Il pifferaio magico

I vecchi Jethro Tull in concerto a Roma

Quando a mezzanotte si sono spente definitivamente le luci, dopo quasi due ore di concerto senza pause e nelle orecchie ancora sentivamo gli echi del bis "Locomotive Breath" ci è sembrato di avvertire anche il fumo di quella vecchia locomotiva celebrata nella canzone. Ma era solo la nostra immaginazione, il fumo proveniente dalla nostra destra, era di tipo diverso da quello dei vecchi treni "ciuf ciuf", sembrava piuttosto di tipo giamaicano …

E’ stata una serata ricca di emozioni, con quel pizzico di nostalgia che non manca mai quando ci si trova di fronte a quei gruppi che stanno in giro da oltre trent’anni, durante i quali hanno scritto pagine indelebili nella storia del rock. Quel flauto riesce ancora a suscitare antiche emozioni. Proprio così! L’abbiamo pensato immediatamente, fin dalle primissime note del concerto che i Jethro Tull hanno tenuto a Roma, nella cornice del Foro Italico, il 20 giugno scorso. Dopo un’oretta di attesa in compagnia dei simpatici e allegri Young Dubliners, alle 22 e 10 si sono spente le luci ed il vecchio gruppo scozzese si è lanciato in una delle canzoni più antiche: My Sunday Feeling, dal primo album This Was, datato 1969. Quando Ian Anderson è entrato in scena, calzamaglia nera, camicia bianca, gilet vivacissimo multicolore e fazzoletto alla pirata in testa, non abbiamo avuto dubbi; avevamo di nuovo davanti quel ben noto animale da palcoscenico, egocentrico ed accentratore quanto si vuole, ma decisamente bravissimo.

Ha utilizzato diversi tipi di flauto durante la serata, suonandone anche uno piccolo di bambù, presentato come un flauto indiano dal costo molto basso! Il vecchio Ian ha imbracciato spesso anche la sua piccola chitarra acustica per eseguire brani come Thick As A Brick e Heavy Horses. Accanto a lui, impeccabile come sempre, Martin Lancelot Barre, il chitarrista presente fin dal secondo album, Stand Up, loro primo grande successo su scala internazionale, oltre 30 anni fa. Gli altri componenti del gruppo sono il batterista Doane Perry, già componente dei Fairport Convention, il tastierista Andrew Giddings ed il bassista Jonathan Noyce. Curiosamente i tre elemnti più anziani sfoggiavano copricapi di diverse fogge (per coprire le non più folte chiome?) mentre il tastierista non aveva problemi essendo totalmente calvo.

L’esibizione, forse non impeccabile da un punto di vista degli arrangiamenti, a volte eccessivamente pesanti, e dei suoni, non sempre pulitissimi, è risultata coinvolgente, a tratti entusiasmante, grazie soprattutto ad un inequivocabile impegno e ad una genuina voglia di suonare. Evidentemente gli "ozi scozzesi" trascorsi da Ian Anderson nella sua tenuta presso Edimburgo dove alleva salmoni, sono soltanto un ricordo del rigido inverno britannico … e la calda serata romana ha accentuato la gran voglia di tornare a calcare i palchi di tutta Europa.

Il concerto si è sviluppato secondo una trama di tipo antologico ancorché non cronologico. Quasi tutta la sterminata discografia tulliana è stata toccata, anche se ovviamente la parte del leone l’ha fatta il celebre Aqualung del 1971 dal quale sono state eseguite ben 4 canzoni:

Cross-eyed Mary, Slipstream, Aqualung e Locomotive Breath come bis.

Ian Anderson ha presentato ogni singolo brano, citando sia l’album di provenienza che l’anno di pubblicazione. Del resto chi lo segue anche su Internet sa bene quanto sia preciso, quasi pignolo, riguardo a temi come discografie, sessions, nastri inediti da pubblicare, scalette dei concerti, etc.

Abbiamo avuto il privilegio di ascoltare, oltre a quelle già citate, altre pagine storiche come l’autobiografica Too old To Rock’n’Roll Too Young To Die (1975), la più recente Roots to Branches (1995), Sweet Dream (1972), Farm On The Freeway (1987), Hunt By Numbers (1999) nonché, nell’intermezzo acustico, persino un brano tratto dall’album solistico dedicato agli uccelli "The Secret Language Of Birds" (2000); non poteva mancare la celeberrima Bouree, annunciata come "qualcosa che venne in mente a Bach una mattina" …

Il pubblico, molto più numeroso di quanto immaginassi, ha mostrato di gradire molto; i più grigi (di capelli) hanno dimostrato anche una discreta conoscenza delle parole di alcune canzoni, cantate in coro (come la parte centrale di Aqualung).

Personalmente mi aspettavo un intermezzo "acustico" più lungo. In quell’occasione Perry ha suonato i bongos, Gidding una fisarmonica, Noyce un altro piccolo tamburo e Barre una chitarra mediterranea. Ma è stato il flauto, come sempre, a farla da padrone. Del resto non si deve dimenticare che Ian Anderson è stato tra gli iniziatori di questo strumento nell’ambito del rock: cominciò riproponendo "Serenade to a Cuckoo", del jazzista Roland Kirk nel loro primo album.

Certo ora ci troviamo di fronte ad un maturo signore, istrione finché si vuole, ma sicuramente più posato e rassicurante rispetto a quel bizzarro personaggio vestito di una vetusta e logora palandrana che suonava il flauto reggendosi su un piede solo (immagine che ha brevemente riproposto con grande autoironia, come potete vedere nella foto sottostante).

In una recente intervista Anderson ha sostenuto di suonare innanzitutto per il proprio divertimento, poi per divertire il suo gruppo ed il pubblico che va a vederlo. Il rapporto con i fan è stato sempre molto stretto ed è successo più di una volta che i Jethro Tull abbiano pubblicato raccolte di materiale inedito dopo richieste e consultazioni con i supporter più competenti. Questa disponibilità è stata premiata soprattutto dopo l’avvento di internet, ed i siti dedicati alla band sono hanno sempre ottenuto migliaia di contatti.

Nel lontano 1971, mentre nell’aula del liceo che frequentavo si parlava di Aqualung, l’LP appena pubblicato, che molti compagni portavano sotto il braccio per discuterne i testi dissacranti in classe, non avrei mai immaginato che dopo 30 anni sarei andato ad applaudire proprio quegli stessi Jethro Tull, dal bizzarro nome preso da un certo agronomo del XVIII° secolo inventore della seminatrice meccanica …

Il flauto nella roccia suona ancora per noi.

R.M.

Per la discografia completa dei Jethro Tull rimandiamo i lettori all’articolo apparso sull’Eco 23.