I grandi del tennis:

Mats Wilander

 

 

Finale degli U.S. Open del 1988: Mats Wilander, svedese nato il 24 agosto 1964 a Vaxjo, sta per servire per il match e per il titolo contro Ivan Lendl, cecoslovacco naturalizzato americano di quattro anni più anziano e all’epoca il giocatore più forte del mondo; la battuta di Wilander è profonda e insidiosa, fiacca e perdente la replica di Lendl che consegna così la partita all’avversario. Rino Tommasi, insieme a Gianni Clerici il più autorevole esperto di tennis italiano, così nella telecronaca in diretta suggella quella memorabile partita: “in rete la risposta di rovescio di Ivan Lendl, Mats Wilander dopo 4h e 54minuti di gioco vince gli open degli Stati Uniti, è il primo giocatore del mondo”. Infatti Wilander grazie a quell’affermazione  scavalcò il rivale nella classifica mondiale. Per la cronaca il punteggio di quella straordinaria partita fu 64 46 63 57 64.  Per Wilander la vittoria nel prestigioso torneo di New York – uno dei quattro del grande slam, insieme a Londra, Parigi e Melbourne – rappresentò l’apice di una bellissima carriera tennistica, che lo vide sbocciare nel 1982 quando si impose per la prima volta a Parigi, dove in finale batté un altro grandissimo campione: l’argentino Guillermo Vilas, il poeta con la racchetta.

 

La prima vittoria importante di Wilander seguì di pochi mesi il ritiro dalle scene di Bjorn Borg, capostipite della scuola svedese e soprattutto uno dei più grandi di tutti i tempi: il suo record di cinque vittorie consecutive a Wimbledon è il biglietto da visita più bello. Dal 1982 Wilander centrò ben sette titoli del grande slam e appartiene di diritto al gotha della storia del tennis. Tuttavia Wilander per arrivare al vertice del tennis ha attraversato un’evoluzione tecnica che lo portò via via  a trasformare il suo gioco puramente difensivo – i maligni dissero che nella finale con Vilas scese a rete solo per stringere la mano all’avversario – in un gioco sempre più aggressivo: nella finale contro Lendl Wilander scese per ben 131 volte a rete.   Le caratteristiche principali del gioco di Wilander erano comunque altre; tecnicamente i suoi colpi erano un dritto liftato quasi infallibile e un’altrettanto insidioso rovescio a due mani. Questo gioco lo portava a rimettere costantemente dall’altra parte del campo palle che rimbalzavano con parabole profonde, costringendo gli avversari a scambi prolungati ed estenuanti. Se poi il rivale provava a scendere a rete, il passante di Wilander era assolutamente letale. Lo Svedese aveva poi una resistenza allo sforzo elevata, veniva non a caso considerato il giocatore più forte del mondo dopo la quarta ora di gioco. Ovviamente questo tipo di gioco era adatto soprattutto ad una superficie quale la terra battuta, sul cemento e ancor di più sull’erba Wilander otteneva benefici di gran lunga inferiori dal suo gioco. E qui entra in ballo la caratteristica più ammirata del tennista svedese: la testa, intesa come capacità di concentrazione, ma anche come intelligenza tattica tale da portarlo ad adottare sempre la soluzione migliore durante una partita e soprattutto nel perseguire un’evoluzione tecnica che non ha molti epigoni nel gioco del tennis. Wilander in campo ha sempre avuto un atteggiamento molto corretto; a memoria ricordo averlo visto gettare la racchetta solo una volta, ai French open del 1988, quando infilò una serie d’errori gratuiti inusuali per lui, che lo stavano per portare alla sconfitta contro lo jugoslavo Zivojinovic. Soprattutto nella prima fase della carriera Wilander in campo non ha mai concesso nulla alla platea; gesti fuori posto, proteste nel suo repertorio erano assenti.

