Due nuove pubblicazioni di Mario Izzi
Non solo per Roccaseccani
La produzione di Mario Izzi negli ultimi tempi si va facendo sempre più ricca e frequente. Nel 2002 erano stati pubblicati Ancora su “Rocca d’Aquino” e Sulle ore di Erasmo, di cui vi avevamo parlato. Nell’ultimo anno Mario mi ha mandato altri due libri: Versi dal Campanile e In Paese tra realtà e fantasia.
Il volume dedicato ai “Versi” (sottotitolo “Sciocchezze di serie”) si presenta con una bella copertina (foto di G. Giovinazzi) e raccoglie una quarantina di composizioni scritte in un arco di tempo molto vasto (1947-1997). L’autore, nella usuale simpaticissima lettera di accompagnamento, mi invitava a leggere l’introduzione, dopodiché avrebbe potuto sperare nelle attenuanti generiche per una condanna mite, se non proprio per l’assoluzione. Scrive l’autore nell’introduzione: Ho indugiato molto prima di decidere se pubblicare il presente volumetto. Ciò per via del titolo. Scrivere “liriche” mi sembrava troppo. “Poesie”, meno che mai. “Rime” sarebbe stato, forse, meno impegnativo ma era inesatto perché alcune di esse sono a verso libero e dalle sillabe e dalla rima. Quando mi è venuto in mente che avrei potuto qualificare il contenuto precisandone la provenienza – il vocabolo campanile è di per sé riduttivo – e facendola precedere da “versi” in modo da chiarire già in partenza che non si trattava di prosa, mi è sembrato che il pericolo della supponenza, della presunzione, sarebbe stato attenuato. Oltretutto - mi sono detto – il sottotitolo costituisce, per ciò che attiene al merito, una esplicita salvaguardia. In realtà Mario non ha certo bisogno di dare troppe “spiegazioni” . Orazio Manente, altro amico “recente” dell’Eco, da Montefiascone, ha scritto di questi “Versi”: “Poesie scorrevoli dettate dal cuore e dal rispetto per la natura, per gli uomini e per la vita … Anche le sferzate ai politici del tempo alle nostre spalle, ma che valgono anche per gli attuali, sono singolari, intelligenti, reali” C’è poco da aggiungere a tali sintetica e lucida analisi. In effetti queste poesie, scritte da colui che riferendosi a se medesimo - nell’altro libro - si definisce “l’intruso”, (ovvero colui che, non vivendo in continuità tra i suoi compaesani, non riesce a comprenderne gli intimi desideri, le appropriate valutazioni, le effettive esigenze) sembra invece conoscere bene vizi privati e pubbliche virtù del Paese in cui visse l’infanzia prima di approdare ad altri lidi. A me è piaciuta molto l’idea di indicare, prima di ciascuna sezione, alcuni brevi aneddoti e precisazioni, relativi ad alcune delle composizioni in oggetto. Ad esempio, relativamente a “Vecchio uscio” egli scrive: trae origine dalle ripetitive domande degli amici quando tornavo in paese, solo, nella vecchia casa paterna pressoché abbandonata. Una volta, in risposta, accennai alla strofa che finisce col verso “là, dove ti si annunciano fratelli” … L’interrogante era allora Masino Filancia – “frammocchio” per gli amici - . Doveva averne capito il senso perché mi disse di condividerlo. Ne avrebbe, anzi, parlato con chi in paese si interessava alle rime. Seppi poi che i figli all’epoca avevano pubblicato “Faccia tosta” una raccolta di liriche in dialetto. I versi dal Campanile, parte di una ben più ponderosa produzione, sono stati suddivisi dall’autore in tre sezioni: A contenuto Lirico, a contenuto Satirico, a contenuto Localistico.
Dalla prima sezione:
Vecchio uscio
Si chiedono perché qui torni spesso Ad albergar la casa derelitta. Non v’è chi veda in ciò ragione o nesso, poi che non son persona stanca o afflitta.
Lor guardano sovente dall’esterno, non pensano a color che son lontani, che vivono da lustri nell’inferno di lande, accenti, umor, costumi strani.
Là, dove ti si annunciano fratelli, t’annegano nel mar dell’indistinto, ed usano la lingua pe’ coltelli finché s’abbia a tener per vero il finto.
Mi basta, allora, un albero, una pietra, un uscio vecchio della casa antica e l’aria che respir rinnova l’etra d’un epoca ch’appar non più nemica.
Ovviamente i “Versi” saranno oggetto di ulteriori “saccheggi” da parte dell’Eco, per i prossimi 40 numeri. Del resto, l’autore me ne ha data facoltà ed io approfitto. Ma l’invito, si sa, è quello di procurarveli questi libri, cari lettori, perché alla nostra funzione di “informazione”, dovrebbe far seguito quella di “ricerca ed acquisizione” del testo, da custodire gelosamente nelle proprie librerie. Prima di concludere l’argomento vorrei però aggiungere un’altra citazione (solo pochi versi, per motivi di spazio) dall’ultima poesia della raccolta: Arricchimento (1997). Trovo che siano versi che possono portarci, sia pure per pochi secondi, in una dimensione di quella serenità insita nell’animo di chiunque abbia vissuto una infanzia in campagna:
Mi tuffo in mezzo a un mare d’aria pura, tra panorami rustici e giocondi, indugio a contemplare la natura e tutti i giorni sembran più facondi.
