I Racconti brevi di Gianni

L’INTRUSO

 

Questa è una storia risalente a parecchio tempo fa, diciamo alla notte dei tempi. Accadeva quando io ero nell’utero materno;un utero ospitale, dotato di tutti i comfort che il progresso ci ha donato: liquido amniotico limpido e pulito, cordone ombelicale ben sistemato che mi smistava velocemente tutto il mio fabbisogno nutritivo. E poi la placenta, ah quanto era comoda! All’interno le pareti  erano rifinite con un tulle delicato e candido, sul soffitto era dipinto un cielo turchino, con tante stelle e una luna pacioccona e sorridente. Insomma  stavo come un principe. Eppure ogni tanto avvertivo un qualche fastidio, un qualcosa che disturbava la mia quiete di embrione beato in fase di sviluppo. Avvertivo una presenza un tantino opprimente, era come se il mio spazio fosse profanato, sistematicamente si scatenava improvviso una specie di cataclisma  e  io mi ritrovavo a testa in giù o magari facevo qualche capriola. Il mio disappunto per questo reiterato disagio cresceva di giorno in giorno; non riuscendo più ad ignorare questa sensazione, decisi di andare a fondo alla faccenda. Cominciai così a guardarmi attorno, ma nella mia sacchetta era tutto a posto, lindo e pulito; è vero non c’era molto ordine, ma questo non è tra le mie prerogative più sviluppate, neanche adesso. Scattò irrevocabile la decisione di spingermi all’esterno della placenta per indagare a fondo su quelli arcani. con felino passo felpato e furtivo aprii la porticina della mia placenta e con accortezza, direi quasi con timore provai ad uscire. Un freddo pungente mi aggredì facendomi battere i denti, scioccato  precipitosamente riparai dentro casa. Passarono alcuni giorni nei quali rimasi rintanato al calduccio della mia casetta, ma continuavo a rimuginare sul da farsi, finché accadde qualcosa che mi fece rompere gli indugi. tra le varie cose inopportune, ne avvenne una nuova: mi stava arrivando sempre meno cibo. Ora va spiegato come io non sia una persona il cui consumo quotidiano di cibo sia quantitativamente elevato, ma il giusto lo pretendo anch’io.

Decisi così di affrontare coraggiosamente il mondo esterno. Questa volta presi le giuste precauzioni, richiesi guanti, sciarpetta e cappellino di lana: così bardato uscii quell’ universo oscuro. Procedevo con grande precauzione, la visibilità non era delle migliori, annusavo degli odori nuovi, non tutti piacevoli a dire il vero. avanzavo a tentoni, esplorando quel territorio sconosciuto e temuto, presumibilmente pieno d’insidie, fino a quando davanti non mi si parò una struttura che subito mi apparve familiare. Dopo averla osservata con attenzione compresi: ma certo era una sacchetta tale e quale alla mia! Com’era possibile?

 

Quando avevo preso possesso della mia non mi era stato detto dell’esistenza di altre in zona. Cercai allora di sbirciare all’interno e con grande sorpresa vidi muoversi all’interno qualcuno in molti aspetti simile a me, anche se sensibilmente più grasso. Chi era l’intruso? Confesso che cominciai ad innervosirmi, questo stato d’animo diventò addirittura furore quando il clandestino muovendosi in modo scomposto, mi fece perdere l’equilibrio. Il risultato è che andai a sbattere contro la parete della placenta abusiva. Questa volta mi bastò alzare gli occhi per comprendere: il mio cordone ombelicale aveva una diramazione che finiva direttamente al mio dirimpettaio, quindi eravamo uniti. Tornai precipitosamente nella mia placenta: adesso era tutto chiaro, non ero solo. Senza indugio mi rivolsi ai piani alti protestando con vigore con chi di dovere; sentivo di essere stato raggirato, questa era una prevaricazione dei miei diritti. Tutti ascoltarono le mie rimostranze con molta attenzione e comprensione, tuttavia conclusero dicendomi di essere tollerante. Ma io non ero assolutamente d’accordo. Tornai nella mia sacchetta, molto molto contrariato. Mi frullarono per la testa molte idee luciferine: da quella di sfidare a duello il grasso intruso, a quella di dar fuoco alla sua placenta – a dire il vero molto più brutta della mia – passeggiavo animatamente su e giù arrovellandomi sul da farsi. quando poi a malincuore stavo cominciando ad accettare quell’ inevitabile convivenza, accadde che l’altra sacchetta fu travolta da un’inondazione e scomparve.

Io ad essere onesto non so bene cosa accadde, per la verità quella sera ero un po’ alticcio, avendo bevuto più del solito. Eppure per qualche giorno dentro di me aleggiò una certa tristezza, chissà forse avevo cominciato ad affezionarmi a quella presenza tonda e grassottella. Tutto sommato c’era spazio per tutti, bastava mettersi d’accordo su qualche piccola regola del buon vivere. Chiesi in giro se per caso la mia solenne arrabbiatura non avesse prodotto quella repentina sparizione. Fui rassicurato, la scomparsa era addebitabile  solo ad una pura fatalità. Passò del tempo la tristezza svanì, il senso di solitudine mi abbandonò e ripresi allegramente le mia principesca vita di embrione.

GS