 

Ricordo come nella finale di New York nel 1988 ci fu una clamorosa contestazione di Lendl che protestò a lungo contro il giudice di sedia affinché cambiasse il giudizio di un giudice di linea che non aveva chiamato fuori una palla di Wilander. Il punto successivo ci fu una chiamata sfavorevole a Wilander, anche questa molto dubbia, lo Svedese riuscì a controllarsi per un pelo, ma non emise un gemito. Un giorno Wilander, con la sua solita semplicità, affermò: “finito uno scambio, qualunque sia l’esito, io me lo dimentico, penso solo al punto che sto per giocare”. Un’altra regola d’oro, chi gioca a tennis sa benissimo che non c’è niente di peggio che recriminare su uno sbaglio, bisogna solo guardare avanti. Purtroppo non è così facile. Certo ci sono stati giocatori come John McEnroe che hanno fatto della protesta selvaggia, dell’insulto sistematico il loro marchio di fabbrica. Il genio dell’americano consisteva però nel riuscire a far deconcentrare l’avversario, mentre lui continuava a giocare divinamente.

Mats Wilander tecnicamente era sicuramente inferiore a giocatori del calibro di John McEnroe, forse il più grande di tutti, Boris Becker, il connazionale Stefan Edberg, l’unico svedese ad avere un gioco puramente d’attacco tanto da essere soprannominato “l’angelo biondo della rete”, Pat Cash e Ivan Lendl, tutti vincitori di almeno un titolo del grande slam negli anni di Wilander. Eppure Mats ha trovato il modo di sconfiggerli tutti; prima ancora dell’affermazione sul cemento newyorkese Wilander si affermò per due volte sull’erba australiana, pur differente da quella londinese nel suo essere più secca e meno alta e quindi più adatta ai giocatori  che giocano soprattutto di rimbalzo.

L’evoluzione di Wilander, come spesso accade, è passata attraverso una crisi di poco più di un anno, quando il campione cominciò ad avvertire una certa nausea per il gioco che l’aveva reso famoso. Non secondaria in questa crisi fu anche l’incontro con quella che diventerà la donna della sua vita, la bella Sonja, di nazionalità sudafricana. Wilander ebbe la saggezza per staccare la spina per qualche mese e ripresentarsi nel 1987, quando vinse gli internazionali di Roma e la coppa Davis e arrivò in finale agli open di Francia e Stati Uniti dove però fu sconfitto da Lendl.

 

 

 

I suoi detrattori affermarono allora che non era più il giocatore di prima e che la sua evoluzione tecnica l’aveva reso un ibrido. A tacitare i critici arrivò però il 1988:Wilander si presenta a gennaio quando vince gli Australian open battendo in finale l’idolo di casa Pat Cash in cinque set, su una superficie più ostica dell’erba, il cemento. In maggio vince il titolo ai French open, battendo in finale il francese Patrick Leconte, in tre set e diventa il secondo giocatore del mondo. I più tenaci critici sottolineano un dato inoppugnabile, in entrambi i tornei Ivan Lendl, il numero 1,  è stato tolto di mezzo da altri; Wilander ha perduto gli ultimi sette match con il cecoslovacco e questo significa che un’eventuale finale lo vedrebbe soccombente.

Arrivano gli U.S. open e l’appuntamento che tutti aspettano si verifica: la finale è la medesima dell’edizione precedente Mats Wilander contro Ivan Lendl. I pronostici sono tutti contro lo svedese, solo Rino Tommasi lo dà vincente. Prima del match Mats trova il modo di fare lo spiritoso, alla domanda su come vedeva il match risponde: “nessuno mi ha mai battuto per otto volte di seguito”. Nella calda ed umida fine estate di New York si svolge così la partita, Wilander vince il primo set, il secondo se lo aggiudica Lendl: l’altalena di emozioni prosegue fino alla fine della partita, quando nel corso del quinto set Wilander ha un match point sul 5-4 che Lendl annulla. È poi il cecoslovacco ad avere due break point che potrebbero portarlo sul 5-5, che Wilander annulla attaccando. Arriva il secondo match point e Mats Wilander centra la vittoria e la consacrazione definitiva di tennista capace di trasformarsi da terraiolo puro a giocatore completo degno del vertice del tennis. In quell'occasione Wilander ha dichiarato:

 

 

"E' stato il match più intenso che io abbia mai giocato. penso di non aver giocato un singolo punto, addirittura un singolo colpo senza aver sempre chiaro in testa l'obiettivo che mi ero prefissato... quello che dovevo fare per batter Ivan. Ho variato tantissimo il gioco, cambiando spesso velocità e rotazione alla palla per dare poco ritmo al mio avversario, e ho dovuto fare tutto questo per 5 lunghi set."

