C’è un posto per San Tommaso?

 

A Roccasecca, cittadina con luminoso passato storico-culturale e dal presente alquanto oscuro può succedere anche che venga commissionata una statua dedicata al suo più illustre compaesano, San Tommaso, e che successivamente non si riesca a trovare una sistemazione adeguata per la medesima. Tanto si è detto e scritto sull’argomento e L’Eco vuol partecipare al dibattito concedendo ampio spazio a questa appassionante vicenda che in qualche modo esce dal piccolo fatterello di cronaca cittadina per assumere le fattezze di singolare evento di “storia patria”, valicando velocemente i confini del Monte Asprano e della Valle del Liri.

Abbiamo ricevuto due dotti contributi che volentieri pubblichiamo, scritti da personaggi che non hanno bisogno di presentazione tra i lettori dell’Eco: Fernando Riccardi e Mario Izzi. Impeccabile nella collocazione storico-aneddotica l’intervento del primo, gustoso come sempre il lungo saggio critico del secondo. Non in antitesi bensì a completamento l’uno dell’altro

 

 

 

 

La statua di San Tommaso fra corsi e ricorsi

 

di Fernando Riccardi

 

Quando nel corso del XVIII secolo il filosofo napoletano Giambattista Vico elaborò, con intuito tutto meridionale, la celebre “teoria dei corsi e dei ricorsi storici”, non immaginava certo il successo che la sua formulazione avrebbe avuto a distanza di secoli.

Non a caso, all’inizio del terzo millennio, nell’epoca della tecnologia avanzata e dell’informatica, siamo ancora qui a parlare della sua impostazione ciclica.

 Concetto questo che sembra attagliarsi alla perfezione ad una vicenda che a Roccasecca sta destando un discreto interesse nell’opinione pubblica disorientata da un dubbio amletico: la grande statua di San Tommaso “si mette o non si mette”? La risposta, tutto sommato, sembra scontata: essendo già in loco la statua, prima o poi, sarà collocata. E poco importa se mancano le autorizzazioni di rito: dalle falde dell’Asprano essa sarà spostata più in basso, seguendo, neanche a farlo apposta, quel movimento pendolare che alla fine dell’età di mezzo, indusse i roccaseccani ad abbandonare il torvo maniero sulla vetta del monte, per accomodarsi nella più agevole spianata della Valle. Su ciò non possono esistere dubbi.

A noi però, in questa sede, preme far notare come la storia, a volte, si ripeta con diabolica presenza. Già nel 1874, in occasione del VI centenario della morte di San Tommaso, a Roccasecca si pensò di realizzare una grande statua in onore del Santo, da erigere sull’Asprano. Il proponimento però rimase tale specie per difficoltà di natura economica. Una ventina di anni dopo, verso la fine del secolo, l’idea fu ripresa: anche questa volta però non se ne fece niente. Nel 1974, ricorrendo il VII centenario della morte, ancora una volta, e sono tre, si tornò sul luogo del delitto: puntualmente però il progetto fu accantonato.

Ed eccoci ai giorni nostri: quando tutto pareva procedere per il meglio, arriva il divieto della Soprintendenza. Sembra proprio insomma che la statua di San Tommaso “non s’ha da mettere”.

Questa volta però c’è una novità tangibile: la corposa presenza della statua stessa, la cui realizzazione, commissionata allo scultore Giuliano Vangi, è costata all’amministrazione fior di quattrini. Non sarà più possibile dunque gettare nel dimenticatoio il progetto e far finta di niente. Anche San Tommaso dall’alto della sua celeste residenza se ne avrebbe sicuramente a male.

Il tutto si risolverà quindi per il meglio e Roccasecca potrà avere la sua straordinaria opera d’arte. Con buona pace del caro Giambattista che, dopo essersi sfregato soddisfatto le mani per la ripetuta conferma del suo assunto, sarà disposto a chiudere un occhio pur di vedere sanata, ed in maniera definitiva, la secolare questione.

 

 

A margine d’una polemica

 

di Mario Izzi

 La testa di San Tommaso – statua di recente fatta costruire dalla Amministrazione Comunale e non ancora collocata in sito, in paese, date l sue dimensioni fuori dell’ordinario (intorno a 10 metri d’altezza col basamento) – ha creato discussioni a non finire tra la popolazione.

