Il bersaglio

 

  Ho letto di recente un libro molto toccante: Soldati e prigionieri italiani nella prima guerra mondiale", di G. Procacci, Ed. Bollati Boringhieri. Si tratta di un saggio sulle condizioni dei soldati italiani durante la Grande Guerra, con una ricca appendice di lettere inviate a casa dai ragazzi al fronte. Lettere censurate, arrivate con parti mancanti o addirittura mai giunte a destinazione, conservate per quasi un secolo negli Archivi di Stato. Sono lettere struggenti, spesso di semianalfabeti che però testimoniano l'immane sofferenza della guerra. I soldati, partiti con fulgidi ideali si scontrano dopo lunghi mesi di trincea con una realtà inattesa e terribile. Ma le loro testimonianze non possono giungere a casa, sarebbe un disonore far “apparire” tali sofferenze! Tra le tante, particolarmente significativa questa risposta di un figlio alla propria madre: “…. nella tua ultima mi parli troppo di Dio. Povero vecchio e buon Dio! … La madre austriaca e la madre italiana pregano, per i rispettivi figli, lo stesso Dio di pace, di amore e di altre simili cose. A chi dovrebbe dar retta Dio?? Lascialo in pace il povero vecchio!” Il libro mi ha dato lo spunto per approfondire il tema delle “lettere dal fronte” anche sui siti internet dedicati alla prima guerra mondiale. In una pagina a cura di Gianluigi Falabrino ho trovato una recensione del libro in oggetto ed una breve analisi dei poeti che hanno dedicato versi alla Grande Guerra. Tra i tanti, famosi od oscuri, mi ha colpito in modo particolare la testimonianza sofferta, ricca di umanità e di dolore, di Ungaretti:

 

"Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

Ma nel cuore

nessuna croce manca

E' il mio cuore

il paese più straziato".

 

(da San Martino del Carso in Il porto sepolto, 1918).

 

Ma vicino a questi poeti, non sfigura certamente - anzi, ci dà la sintesi più commossa di ciò che la guerra ha significato per chi l'ha vissuta - la poesia di uno sconosciuto, scolpita nella Galleria del Castelletto alle Tofane: 

"Tutti avevano la faccia del Cristo nella livida aureola dell'elmetto. Tutti portavano l'insegna del supplizio nella croce della baionetta E nelle tasche il pane dell'Ultima Cena e nella gola il pianto dell'ultimo addio".

Perché parlo di “guerra”? Purtroppo è un argomento tornato d’attualità. L’uomo continua a distruggere se stesso in nome di un Dio che mai potrebbe approvare tanto impegno distruttivo in Suo Nome e resta invece, proprio Lui, il bersaglio della stupidità umana.

Il Direttore