Un reportage esclusivo del nostro Ferdinando Vicini, corredato da immagini e figurine d’epoca

 MITI, MODI E MATTI DEL CALCIO

 

Un mito degli anni 70: il centravanti scozzese dei Rangers e dell’Inverness Caledonian Thistle, Billy Urquhart, celeberrimo per i suoi colpi di testa

 

Nella frequentazione ormai ultradecennale del mondo del calcio professionistico, ho avuto modo di vedere e conoscere “dall’interno” tante manie, tic, scaramanzie, stranezze che i protagonisti di questa specie di circo si portano dietro. In questo, peraltro, non c’è differenza fra la piccola squadra di terza categoria e la serie A o B.

Sono tantissimi, a qualsiasi livello, quelli che si abbandono a riti più o meno scaramantici o che comunque contraggono negli anni l’abitudine di scaricare le tante tensioni con comportamenti quanto meno inusuali.

In proposito come esempio iniziale, tanto per entrare in tema, potrei citare un episodio narrato da Carlo Petrini nel suo libro “Nel fango del dio pallone”.

Petrini racconta che quando era alla Ternana aveva come compagno fra le riserve, un giovane attaccante pugliese di nome C.

Petrini non dice il nome per esteso, ma narra che una sera in ritiro entrò con altri nella stanza di C. e lo trovò inginocchiato sul pavimento e circondato da immagini sacre sparse per terra. Quando gli chiesero che cosa stesse facendo, C. rispose candidamente che stava pregando i santi per resistere ai peccati della carne.

 

 

Per tornare a noi potrei cominciare da Benny Carbone, grande promessa del calcio italiano emigrato con successo da anni in Inghilterra e tornato da poco in Italia al Como. Quando era all’Ascoli, Carbone faceva coppia con Bierhoff, in attacco. Ebbene ogni partita, un attimo prima di imboccare il sottopassaggio per entrare in campo, Carbone toccava entrambe le ginocchia e poi, lui così piccolino, saltava in groppa a Bierhoff facendosi trasportare per qualche metro.

Sempre all’Ascoli altro rito era quello di Zanoncelli; sempre prima dell’inizio della gara costringeva il massaggiatore Urbano Vannini ad andare in bagno a fare pipì e lo cronometrava. Se Vannini produceva un “fiotto” che durasse più di 15 secondi era buon segno, se invece il poveraccio non aveva molte “riserve idriche” e finiva prima la prospettiva diventava negativa e Vannini si beccava gli insulti di tutti.

In quella squadra c’era un promettente giovane che disputò alcuni ottimi campionati prima di perdersi nell’anonimato, Pietro Zaini. Qualcuno lo ricorderà per i capelli lunghissimi. Non li tagliava mai perché credeva, novello Sansone, che gli dessero in qualche modo forza. Una notte in ritiro Pedro Troglio e altri entrarono di soppiatto nella sua camera e gli diedero una bella sforbiciata prima che lui si svegliasse incredulo.

Dopo quell’episodio Zaini infilò una serie di tre o quattro prestazioni negative.

 

Pochissimo, tuttofare del Venezia anni 60

 

Il periodo del ritiro precampionato è da sempre odiato dai calciatori, costretti per quasi un mese ad una vita monacale in alberghi di montagna e sottoposti a duri allenamenti per recuperare la forma dopo le vacanze.

 

 

Giavara e Bruells, due miti del Catania e del Brescia negli anni ‘60

 

Un anno l’Ascoli era in ritiro a Colle San Marco e Walter Casagrande, grandissimo centravanti brasiliano, organizzò il classico gavettone ai danni di Boro Cvetkovic, attaccante jugoslavo. La macchinazione doveva funzionare così; Colantuono chiamava in modo concitato Cvetckovic dal piazzale antistante l’albergo mentre lo slavo era nella hall dicendo che stavano portandogli via la macchina con il carroattrezzi ( era il giorno prima della pausa di ferragosto e quasi tutti si erano fatti portare le auto per lasciare il ritiro). Appena Boro si fosse precipitato fuori Casagrande, aiutato da Oliviero Garlini, dal balcone soprastante lo avrebbe innaffiato con venti litri d’acqua. Colantuono aveva anche il compito di segnalare ai due il momento in cui lanciare l’acqua, ma da buon romano fijo de…., chiamò Cvetckovic ma vedendo che prima dello slavo c’era l’allenatore Bersellini  che stava uscendo dalla porta fece il segno convenuto in anticipo e Casagrande e Garlini così sommersero Bersellini invece del loro compagno.

Risultato: Casagrande e Garlini per tre giorni fecero un’ora di allenamenti supplementari; un supplizio durissimo !

Nell’Ancona di due anni fa c’era il senegalese Diaw DouDou, un simpatico difensore che fu la rivelazione del campionato e infatti fu venduto al Bari per ben 5 miliardi di vecchie lire. DouDou era noto, oltre che per le sue doti calcistiche, anche per le dimensioni …equine del suo apparato genitale. Soprattutto nei primi tempi quando lui era l’ultimo arrivato, i “vecchi” del gruppo si divertivano molto a fare scommesse su questo suo..aspetto. Così “l’oggetto” fu attentamente misurato da Storari e Melli, sia a riposo che in …estensione.

 

Dopo di che i due accettavano scommesse da tutti sulle dimensioni  e sulla potenza dello stesso, misurata dalla capacità di sostenere oggetti che di volta in volta venivano..appesi.

Maurizio Peccarisi, difensore anconetano, non entra in campo se il magazziniere all’angolo dell’ingresso al campo ogni volta  non gli consegna la classica chewing gum. Ma questa è una prassi seguita da parecchi.

Lajos Detari, ungherese di grandissimo talento capace per scommessa di colpire da fuori area l’incrocio dei pali dieci volte su dieci e considerato come il più forte giocatore in assoluto che abbia mai vestito la maglia dell’Ancona, ma purtroppo classico esempio di genio del tutto sregolato, si allacciava le scarpe solo all’ultimo istante nel sottopassaggio e seguendo un ordine ben preciso.

 

Fabio Lucidi, forse il più talentuoso elemento impiegato dall’ Ancona dopo Detari

 

Concludendo questa serie di assurdità in ordine sparso, ricordo un centravanti che giocò con me a Perugia nell’Olimpia Fermi: si chiamava Rico ed era matto come un cavallo. Puntualmente indossava sotto i pantaloncini da calciatore le mutande rovesciate.

Sosteneva che gli portassero fortuna; un giorno si fece male e lo ingessarono. Stette fermo tre mesi e da quella volta pensate che ricominciò ad indossarle normalmente? Affatto, decise da quella volta di indossarne due paia, una per diritto e una a rovescio!.

 

Ferdinando