Dopo questa stagione trionfale, Wilander, a 28 anni, inizia la sua parabola discendente. Il tennis lo ha definitivamente nauseato, è diventato padre di due gemelli, ammette serenamente di non avere più la testa per inseguire una pallina sul campo fino allo sfinimento. Ha raggiunto l’apice con una dedizione, una tenacia e una determinazione ammirevoli: segno che la filosofia del non arrendersi mai alla fine paga. La sua fama di tennista dal comportamento sempre corretto, fu sporcata da una squalifica per doping nel 1993, quando venne trovato positivo alla cocaina. Al di fuori del tennis Wilander ha all’attivo una discreta attività come chitarrista rock. Insieme a John McEnroe ha dato vita a vari concerti, ai margini dei tornei di tennis. Tra i suoi amici c’è anche Keith Richards, col quale alternano partite a tennis a jam sessions.

 Oggi Mats Wilander si diverte con gli altri campioni della sua epoca nel “Senior Tour”, il circuito riservato agli ex professionisti. Una bella iniziativa quella di far vedere i campioni del passato, durante i tornei non sono poco gli aficionados che dopo essersi visti un match tra Roddick e Federer (attuali leader della classifica) spararsi pallate, corrono a vedere partite in cui il tennis appare uno sport meno da marziani.

 

Gianni Sarro

 

Lo stile di Gianni, autore dell’articolo. Anch’egli classe ’64,

non sembra aver niente da invidiare a Wilander!

 

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Uno sport complicato

Il tennis a prima vista ha l’aria di uno sport quasi innocuo: per praticarlo basta avere una racchetta, qualche pallina non troppo sgonfia e un paio di scarpe da ginnastica. Per organizzare una partita bisogna trovare un solo avversario, infatti si gioca in due; vuoi mettere con una partita a pallone undici contro undici? Eh si! Proprio una cosa semplice semplice. Poi accade che il Direttore ti chieda di scrivere un articolo sui personaggi che hanno fatto la storia di questo sport, allora penso: che bello! Scrivo un paio di cartelle, volo basso, non mi addentro in terminologie troppo tecniche, poi per scrupolo le faccio leggere ad un paio di persone più o meno a digiuno di tennis. E si apre il baratro. Qualcuno ha rischiato di assopirsi dopo qualche riga, qualcun altro ha timidamente chiesto delucidazione sul punteggio. Volenteroso ho cercato di spiegare:

- il tennis segue un punteggio basato su punti che vanno in progressione: 15/30… -

- 45 - vengo interrotto.

- No 40 - è la risposta.

- Ah - è la replica  già un po’ sospettosa -. E quando vinci? –

- Beh, non si dice un numero, ma si dice gioco. –

-Ah!-  È nuovamente la risposta, e cominci a notare del livore nell’interlocutore. Poi provi a spiegare la terminologia. In Inglese a fine partita si dice GAME, SET, MATCH, in Italiano GIOCO, PARTITA INCONTRO. Quindi se dici ho vinto una PARTITA, non sei mai sicuro se l’interlocutore pensa che tu abbia vinto un set o l’incontro. Le gentilissime persone che si sono prestate a farmi da cavie hanno alla fine chiesto:

- ma quando finisce la partita (ovvero il match)?-

Sinceramente imbarazzato replico: - quando ti aggiudichi due set su tre, o….. tre su cinque –

L’odio è ormai evidente ed esplicito nello sguardo della persona. Mi affretto ad aggiungere:

- no, ma tre su cinque (best five in Inglese, ossia al meglio dei cinque ed è un altro bel giro di valzer, perché si pensa che bisogna vincere cinque set, mentre ne bastano tre) si gioca solo nei tornei del grande slam, i quattro tornei più importanti. – 

Sto per addentrarmi nello spiegare confuso che questi quattro tornei non seguono propriamente le stesse regole, ma uno sguardo puntuto e intollerante mi convince a desistere.

Vengo congedato con un gelido:

- il tennis non è uno sport per persone normali-

Aveva ragione Adriano Panata quando disse: - il tennis è uno sport inventato dal diavolo – In effetti solo per spiegarlo rischi di litigare. 

G.S.