A parte la spesa e tralasciando per ora le non sopite dispute su dove collocarla, non si riesce a comprendere la ragione sia delle dimensioni della testa – piccolina in rapporto al volume del cervello che avrebbe dovuto contenere – sia delle sembianze di efebo stilizzato con cui sono stati dallo scultore rappresentati il volto ed il corpo del grande pensatore. Nell’insieme, infatti, la statua può dare l’impressione a chi l’osserva che il Santo abbia avuto la figura d’un agile angelo piuttosto che la sagoma con cui è stato da sempre raffigurato dalla iconografia ufficiale, laica ed ecclesiale: quella, cioè, d’un omone, grosso e grasso. Tanto che sin da giovanissimo, quando era oblato presso il Monastero di Montecassino, un suo biografo dell’epoca racconta di essere stati costretti, al convento, a tagliare il banco per consentirgli di mettersi a sedere. Non a caso il suo Maestro – prima a Parigi e poi a Colonia – Alberto Magno, ai condiscepoli che avevano appioppato al frate il nomignolo di “bue muto” proprio per le sue dimensioni fisiche e per il fatto di essere taciturno, disse una volta che “quel ‘bue’ avrebbe un giorno emesso muggiti la cui eco avrebbe inondato il mondo”, come in realtà avvenne.

 

Ed il cui pugno sul tavolo – aggiungo io – alla mensa del Re di Francia Luigi IX, quando gli era venuto in mente un argomento per confutare una tesi filosofica dei manichei, aveva fatto tremare, per la potenza con cui l’aveva vibrato, piatti, bicchieri e stoviglie dei tanti commensali assisi all’enorme tavolata reale, i quali per un attimo pensarono al terremoto, mentre il Re, informato della ragione di quel fracasso, dispose subito perché venissero messe a disposizione del frate carta e penna affinché egli potesse fissare per iscritto i concetti che gli erano all’improvviso sopravvenuti. Ma agli artisti tutto è concesso, anche falsare la realtà, purché espressa, come nel caso, nelle forme artistiche a lui congeniali e condivise e celebrate da critici e ammiratori. 

* * * 

Il caso, però, rimane; resta inalterato il problema di fondo della collocazione del monumento, diventato ormai una sorta di tormentone, intorno al quale dissertano sia l’Amministrazione Comunale che le varie rappresentanze locali ma che all’opinione pubblica si presenta inserito nell’atmosfera che le è più congeniale. Come dire che la collocazione della statua viene ormai vista sotto il proverbiale profilo dell’ironia, avendo constatato la validità anche nel merito dell’aforisma, secondo cui “la cosa facile diventa difficile attraverso l’inutile”.  

Un problema certo, che avrebbe dovuto esser risolto prima o in coincidenza con la decisione di costruirla; ma l’assenza di questa iniziale e pur semplice metodologia non giustifica l’inerzia di chi oggi ha l’obbligo, e non l’assolve, di dirimere la ‘vexata questio’, il macchinoso dilemma. Oltretutto vi sono decine di sottoscrittori che nel monumento hanno creduto, elargendo somme anche considerevoli, e che apprendono dalle cronache la non lieta novella secondo la quale i pezzi della statua giacciono da circa un anno in uno dei magazzini comunali in attesa di decisioni che non arrivano e che ciascuno dei responsabili scarica sull’altro.

Per la verità l’ideatore del monumento il posto dove sistemarlo l’aveva in mente sin da quando sostenne la tesi, da tutti i responsabili allora accolta, delle sue dimensioni: avrebbe dovuto dominare dall’alto del monte la sottostante pianura quasi fosse la materiale trasposizione delle idee del personaggio, rappresentate per invadere visuale e prospettiva che gli stavano davanti. 

 In altre parole, il ‘muggito’ preconizzato da Alberto Magno si sarebbe dovuto riprodurre nell’eco poderosa delle circostanti valli per inondare il mondo proprio a partire dalle pendici dell’Asprano, il monte che aveva visto nascere il “bue muto”. E non credo che l’idea fosse pregiudizialmente balzana. Ma gli organi preposti alla tutela del paesaggio e delle antichità rappresentate dagli antichi ruderi del borgo medioevale – per secoli, peraltro, dimenticati – non sono stati del medesimo parere, e la statua, col suo enorme peso, è rimasta impantanata tra le norme di legge, fissate, si sostiene, “a difesa dell’impatto ambientale”.

 E a distanza di anni non si trova ancora la strada giusta per superare “l’impasse”, cioè l’impaccio, l’impiccio. Vieppiù intricato perché le tesi sostenute dalle opposte correnti sono spesso inficiate all’origine dalla natura della fazione che le formula. Ogni proposta viene rigettata perché aprioristicamente valutata in senso negativo in considerazione del colore di partenza. Così viene fuori la singolare soluzione della nuova Amministrazione Comunale, che avrebbe scelto di collocarla all’ingresso del paese. E nessuno s’azzardi a dire che la zona scelta è quella del cimitero perché questo non c’entra, secondo il Sindaco. Sarà pur vero ciò che afferma il primo cittadino ma il luogo prescelto dista in realtà poche decine di metri dal camposanto. Il luogo ‘abitato’ più vicino al monumento sarebbe infatti – piaccia o non piaccia – quello dei ‘loculi’, se lì venisse eretto il monumento.

