Il “primo” articolo del Direttore
Gimme Shelter
La pubblicità del film da un ritaglio originale della pagina degli “spettacoli” del Messaggero (Archivio Eco)
Approfitto dell’occasione del “quarantennale” dei Rolling Stones” per lanciare un’altra iniziativa tra i collaboratori ed i lettori dell’Eco. Sarebbe simpatico se ognuno inviasse in redazione il suo “primo esperimento” di articolo scritto, qualunque sia la sua datazione. Ovviamente il “pezzo” avrà un suo valore soltanto se non sarà “corretto” a posteriori; qualunque modifica lo priverebbe della sua spontaneità. Chi avrà il coraggio di inviare i suoi primi “parti”? Aspetto fiducioso e … curioso! Intanto comincio io, doverosamente, pubblicando quello che, all’epoca, non fu un vero e proprio articolo, bensì un tema di italiano assegnato a casa (credo durante il secondo liceo, ovvero il 4° anno del “Classico”, quindi databile tra il 1972 ed il 1973), di cui ho conservato (chi mi conosce non si meraviglierà di certo di ciò!) per tutti questi anni la “brutta copia”. Il tema fu assegnato da un supplente, il quale ci lasciò libera scelta sull’argomento, dando come traccia generica la compilazione di un testo, sotto forma di recensione, di lettera o di piccolo saggio, relativo a qualche spettacolo, programma televisivo, film o manifestazione a cui avessimo assistito di recente.
La mia scelta cadde, da rollingstoniano convinto della prima ora, sul commento al film appena giunto nelle sale “d’essai” romane “Gimme Shelter” (letteralmente “Dammi rifugio”, da una canzone che trattava di foschi presagi che si addensavano sull’umanità). Si trattava di un film-documentario sulla tournee del 1969 dei Rolling Stones negli USA, un ciclo di concerti che hanno fatto la “storia del rock” per tanti motivi. Per la prima volta dopo oltre due anni gli Stones tornavano in tour, con il nuovo chitarrista, il giovanissimo, biondissimo e virtuoso Mick Taylor, succeduto al “dimissionario” Brian Jones, poi tragicamente scomparso nel luglio di quel medesimo anno. Per la prima volta i concerti dei Rolling avrebbero avuto come aspetto più significativo la “musica”, elemento che era sempre passato in secondo piano nei primi anni della “British Invasion” quando le canzoni erano letteralmente sovrastate dalle urla dei fans scatenati (ed i Beatles ne sapevano qualcosa, tanto che ad un certo punto avevano detto “stop” ai concerti!). Per la prima volta un documentario sulla tournee di un gruppo famoso nato con intenti celebrativi era divenuto di fatto una tragica testimonianza di fatti di cronaca “nera”. Per la prima volta si decideva di organizzare un concerto gratuito “di ringraziamento” al termine del tour, sull’onda di quanto già fatto ad Hyde Park ed a Woodstock nell’estate del 1969, che finiva per diventare un doloroso epitaffio. Infine vale la pena ricordare anche che da quella serie di concerti venne prodotto uno dei primissimi dischi pirata della storia (i cosiddetti bootleg) che fece tanto di quel successo da spingere la Decca a pubblicare, solo un anno dopo, un “Live” ufficiale: “Get Yer Ya-Ya-s Out! The Rolling Stones in Concert”. Rileggendo il mio “prodotto” di circa 30 anni fa non posso fare a meno di notare alcuni “difetti” , come quei primi tre capoversi che cominciano tutti con “Il film”: fantastica creatività! In positivo debbo notare che riuscii a dare un commento critico dell’avvenimento, saltando quasi completamente la “trama” del film stesso; ma all’epoca ero molto meno prolisso di oggi ed i miei temi erano sempre molto corti.
Per la cronaca ottenni un 7 e mezzo da quel supplente. Ricordo che prima di riconsegnare i compiti mi aveva appena spostato dall’ultimo banco al primo perché parlavo troppo, e già mi riprendeva appellandomi “novello Enea che neanche approdava al nuovo lido e già volgea lo sguardo verso la natìa terra”. Quindi, forse maliziosamente sperando che fossi oltre che chiacchierone anche scarso in profitto, aggiunse: “vediamo come è andato il tuo tema … ah! 7 e mezzo, bene bene ….”