E passiamo all’ultima fatica di Izzi. Il titolo mi ha immediatamente conquistato: In Paese tra realtà e fantasia, datato Ottobre 2003. Nella premessa dell’autore si dice che “essendo ormai giunto alla conclusione dell’Aneddotica, ho ritenuto di intitolare il volumetto che suggella il lungo viaggio negli incunaboli della memoria, fissandolo tra realtà e fantasia. Nel senso che ho, sì, ancora riferito episodi tratti dalla realtà passata e presente, ma facendoli questa volta seguire da ciò che la fantasia mi ha suggerito di esprimere intorno ad essi “. Forse Mario non è proprio “giunto alla conclusione” se, nella solita lettera di accompagnamento mi scrive che “spero di aver conclusa la lunga e dispendiosa (!) serie di ‘pubblicistica paesana’, ma per la verità ho ancora alcune composizioni dialettali (Rime Novelle) già pronte”. Insomma, se abbiamo ben capito, possiamo sperare in altre puntate … Il volume in oggetto presenta dunque altri simpatici quadretti di paese, alcuni dei quali vennero forniti all’Eco in anteprima mondiale; ad esempio, il primo aneddoto, intitolato “La saràga”, trovò grande spazio nell’Eco 35 dell’Ottobre 2001 e “A margine d’una polemica” fu invece pubblicato sull’Eco 41 nel Febbraio 2003. Tra realtà e fantasia dunque si muove l’autore, non a caso dedicando un capitolo a quel modo tutto roccaseccano (ma non solo …) di raccontare il medesimo aneddoto più volte con protagonisti e situazioni sempre diversi; la cosa curiosa è che ciò accade sia quando i narratori sono personaggi differenti – e ci sembra possibile - sia quando il narratore è il medesimo (e ne conosciamo!) ma sembra divertirsi ad aggiungere particolari mai raccontati in precedenza! Il capitolo si intitola “Le inesattezze degli aneddoti” e riporta anche (concedeteci il vezzo) una citazione proprio all’ …. Eco di Roccasecca!
Le inesattezze degli aneddoti
A proposito di luoghi, persone, avvenimenti tutti riportati nell’Aneddotica, occorre riconoscere che non c’è unanimità di consensi su come, quando, dove e perché vengono alcuni di essi rappresentati. Alcuni lettori ritengono infatti non fondati, a volte, sia tempi che modalità dei fatti raccontati mentre taluno si spinge più in là, contestando anche l’identità di qualche personaggio tra i tanti descritti. Tutto ciò era stato, per la verità, previsto fin dall’inizio: basta controllare l’Avvertenza contenuta già nel primo volume della collanina per rendersene conto. Perché, dunque, ciò è accaduto? Si risponde: semplicemente perché è nella natura delle cose. Più esattamente, ciò deriva dal fatto che le notate diversità – apparenti o reali – sono state, sono e saranno sempre presenti quando ci si provi a riferire fatti, avvenimenti, circostanze prossimi ad entrare nel buio del tempo. Come pure stava per accadere con i tanti personaggi della Aneddotica in questione. Valgano alcune considerazioni per meglio esprimere il concetto, e cominciare da uno di codesti fatterelli a noi più vicino, il quale, proprio per la vicinanza temporale dell’accaduto, diventa particolarmente emblematico di ciò che si intende chiarire. Si tratta della storiella che va sotto il nome della ‘promozione’, l’episodio, cioè, di cui fu protagonista il vecchio suonatore di trombone Gemma, intorno alla metà del secolo scorso. Si racconta, infatti, che questi, infastidito dal poco lusinghiero giudizio espresso da un brigadiere dei carabinieri dopo l’esibizione concertistica della banda paesana, predisse al sottufficiale che mai sarebbe diventato maresciallo, essendosi mostrato incapace di apprezzare nella dovuta misura il concerto di una banda a tutti allora nota per le sue alte qualità espressive, dovunque magnificate, denunciando così deficienza intellettuale oltre che insensibilità artistica. Ebbene, dalla rivista bimestrale “L’Eco di Roccasecca”, bonaria e scanzonata pubblicazione che da oltre sette anni vive anche su Internet (www.ciociari.com), è stata per ben due volte a breve distanza di tempo variamente riferita la storiella, modificando sia il luogo che lo stesso personaggio che lo incarna. In una, infatti, un lettore riferiva l’episodio, precisando che il fatto sarebbe avvenuto in un non meglio precisato paesello della Ciociaria ed avendo per protagonista il bidello della banda. In altra occasione un diverso lettore a sua volta, ricordava che il fatto sarebbe avvenuto a Roma in coincidenza della esibizione della banda in questione presso una istituzione militare. E’ noto che chi scrive ha ambientato la storiella in un comune del Gargano, indicando in Gemma – vecchio suonatore della banda medesima – il reale protagonista del fatto (v. “Come vivevamo … e ridevamo, vol. 1, Aneddotica”, pag.159). L’amico e compaesano Peppino Pastiglia - novantacinquenne ancora vegeto e lucidissimo - afferma invece di essere stato egli testimone dell’accaduto, che sarebbe avvenuto proprio a Roccasecca, sotto il palazzo Notarangeli, luogo dove di solito avvenivano in paese le esibizioni concertistiche della banda. E si premura , Peppino, di precisare che egli era proprio di fianco ai due protagonisti dell’episodio e che aveva avuto modo di gustarsi l’avvenimento e la battuta che lo caratterizzò, divertendosi un mondo per la trovata singolare del vecchio musicante. Ricorda, Peppino, persino il brano musicale eseguito: l’Inno al sole. A distanza di poco più di sessanta-settanta anni dall’accaduto abbiamo avuto, dunque, ben quattro diverse versioni sul luogo e sulla persona oggetto dell’avvenimento! M. Izzi * * * A questo punto il capitolo prosegue con una storia simile fuori dell’ambito paesano, per la quale rimandiamo i lettori ad una futura puntata. |