Versi dal Campanile

Di Mario Izzi

 

Continuo a proporvi le poesie tratte dall’ ormai celebre antologia pubblicata circa un anno fa, che tanto interesse ha suscitato in lettori vecchi e nuovi. Ho scelto due opere tratte dalla sezione a contenuto “satirico”, forse appropriate all’attuale clima “elettorale”. Come scrive Mario nella presentazione “esse riflettono chiaramente l’oggettività del vissuto nel momento in cui furono pensate. Sono manifestazioni di quel ‘teatrino della politica’ o, se si preferisce, della ‘politica del teatrino’ di buona memoria, dove il trasversale, l’immobilismo o il vivere alla giornata annullano ruoli e valori, generando la confusione da tutti avvertita, deludendo aspettative più che legittime, creando perfino sospetti sulla democraticità e sulla utilità di un sostema che, vegetando per sopravvivere, traccheggio e taglieggia. Con le conseguenze intuibili sul piano etico e del costume verso cui a parole ciascuno afferma pure di ‘tendere’.

 

QUESTI CETI DOMINANTI

 

Siano o no ceti ‘emergenti’,

siano o no ceti ‘calanti’,

sono alquanto prepotenti,

furbi, astuti ed arroganti.

 

Siano ‘club’ di dirigenti,

siano ‘vip’ molto eleganti,

pur se spesso tanto influenti,

poco son significanti.

 

Questi ceti dominanti,

che mai guardano in avanti,

son sempre, tutti quanti,

frodator, discriminanti,

 

altezzosi e indisponenti,

ben cocciuti, impenitenti,

fricchettoni ognor violenti,

conformisti e dissidenti.

 

Molti son gl’inconcludenti,

tanti son gl’ignoranti,

non son pochi i delinquenti,

tutti son tracotanti.

 

(Monteombraro, 15 agosto 1980)

 

 

 

INDOVINELLO

 

Sta dovunque, in ogni parte,

pare sparsa invero ad arte,

se la spazzi oppur la fuggi

sempre meno la distruggi.

Ce n’è tanta nelle piazze,

son montagne, mucchi, chiazze;

ve n’è pure negli uffici,

nelle aziende, gli opifici.

Cè n’è tanta nelle banche,

nelle Chiese – ahimé – finanche;

altra ancor negli ospedali,

negli stadi, i tribunali.

C’è perfino nelle scuole,

e di ciò nessun si duole;

ce n’è ancor nelle caserme,

ove alcuno, invero, è inerme.

Sopravanza nei partiti,

che ne sembrano assortiti,

ne hanno pure i sindacati,

che ne son tutti inondati,

entra ed esce nelle case,

come ad ognuno ogni ora piace.

Sol qualcun ne appare senza,

ma ce l’ha sulla coscienza.

Or scigliam l’indovinello,

proprio adesso, sul più bello,

con un pizzico d’astuzia

ed inver non senza arguzia.

E’ codesta l’immondizia,

vale a dire la sporcizia,

noi in dialetto, con saggezza,

la chiamiamo la munnezza.

Poi che detto chiaro e tondo

Di “munnezza” è pieno il mondo.

E se non te ne sei accorto,

sembri vivo, ma sei morto.

 

(Ottobre 1981)