Città della Ciociaria

Il mio paese: Ceprano

Vi proponiamo un articolo di oltre 40 anni fa dedicato alla città di Ceprano, scritto da Vincenzo Fraschetti. Il testo venne inserito nella raccolta "Ciociaria 1957" in occasione del trentennale della Provincia di Frosinone. Lo stile risulta un po’ "datato" e impreziosito da una terminologia sicuramente inusuale, ciò che lo rende ancora più godibile. Pensiamo così di rendere omaggio ad un vecchio estimatore di questa città e di suscitare l’interesse dei suoi abitanti attuali e dei suoi estimatori in tutto il mondo.

 

I costumi ciociari su una vecchia e particolare cartolina di Ceprano

Il mio paese non s'arrocca come la maggior parte dei paesi della Ciociaria sopra un'altura, le case accatastate in geometriche bizzarrie, una sull'altra, e in cima, dominante, uno scorcio di bicocca isolata, o la cuspide a vela di una Chiesa grigia col suo campanile di sentinella, e il sole e il vento che gli girano da tutti i lati. No, il mio paese è in piano; anzi in un’ampia depressione quasi circolare formata dai millenni nel lento e continuo dirupare delle rive del Liri; tanto che da qualsiasi parte voi ci arriviate le strade vi confluiscono tutte con lievi discese. Apparentemente piatto; però, credetemi, non meno bello per questo!

Accovacciato nel folto d’una glauca e gonfia e tremula nuvola di pioppi, ci sta dentro come una covata in un nido; e i lievi poggi che lo incorniciano a corona tutt’intorno, e tutti della stessa altura, svettano ciuffi di querce o larghe ombrelle di pini come una caratteristica decorazione erborea sui confini di un reame di molto riguardo. Ha un fiume: e che fiume; il più ricco e il più pittoresco della regione. L’ho citato prima: il Liri. Un fiume così innamorato di questo suo paese che è lì che se lo abbraccia - e son oltre 2000 anni - aderendogli attorno attorno, sotto le mura, sotto la Chiesa, sotto le case, lungo la Ripa come una sciarpa lucente, in un'ansa così serrata che il paese diventa una piccola penisola e circondata per tre quarti dall'acqua; e l'abitato coi tagli delle sue strade e dei suoi vicoli era, fino a cento anni fa, tutto pigiato in quella fetta di penisola, sollevata sulle ripe; e le case dovunque si voltano specchiano le loro facciate sulla corrente che passa; dovunque aprono finestre ascoltano le voci fruscianti delle tre ràpide.

Certo che un fiume così - con tanto di sponde ovattate di processioni di pioppi, e le acque di una caratteristica colorazione di verde, cavalcato all’imbocco del paese da un’agile arcata di ponte, alto sul corso della corrente, e sul quale, trasfigurati dai vapori vespertini della conca contro lo sfondo dei Lepini azzurri e violacei nel controluce, spaziano e s’accendono, la sera, i più sognanti tramonti della Ciociaria e s’addensano, tra la Primavera e l'Estate le rondini più chiassose e più felici del mondo - è un fiume, credete a me, che fa paesaggio, fa panorama, e il paese deve moltissimo a lui della sua pittoresca attrattiva. Del resto fiume e paese sono lì, attaccati insieme da tanti secoli, come una cosa sola; e il paese sorse in quel punto proprio per lui: per ragioni confinarie: per far la guardia al suo ponte, a quel punto di transito che divideva due Stati avversi.

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Il nome del mio paese? Sì, non ve 1'ho detto ancora: e vi giuro che mi trema il cuore d'una segreta tenerezza a scriverne le lettere; un senso di pudore come se fosse proprio mio, lo avessi fatto io, costruito io, questo mio vecchio e dolce paese che ha invece oltre duemila anni di vita Ma tant'è: eccolo: Ceprano!

