Il bicchiere spezzato

  

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 ra  una “promessa” del calcio italiano. Aveva giocato nelle giovanili del Torino, insieme a Bobo Vieri e poi nell’Arezzo di Serse Cosmi, al quale è rimasto legato fino agli ultimi istanti della sua giovane vita. Ma a 25 anni ha smesso di giocare, colpito dall’ormai famigerato morbo di Gerhig, che in pochi anni se l’è portato via. E’ morto a soli 31 anni. E’ morto il giorno dopo la tragica fine di Marco Pantani. Il TG 5 del 15 febbraio ha dato questi due decessi come prima e seconda notizia: un fatto senza precedenti. Diciamo la verità, Lauro Minghelli lo ricordavano in pochi e, se non fosse morto in così giovane età, probabilmente non se ne sarebbe mai parlato. Gli ex calciatori colpiti da questa malattia negli ultimi anni sono circa 50, di cui una ventina deceduti, molti di più rispetto ai pochi nomi che spesso vengono ricordati,  Signorini in testa.  Il morbo di  Gerhig (il nome scientifico della patologia è Sclerosi laterale amiotrofica dei neuroni motori) prende il nome dal campione americano di baseball, Lou Gerhig, che rimase in attività dal 1923 al 1939. Celeberrimo il film che ne narra le gesta e la tragica fine, protagonista il bravissimo Gary Cooper. Il morbo di Gerhig distrugge progressivamente l’apparato muscolare e conduce il paziente alla immobilità ed al collasso respiratorio. Le cause della malattia non sono ancora note, ma si ipotizza da tempo una responsabilità di alcuni tipi di farmaci, alcuni dei quali sovente somministrati agli sportivi per ottenere “risultati più soddisfacenti”. Sappiamo che se ne parla da anni, che c’è un’inchiesta in corso, che l’allenatore Zeman e l’ex calciatore Petrini hanno denunciato in interviste e libri l’abuso di medicinali addirittura in ambito di squadre giovanili. Ma il mondo del calcio, e dello sport in generale, sembra non accorgersi di tutto ciò. Il timore di vedersi sfuggire la “gallina dalle uova d’oro” riesce a tener buoni (e zitti) quasi tutti i personaggi coinvolti: calciatori, procuratori, allenatori, giornalisti della carta stampata e delle TV.  Ma si sa, lo sport ormai è show-business e gli interessi che traina sembrano aver più valore di qualche vita prematuramente bruciata. E’ triste vedere relegata in fondo a pag. 13 (Corriere dello Sport) la notizia della morte di Minghelli, mentre in prima pagina campeggia una grande foto a colori di Patrizia Cacciatori, accompagnata dalla didascalia che ipotizza il suo matrimonio a breve scadenza.

Era un ragazzo forte e vigoroso, Lauro Minghelli, eppure un brutto giorno, a soli 25 anni, mentre portava alle labbra un bicchiere, lo vide cadere e spezzarsi rovesciando la bibita in terra. Fu il primo segnale, il primo campanello d’allarme che i suoi muscoli cominciavano a cedere. Sembrava nulla ed invece, in capo a sei anni, anche la sua vita sarebbe finita spezzata come quel maledetto bicchiere. Ed ora in troppi fanno finta che non sia successo nulla!

Per chi, come me, è sempre stato innamorato del calcio, è ancora più difficile scrivere queste cose. Ma assolutamente necessario.

Il Direttore