Ciao Tommasi'

Nella foto da sinistra: Tommasino, Quirino Giannitelli, Banchette (Pinuccio Di Vito) e Alfredo Tanzilli detto Cappellini

Giocavo nelle giovanili e Tommasino era il nostro allenatore. Ricordo che uno dei miei compagni di squadra aveva un paio di scarpe da calcio parecchio malridotte; ricordo anche l’imbarazzo espresso dal rossore del suo viso da quattordicenne quando qualcuno, che non brillava certo per sensibilità, gli fece notare che con quelle scarpe la domenica successiva non avrebbe potuto giocare la partita di campionato. In realtà il mio compagno di squadra aveva un problema molto semplice: il padre non era in condizione di comperargli un nuovo paio di scarpe da calcio.Sembra incredibile adesso, ma a Roccasecca agli inizi degli anni settanta questo poteva capitare, e forse accade anche oggi.

Ricordo infine che all’allenamento del venerdì il mio compagno si presentò sfoggiando un paio di Adidas nuove di zecca.

Mi chiesi come le avesse avute; la risposta la ebbi quando lo vidi entrare quasi furtivamente nello spogliatoio dell’arbitro, che durante la settimana era occupato dall’allenatore. Passandoci davanti per avviarmi in campo, sentii dalla porta semiaperta che il mio compagno gli diceva con un filo di voce : "Tumasì, le scarpe me stave propria ‘bbone".

In pratica alla bisogna aveva provveduto Tommasino acquistando in tutta segretezza a Cassino, dove lavorava, le scarpe per il nostro poco fortunato compagno. Credo che, oltre loro due, solo io abbia saputo quello che era successo.

Questo episodio, forse banale, non serve certo per "santificare" una persona cara appena scomparsa, ma lo racconto a distanza di anni per la prima volta solo perché credo che valga a spiegare come fosse fatto veramente Tommasino, dietro al suo abituale atteggiamento piuttosto schivo, forse a volte anche burbero. Un gesto semplice ma di grande sensibilità.

Tommasino, primo in alto a sinistra, nel Roccasecca 1965.

Personalmente l’ho avuto, in rigoroso ordine cronologico, come amico di famiglia, compare, compagno di squadra (eh, ho anch’io i miei anni…), allenatore, vicino di casa al mare. Potrei dire che la sua riservatezza era pari alla sua disponibilità quando avevi bisogno di aiuto, ma preferisco ricordarlo come compagno di squadra e allenatore.

 

Non è solo per sfuggire alla retorica in cui, in questi casi, si rischia sempre di scivolare, che preferisco ricordarlo come compagno di squadra e allenatore. A me piace di più così, sono le sue immagini più vive, e poi per l’Eco il significato di queste righe è quello di salutare un personaggio che è stato un pezzo di storia del calcio roccaseccano. Ma soprattutto credo che anche lui avrebbe preferito così.

Come calciatore lo ebbi compagno di squadra per un solo anno, credo intorno al 1974, quando fui prelevato dalle giovanili per essere lanciato come titolare nel ruolo di libero in prima squadra. Il risultato fu che ai primi risultati negativi l’allenatore "straniero" di allora per correre a ripari e placare le critiche decise di allestire una difesa più esperta. Come ? Semplice, richiamando Tommasino a fare il libero al mio posto. Lui un giorno all’allenamento mi disse: "Mi dispiace dover giocare al tuo posto, ma ricordati che nessuno ti regala niente nella vita. Sta a te non mollare e saper dimostrare che meriti di giocare".

Tommasino il secondo da sinistra in piedi – nel Roccasecca 1966

 

Come calciatore , del resto, Tommasino prima era stato un centravanti potente e determinato. Una specie di Boninsegna, fatte le debite proporzioni. Comunque aveva avuto belle esperienze anche in squadre romane ( forse la STEFER ma potrei sbagliarmi), ed era arrivato a giocare al mitico stadio Prater di Vienna con la Nazionale italiana ferrovieri segnandovi una rete contro i pari grado austriaci.

E’ stato anche mio allenatore dicevo; cercava di trasmetterci le sue idee calcistiche ispirate a determinazione, grinta, voglia di vincere, ma sempre nel rispetto dell’avversario. Sapeva darci una carica speciale, soprattutto quando dovevamo affrontare squadre sulla carta più forti di noi. Quando mi capitò di segnare il gol del pareggio in un derby contro "l’altra" Roccasecca in cui noi eravamo dati già in partenza per sicuri perdenti con largo scarto, mi rincorse sino a centrocampo ma non per festeggiarmi, come io pensavo. Mi disse solo : "non è ancora finita, perciò torna al posto tuo e appena ti arriva la palla falla arrivare alla casa di Salvatore ( tradotto, il più lontano possibile)". Finì 1-1, e lui negli spogliatoi per la prima e unica volta ci abbracciò uno per uno. Poi ci disse solo questo: "Adesso sapete che, se lo volete, non siete più scarsi degli altri".

Ecco, mi piace ricordarlo al centro dello spogliatoio mentre ci guarda e ci parla in quel modo.

Ferdinando