fronte: l’incubo dell’inespugnabilità della Gustav persisteva tenacemente. Alle 14 del 12 fu bloccato l’attacco della divisione polacca "carpatica" sul monte Calvario: essi avevano ingaggiato un furioso corpo a corpo con i paracadutisti di Heidrich e, pur disponendo di un soverchiante vantaggio numerico, i loro due battaglioni non riuscirono ad avere ragione di 732 berretti verdi tedeschi. Questo ennesimo bagno di sangue non fu però inutile: i Tedeschi per resistere alla violenta spallata dei polacchi erano stati costretti a concentrarsi su Monte Cassino, allentando la pressione sul fondo valle, dove gli Inglesi e Gurka Indiani ebbero tempo per ampliare le teste di ponte. Lavoro necessario per permettere il passaggio dei carri armati, di cui finalmente si poté fare largo uso, anche per le favorevoli condizioni atmosferiche. Quindi i Tedeschi cominciavano finalmente a cedere: il 14 le truppe marocchine del generale Juin, specializzate nella guerra di montagna, (i famigerati Goumiers che si macchiarono di nefandezze, come stupri indiscriminati e mutilazioni di cadaveri, che i Tedeschi mai avevano perpetrato, perlomeno sul fronte cassinate) penetrarono lungo il corso del Garigliano, occupando S. Ambrogio e S. Apollinare. Nel frattempo Kesselring il 13 riuscì a far arrivare un'altra divisione al fronte, ma la bilancia stava ormai pendendo dalla parte degli Alleati. Intanto gli Americani della Vª armata avevano inferto un colpo mortale alle due divisioni tedesche schierate a sud della Valle del Liri e fu lì che la linea Gustav cominciò a sfaldarsi. Kesselring, allora, il 15 impegnò tutte le sue riserve a Cassino: voleva ritardarne la caduta per poi ritirarsi dietro la linea Hitler. Ma gli Alleati avevano attraversato in più punti il Garigliano e raggiunta in più parti la Casilina (la famigerata statale n°6): Cassino aveva le ore contate. Infine il 17 i Polacchi attaccarono per l’ennesima volta le rovine dell’Abbazia. I soldati della 5ª divisione "Kresowa" puntarono la cresta del fantasma e Colle S. Angelo mentre i "Cacciatori dei Carpazi" cercavano di prendere Massa Albaneta e Monte Calvario: ancora una volta i paracadutisti tedeschi reagirono con incredibile veemenza all’attacco. Tedeschi e Polacchi combatterono all’incirca per dieci ore, le perdite furono altissime da una parte e dall’altra, ma la battaglia era praticamente finita: Kesselring informato che il corpo canadese era sul fronte di Cassino e non a Salerno, dopo un serrato colloquio telefonico con von Vietinghoff ordinò l’abbandono di Cassino e la ritirata sulla linea Hitler. I Tedeschi si erano battuti fino all’ultimo, anche quando le sorti della battaglia erano ormai segnate: della prima compagnia paracadutisti che per sei giorni si era trovata nel centro del ciclone dell’offensiva alleata sul monte Calvario, erano sopravvissuti un ufficiale, un sottufficiale e un soldato.
La mattina del 18 nessun tedesco era tra le macerie del monastero, dove sventolarono gli stendardi delle truppe alleate che tanto avevano combattuto in quei luoghi, contemporaneamente la 4ª divisione britannica rastrellava Cassino: dopo 224 giorni dall’ 8 settembre era finita l’occupazione tedesca. Ma nella zona i combattimenti continuarono, l’ultima grande offensiva nella Valle del Liri fu lanciata il 24 dal contingente canadese dell’8ª armata che puntò decisamente su Ceprano, i Tedeschi comunque non erano in rotta, anzi la loro ritirata ebbe anche un certo ordine e la 10ª armata riuscì a sfuggire alla cattura. Gli alleati arrivarono a Roma il 4 giugno, ma l’aver perso l’occasione di chiudere in una sacca le divisione tedesche fu un errore determinante, che farà protrarre la guerra in Italia per un altro anno.