E dato che c’è libertà di parola e di stampa, mi permetto di dire in proposito lamia, pur consapevole del fatto che, stando, come si dice da noi “più di là che di qua”, l mie eventuali stupidaggini, diavolerie, volgarmente dette ‘cazzate’, saranno perdonate in quanto formulate come amava scrivere il compianto Indro Montanelli “sub specie aeternitatis”. Anche se dovrebbe essere proprio tale non invidiabile posizione a dare alla proposta il crisma della serietà e della proponibilità, essendo oggettivamente scevra da interessi personali o di parte, attuali o di prospettiva.

Mi permetto quindi di esprimere la mia opinione, partendo da una indispensabile ulteriore premessa, che deve essere a mio avviso alla base della discussione. La disamina cioè dei motivi per cui le statue si fanno e si collocano solitamente nei centri abitati e non fuori.

Premessa semplice ed importante insieme, in quanto le statue si erigono e si sistemano nei centri abitati allo scopo di richiamare la perenne attenzione degli abitanti, dei visitatori, dei passanti sulle idee per le quali il personaggio celebrato visse e si distinse.

Le statue vengono perciò collocate nei centri abitati in modo che lo scopo per il quale sono innalzate sia con immediatezza e continuità in ogni momento raggiunto.

E’ quanto si afferma anche in rapporto al sito prescelto vicino al cimitero, e può essere che sia così.

Ma è corretto chiedersi se non vi siano all’interno del centro abitato altri luoghi dove l’effetto che si intende conseguire possa essere realizzato pur con maggiore utilità sia per l’ambiente in cui si inserisce che per il paese in generale. A mio avviso gli spazi offerti dalla “piazza longa” e quelli che costeggiano la Via Vittorio Veneto, da una parte, ed il vecchio lavatoio con la villa dall’altra, sono lì a dimostrarlo.

A preferire gli stadi  del concentrico urbano rispetto al livello di periferia prescelto, stanno invero due ragioni di fondo.

La prima: quella di avere sempre e dovunque visibile il monumento come fosse un reciproco abbraccio del paese al suo grande unico, illustre figlio e di questi al paese.

La seconda: essere in linea con l’indirizzo seguito dalle ultime Amministrazioni comunali con continuità e coerenza, vale a dire l’arredamento urbano.

Rimanendo nell’ambito della seconda ragione – la prima non avendo bisogno di spiegazioni, tanto ne sono chiari i motivi e gli scopi – non si riesce infatti a comprendere come una spesa dell’entità di quella raggiunta per l’approntamento della statua – alcune centinaia di milioni di vecchie lirette, senza trascurare il suo pur notevole valore intrinseco ed artistico – non sia utilizzata anche per arricchire, abbellire, storicizzare l’arredamento del concentrico. Ciò, indipendentemente da quale possa essere il sito prescelto, quale che sia, cioè, la posizione precisa nella quale il monumento, in quell’ambito, venga eretto. L’indifferenza sorge dalla constatazione che ogni luogo, all’interno del centro urbano, è adatto per dare al grande concittadino degna collocazione, pur considerando la eccezionalità del peso, del volume, dell’altezza del monumento.

 

Sono invero note le dimensioni della ‘piazza longa’, di cui consta per tanta parte il centro storico del paese, invidiatoci dai tanti comuni contermini proprio per l’ampiezza e la capacità volumetrica della sua strada principale, non a caso tradizionalmente chiamata la della ‘piazza longa’. Lunga oltre cento metri e larga, con i marciapiedi che la percorrono in tutta la sua lunghezza quasi fossero dei controviali, dai venti ai trenta metri, e con i palazzi del sei-settecento che la costeggiano per tutta la sua lunghezza  solo da un lato – il versante nord – quello opposto restando libero, esposto all’aria, alla luce ed al sole del lato sud, nella detta piazza esiste attualmente soltanto il monumento ai Caduti al suo culmine altimetrico mentre nell’adiacente largario di recente è stato aggiunto un busto a Severino Gazzelloni.