Acquattato dunque nella fronzuta verdezza della sua bassura, non risalta nel paesaggio, e non vi apparisce se non quando gli arrivate sopra; alle prime case. Dalla stazione stessa, più che svelarsi, si indovina. Una volta aveva come segno di distinzione un agile campanile centrale che, alzandosi sulla massa dei fabbricati, dava una sàgoma al paese; lo segnalava a distanza - sono qui -: come l'asta d'una bandiera, come un'antenna innamorata. L'ultima guerra, passando di qua dopo l'accanita resistenza a Cassino - i Tedeschi avanti in ritirata, gli Alleati dietro incalzandoli con implacabili bombardamenti - lo scrollarono dalle fondamenta polverizzandolo con tutta la sua bella Chiesa che gli si reggeva fiduciosa al suo fianco. Annientato! Eppure esso è sempre rimasto negli occhi della gente di quel tempo; tanto che se per caso capita, in piazza, di saper 1'ora, istintivamente alziamo il capo a cercarla nel campanile che però non c’è più. La scomparsa di quella chiesa - bella davvero, di pietra e mattoni - ha dilatato sicuramente la piazza centrale: ma non di quanto voi possiate pensarlo; tanto che, inquadrandola con l'immaginazione nello scenario del posto, non pare credibile che una costruzione così massiccia, - una chiesa di proporzioni, un campanile poderoso una sacrestia rispettabile, e un ripiano a sagrato per giunta - stesse tutta qui dentro. Eppure è così, tanto è diverso il parere e l'essere nella valutazione dei rapporti di volumi negli spazi aperti.

E molte altre cose la guerra vi distrusse nel suo vandalico passaggio facendo in tal modo scomparire le ultime residue vestigia di antichità del paese: la «Porta vecchia» che limitava un tempo il perimetro della città verso ponente (l’abitato, dentro, dentro l'angusta penisola; e la campagna, fuori): e la fiancata esterna del «Vicolo delle Mura» con le sue due o tre torricine medioevali (un vicolo viscido che si allungava sulla direttrice di quelle che dovevano essere le mura della «fortezza» verso settentrione nel primo tratto dell'ansa del fiume); spalancando provvidenzialmente alla vista dei campi un arioso « Lungo Liri». Naturalmente con la scomparsa della «Porta vecchia» e del «Vicolo delle Mura» sono state cancellate definitivamente, per le nuove generazioni, queste due nomenclazioni toponomastiche che furono invece del linguaggio quotidiano, fino a quindici anni fa, nella vita locale.

Storia purtroppo che, per un paese posto sul confine fra due Stati avversari (Stato della Chiesa e Ducato normanno; Stato della Chiesa e Regno Svevo; come prima era stato Roma e il Sannio; e dopo, Stato Pontificio e Regno di Napoli, passaggio obbligato e temutissimo («il Passo di Ceprano»), si ripeté nel corso dei secoli centinaia e centinaia di volte! Tutti gli eserciti che da Roma si mossero alla conquista delle Provincie meridionali, o nell’alterna vicenda della lotta, da queste risalivano, aggressivi, altri eserciti, verso Roma (Etruschi, Ernici, Equi, Ausoni, Sanniti, Cartaginesi, Campani, Greci, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Francesi, Borbonici, Pontifici, Garibaldini) tutti finivano ogni volta per valutarsi al «Passo (durissimo) di Ceprano», il passaggio di un fiume duramente difeso; per scontrarsi sotto le mura di questa fortezza. Lunghi assedi pertanto, e massicci, violenti investimenti. Ma appena cedeva, dall’una o dall’altra parte la resistenza, il paese diventava campo rabbioso di invasione, di distruzioni, di saccheggio. E, prima nelle distruzioni, e poi nelle ricostruzioni, sparivano ogni volta le tracce del suo passato, tutti i segni delle varie epoche precedenti - volsche, romane, repubblicane, feudali, baronali cosicché delle prime impronte bimillenarie delle successive non gli restano che un tratto di mura preromane su quello che era l'allineamento della «Porta vecchia» recentemente scomparsa, e quella massiccia torre cilindrica affacciata sull'eterno corso del fiume incorporata oggi nel fabbricato delle Monache. Niente altro! A ricordare ai posteri le tracce del suo passato e le origini antichissime, abbiamo murato «in cò del ponte» una lapide coi versi di Dante che rammentano Ceprano, e innalzeremo domani, nella piazza centrale, sotto la Casa comunale, una statua togata romana sopra un antico rocchio di colonna; l’una e l’altro restituiti alla luce nel territorio paesano, che già dette altri mirabili avanzi di scultura collocati oggi nei Musei di Roma. Vero peraltro che questa sua posizione particolare su uno dei punti più nevralgici ai confini fra due Stati in perenne contesa; centro strategico di frizione - prima nelle lotte fra Roma e il Sannio, fra Roma e Cartagine; poi fra la Chiesa e il Ducato normanno fra la Chiesa e l'Impero degli Svevi - fece frequentemente assurgere Ceprano a sede di avvenimenti militari e politici di enorme importanza per la storia d'Italia: convegno fra Gregorio VII e Roberto il Guiscardo (28 luglio del 1080), in cui viene firmata la Carta feudale dell'egemonia della Chiesa sul Ducato di Puglia e Calabria: Sinodo di Papa Pasquale 1I (1114) in cui Guglielmo d’Altavilla viene investito del Ducato di Puglia: convegno fra il Papa Lucio II e Ruggero il Normanno dopo i moti scoppiati a Roma con la ventata scismatica di Arnaldo da Brescia: permanenza temporanea di Papa Gregorio VII prima di avviarsi, sotto la spinta dell'Imperatore Arrigo IV, verso il definitivo esilio di Salerno. Ed ecco le due grandi figure sveve, l'Imperatore Federico II e suo figlio, e successore Manfredi che domineranno nella storia cepranese in quegli anni di fierissima lotta fra la Chiesa e l'Impero: Federico II che a Ceprano, dopo la firma del trattato di San Germano (Cassino) sarà dal suo indomabile antagonista, Gregorio IX, liberato dalla scomunica a mezzo di un Cardinal Legato (1230); e Manfredi che, scomunicato anche lui, subirà a Ceprano la grande umiliazione di far attraversare a Innocenzo IV tutta la lunghezza del ponte reggendogli, in segno di sottomissione, le briglie della cavalcatura; e a Ceprano tornerà a dormirvi l'estremo riposo dopo che il «Pastor di Cosenza» fattone rimuovere il cadavere rimasto dopo la battaglia di Benevento, «in cò del ponte», «sotto la guardia della grave mora» lo mandava a seppellire «di fuor dal regno quasi lungo il Verde»: precisamente qui, a Ceprano, sul luogo dove aveva subìto la grande umiliazione.