epilogo
– Alla fine di tutto di Cassino non restava più niente, nell’accezione più letterale del termine. I bombardamenti aerei e i martellamenti delle artiglierie prima, i combattimenti tra i soldati metro per metro poi, avevano reso Cassino una zona desertica: era stata cancellata dalla cartina geografica, nessun termine è tanto efficace quanto alcune immagini. In quella epica e drammatica battaglia sul terreno rimasero i corpi di 22000 Tedeschi e 23000 Alleati : una carneficina.Gli Alleati riuscirono a sfondare il fronte di Cassino soprattutto grazie alle illimitate risorse degli Stati Uniti, la cui industria poteva lavorare a pieno ritmo senza l’incubo di avere la guerra in casa. Questo permise agli Alleati di poter sostituire in continuazione uomini e mezzi e anche di rifornirli adeguatamente. A ciò aggiungiamo il fatto che gli Alleati avevano il controllo completo dell’aria e del mare, quindi i Tedeschi erano pressoché in trappola; la loro fine era segnata, eppure si batterono con una tenacia e un valore encomiabile: i riconoscimenti che provengono da Churchill, Clark e Alexander sono assolutamente non di parte. La tragica follia e abnegazione di quei straordinari combattenti sfugge a qualsiasi analisi. Avevano l’ordine di combattere e lo fecero fino a quando hitler non si suicidò: la guerra finirà infatti dopo altri 11 atroci mesi di guerra. La forza dei tedeschi fu il grande addestramento della sua fanteria, la Wehrmacht, che combatté ostinatamente fino alla fine, e tra l’altro riuscì a ritirasi in buon ordine, senza mai arrivare al collasso.
Strategicamente gli Alleati avevano puntato molto sugli effetti dei bombardamenti a tappeto, questo nella speranza di rendere inefficaci le difese tedesche e quindi di dover pagare un prezzo non troppo alto in vite umane. Ma l’evoluzione delle tre battaglie non andò così, anzi: i massicci bombardamenti produssero inopinatamente un vantaggio per i Tedeschi, che abilmente trasformarono le macerie in trincee inespugnabili per otto mesi, costringendo gli Alleati a combattere casa per casa e di conseguenza a perdere molti uomini.
Si è scritto del valore dei soldati tedeschi; questo non fa sicuramente dimenticare e passare in second’ ordine lo straordinario comportamento delle armate alleate: Americani, Inglesi, Indiani, Neo Zelandesi e Polacchi vinsero quella sanguinosissima battaglia grazie a una tenacia eroica.
Montecassino, un nome, un monastero a metà dimenticato da qualche parte a sud di Roma ? No, un inferno, così indescrivibile che neppure l’uomo più ricco di fantasia saprebbe dipingerne l’orrore. Un posto dove i morti muoiono cinque volte. Il paese della fame, della sete e della morte. Un cimitero per giovani dai venti ai trent’anni. Che cos’è la cosa peggiore? Il fuoco? La fame? La sete? Le baionette luccicanti, l’olio bruciante dei lanciafiamme? O gli enormi topi grossi come gatti? Non lo so. Ma quel che né io né gli altri combattenti di Montecassino dimenticheremo mai, è la puzza. L’odore dolciastro di cadavere e di cloro; la puzza di Montecassino.
Nove colonne su dieci di rifornimenti restavano preda della morte. Si può mangiare la corteccia, le foglie, ma la sete! Ci battiamo come bestie feroci attorno alla buca di una granata riempita d’acqua. Un branco di topi beve golosamente. Lanciamo loro una bomba a mano per disperderli e, senza aspettare altro, ci precipitiamo e beviamo, beviamo!
Questa è Montecassino , la montagna sacra.
(SVEN HASSEL – Gli sporchi dannati di Cassino).
BIBLIOGRAFIA*
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CHURCHILL WINSTON, Storia della seconda guerra mondiale, Mondadori, 1965
DELLA SCIENZA ALIDA, Cassino nella bufera della 2ª guerra mondiale, Tipografia Pontone
GROSSI TANCREDI, Il calvario di Cassino, Libreria Lamberti editrice
HASSEL SVEN, Gli sporchi dannati di Cassino , Longanesi & C.
IZZI DE VINCOLIS MARIO, Ai margini della linea Gustav Tipografia Pontone Cassino
Jadecola Costa, Vicende più o meno note verificatesi a Roccasecca durante la seconda guerra Mondiale, Amministrazione comunale di Roccasecca
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LECCISOTTI T, Montecassino,Vallecchi, 1945
Liddel hart B.H, Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori
MORDAL, Cassino, Amiont dumont, Paris, 1952.
N.d.A.: Questo lavoro è debitore ai molti testi consultati che ne hanno permesso la stesura: in particolare al volume di Alida Dell’Ascenza, citato in bibliografia. Alcuni testi ivi citati non sono purtroppo reperibili in commercio.