 Si sa, inoltre, che il paese si presenta a pendìo, on le costruzioni allineate al monte Camarca che lo protegge al limite nord del sistema montuoso (la parte meridionale del pre-appennino morsicano), all’inizio dell’ampia pianura del basso Liri sulla quale il paese s’affaccia come da una grande e panoramica balconata. Ebbene: alla già menzionata ‘piazza longa’ corrisponde, più in basso, una superficie libera piana intorno a 2000 metri quadrati, al limite esterno della quale si snoda la Via Vittorio Veneto, la cosiddetta ‘strada nova’, la prima circonvallazione (la seconda, in alto, è rimasta, come si sa, bloccata), aperta durante il primo conflitto mondiale, intorno al 1916. Su tale strada sono state costruite negli ultimi decenni nuove e belle abitazioni, mentre nella sua parte corrispondente alla sovrastante area del giardino comunale – la ‘villa’ – c’è un ampio spazio dove settimanalmente ha luogo il mercato delle verdure e dei fiori, e del quale si servono negli altri giorni i ragazzi per le loro più svariate attività sportive. Per dare il senso delle dimensioni dell’area, colà sostano anche i ‘baracconi’ per gli spettacoli popolari, che vi vengono per tradizione allestiti un paio di volte l’anno da compagni e ambulanti e per le giostre. Da qualche tempo vi affacciano anche alcuni uffici pubblici, insediati nei locali del vecchio lavatoio, ristrutturati recentemente per destinarli, appunto, alle nuove funzioni.

Per completare il quadro della zona, proprio al limite del suindicato spazio piano disponibile, quantificato intorno a 2000 metri quadri, confluisce la nuova strada di accesso al paese – la via E. Fermi, se non erro – strada che dalla frazione San Rocco sale verso il concentrico tra moderne e signorili abitazioni e seguendo un percorso breve e facilmente agibile rispetto all’altra strada, che pure accedendo al paese, passa nelle adiacenze del cimitero attraversando la parte più vecchia della zona, non certo meglio tenuta della prima accennata. Si tratta, quindi, come si può capire, di una zona molto ampia del centro storico del paese, che meriterebbe di essere meglio arredata e vitalizzata. Quale occasione migliore per dotarla di un bel monumento, dedicato dopo secoli al suo più illustre cittadino, noto in tutto il mondo civile, avendo altresì disponibili vasti spazi circostanti tanto necessari alle manifestazioni pubbliche, civili e religiose, che con la statua di quel personaggio, e di quelle dimensioni, sarebbero più frequenti e popolate?

Se poi lo spazio sottostante la ‘piazza longa’ dovesse – come si presume – restare libero, non me ne adonterei. Credo che, alla fine, non ne sarei nemmeno dispiaciuto, e non solo perché sarà il futuro a stabilire se il luogo prescelto per la collocazione della statua, vale a dire nelle vicinanze del cimitero e, comunque, nell’anticamera del concentrico o, se si vuole, in un suo posto di servizio, sia stato più felice; e nemmeno per fare, come suol dirsi, “buon viso a cattivo gioco”. Se lo spazio in questione non venisse occupato dalla statua, resterebbe integra la proposta, in altra sede avanzata a proposito della ‘sala polivalente’ e del ‘mercato coperto’ , immaginati proprio là dove si sarebbe dovuto porre la statua. E’ a tutti evidente che la utilizzazione dello stesso luogo anche per le cennate strutture avrebbe complicato di certo il lavoro dei tecnici impegnati a realizzarle.

Che se poi l’area citata  dovesse restare così come è ora, si finirebbe per dare ragione a quel mio amico il quale, in quel luogo, vede solo e soltanto lo spazio per gli scampati  ed eventuali pubbliche sciagure che dovessero arrivare ai danni della popolazione, rientrando, tra l’altro, il nostro territorio nella zona qualificata dalle relative mappe ‘a rischio sismico di 2° livello’. E saremo nel caso oltre che previdenti – aggiunge il mio amico – sicuramente meglio attrezzati per affrontarle.

A questo punto possiamo chiudere l’argomento con un paio di battutine note e trite, che valgono tuttavia ad esprimere in maniera conclusiva il mio parere, secondo le quali ‘chi si contenta gode1 ed ancora, ‘ogni giusto avrà la sua ragione’. Non senza l’aggiunta, per ‘scaramanzia’ dei debiti immancabili scongiuri …

Ho detto la mia e sono perciò soddisfatto, anche se la mia proposta è probabile giunga a decisione ormai consolidata. Ma, giacché ci sono, mi permetto suggerire l’epigrafe che apporrei sul frontespizio della statua, e che ho tratto da una pubblicazione specialistica (Tommaso d’Aquino, L’uomo e l’universo – opuscoli filosofici a cura di Antonio Tognolo, Rusconi Libri, spa, 1982, CDE, Milano, 1991 su licenza Rusconi Libri, pag 84):

 

“DALL’ALTO DELLA TUA DIMORA

IRRIGHI I MONTI”

 

Versetto 13 del Salmo 103

‘Principium’ – o prolusione – con cui Tommaso iniziò l’insegnamento alla Sorbona, Parigi, nel 1256, quale “magister actus regens”