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Molta acqua è passata sotto il ponte; il ponte non è più quello di Roma repubblicana e imperiale; né quello di Roberto il Guiscardo, di Ruggero il Normanno, di Federico II, di Re Manfredi, del Conte di Caserta, di Carlo d'Angiò. Attraverso le vicende dei secoli ha mutato posto avvicinandosi sempre più all'abitato, e fisionomia, alzandosi di quota, più volte ricostruito.

L'alone storico degli avvenimenti di grande risonanza - assedi, trattati, Sinodi papali, incontri, convegni di Pontefici e di Feudatari, di Pontefici e Imperatori e Re – s’è dileguata nel trapasso dei secoli, al soffio dei tempi nuovi.

Di quel periodo intenso della lotta gigantesca tra il Papato e l'Impero resta il ricordo che noi ne abbiamo tramandato nella lapide apposta sul ponte; e, nella Collegiale di Santa Maria Maggiore, la Cassa di pietra dove erano racchiuse le ossa dello sventurato Re Manfredi; scolpita rudemente fra quattro rosoni una piccola aquila sveva.

Ma la grande, la grande Aquila che osò levarsi a contendere i diritti della Chiesa si è dileguata, svanita nel mondo delle vicende umane.

 

Convento dei Cappuccini

 

Diventato ormai un centro importante di traffico e di attività commerciale e industriale, Ceprano per prima cosa è sgusciato dall’angusto spazio della piccola penisola formata dall’ansa del fiume sviluppandosi decisamente nel retroterra e oltre la sponda sinistra con notevoli fabbricati. La ricostruzione dopo le devastazioni dell’ultima guerra - tanto per essere fedele al suo destino – gli ha dato il largo respiro di un Lungo-Liri spalancato alla libera ariosità dei campi: una larga strada lungo il primo corso del fiume, che non solo ha bonificato una parte del paese ma ha facilitato molto il traffico nell’interno dell’abitato che non poteva assolutamente più reggere l’aumentato sviluppo del passaggio delle autovetture; che a Ceprano è più intenso che altrove. Il fiume? Il fiume continua, eterno poeta e sognatore, ad abbracciare amorosamente il suo paese. Da quando ha dovuto dare la forza della sua corrente ad una Centrale elettrica, ad una Cartiera, a una fabbrica di cellulosa, ha perduto la voce e cambiato anche di fisionomia: ha un’andatura lenta, sonnolenta, però ha sempre quella sua verdezza che incanta. Con le sue belle rive folte e tremule di pioppi, i suoi tramonti spettacolari, le sue rondini rissose e felici delle lunghe sere estive, per me, poeta e sognatore come lui, continua – come no? – a creare un magico paesaggio al mio paese.