L’inizio del tema nel foglio originale di “brutta copia” conservato gelosamente per tutti questi anni. Da notare che i primi due capoversi sono contrassegnati dai numeri 2 e 1, in quanto nella versione definitiva furono spostati. Il film “Gimme Shelter”, che prende il suo titolo da una delle canzoni più significative degli ultimi anni, ben lungi dall’essere un semplice film musicale con i Rolling Stones, è bensì un documentario che, prendendo spunto dal lavoro del complesso, esamina con una certa profondità il mondo della musica “rock” ed il suo pubblico raggiungendo i suoi momenti più felici nelle significative e drammatiche sequenze degli incidenti di Altamont. Il film, partendo da immagini su diversi concerti tenuti dai Rolling Stones negli Stati Uniti d’America, va immediatamente al di là dei concerti stessi fornendo un colorito quadro di quello che c’è oltre il palcoscenico, passando in rassegna gli aspetti organizzativi, politici e sociali fino all’atmosfera che regna nel pubblico stesso. Il film si apre si apre presentando gli Stones in concerto a New York. Concluso il primo brano passa a mostrare alcuni componenti del complesso impegnati nella preparazione degli altri concerti della tournee. Da questo momento, alternata a diversi flashback sull’attività del complesso, prende il via una descrizione man mano più particolareggiata degli sforzi fatti per la realizzazione di un grosso concerto gratuito con la partecipazione di altri complessi, oltre agli Stones che chiudevano la serata. Dal film appare che l’organizzazione di un concerto gratuito sia molto più difficoltosa di quella di un concerto normale. Le opposizioni erano tante e a diversi livelli. Da un lato le autorità sembravano poco propense ad acconsentire la realizzazione di uno spettacolo di tali dimensioni, anche tenendo conto dell’atteggiamento ribelle, politicamente parlando, sia degli Stones, sia di gran parte di coloro che solitamente gremiscono le loro platee. Da un altro lato c’erano concrete difficoltà di ordine pratico in quanto l’ingente numero di partecipanti previsti poneva problemi di organizzazione, di assistenza, di spazio che esigevano l’affitto di grossi lotti di terreno favorendo una certa speculazione. Per rendersi ben conto di quello che è successo in seguito bisogna tener conto dell’influenza esercitata nel mondo giovanile dai componenti del complesso in particolare fin dalle origini. In effetti i Rolling Stones sono nati all’insegna della rivoluzione, della rabbia, dell’ insoddisfazione; non a caso i loro brani più popolari si intitolano “Street Fighting Man” (Il combattente della strada), “I Can’t Get No Satisfaction“ (Non posso avere nessuna soddisfazione), “19th Nervous Breakdown” (19° esaurimento nervoso), “Sympathy For The Devil” (Simpatia per il diavolo). La loro stessa musica dura, graffiante, si riallaccia alla tradizione del “rock’n’roll” di fattura negra, dai chiari contenuti sociali, rivoluzionari, brutalmente espressi, senza mezzi termini. E proprio in occasione dl concerto di Altamont, gratuito, nato all’insegna dell’unità, della fratellanza e dell’amore, quei presupposti di rabbia sociale ed intolleranza sono esplosi dando vita ad episodi di violenza che invano gli stessi Stones hanno poi tentato di contenere. Tutto questo è descritto efficacemente introducendo gli avvenimenti cruciali con una descrizione concisa ed accurata della folla di hippies, drogati, sognatori e di quei violenti Hell’s-Angels che mantenevano “l’ordine” usando senza parsimonia bastoni e coltelli.
Il poster originale del film, con il commento di Jerry Garcia dei Grateful dead: “Un pomeriggio all’inferno”
Credo che le riprese più significative ed agghiaccianti siano proprio quelle relative al ferimento brutale quanto improvviso di un cantante (Martin Balin dei Jefferson Airplane) e quelle relative all’uccisione allucinante di un uomo accoltellato mentre tentava di usare una pistola di cui non si conosce neanche il bersaglio. Il drammatico bilancio dei tafferugli è di quattro morti e non vale a diminuirne la gravità il fatto che in quello stesso giorno proprio lì vi siano stati quattro concepimenti come per un’ironia del destino.
La riedizione in videocassetta del film
Io penso che queste immagini oltre a testimoniare un triste fatto di cronaca proprio per i protagonisti che hanno avuto offrano spunto a ben più generali considerazioni su un mondo giovanile più vicino ad un certo tipo di musica. Com’è confermato dalle decine di episodi simili che si sono avuti in molte occasioni in diverse parti del mondo e le cui componenti erano appunto: un complesso famoso, una musica elettrizzante, un pubblico eterogeneo composto da gruppi in contrasto tra loro per i quali la musica non era che un pretesto per un vero e proprio scontro politico. Tutto questo dimostra come oggigiorno la musica rock, costume e politica siano strettamente legati in un ingranaggio di cui sia i giovani, sia i musicisti stessi non sono che le vittime a causa di un’intricata situazione sociale e della violenza di gruppi minori.
Riccardo Milan
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