Da “Piccole storie di briganti”

Una famiglia di briganti

 

 

Briganti presso un abbeveratoio in una stampa di B Pinelli

 

 

Dall’ormai familiare libro di Fernando pubblichiamo un estratto dedicato ad una famiglia di briganti, la “Famiglia Marsella”.

Il 16 giugno del 1867, dal municipio di Colle San Magno, il sindaco Nota indirizza una lunga missiva al prefetto della provincia di Terra di Lavoro in Caserta.

In virtù di tale informativa il gabinetto della stessa prefettura istituisce un fascicolo contraddistinto dal n. 1620 di protocollo generale. Questo il “titolo dell’affare”: “Colle S. Magno. D. 400 chiesti da’ briganti a Domenico Raso. Circostanze riguardanti il brigante Angelo Marsella detto “Trapolino”, e di suoi tre fratelli dimoranti in Casale”. Il rapporto del sindaco Nota, molto chiaro nel suo contenuto, illustra con dovizia di particolari un sequestro di persona perpetrato dai briganti ai danni di Domenico Raso, colono di un possidente del luogo, a scopo di estorsione. I quattro malviventi, dopo aver sorpreso il contadino nella contrada Forma, lo conducono sulla montagna di Cairo, “nel luogo detto Lago Collettura”. Al sequestrato “che viveva agiatamente del proprio lavoro”, i briganti chiedono la cospicua somma di 400 ducati. Il piano era accuratamente studiato e preparato: i briganti infatti parlando con il sequestrato

 

fecero ben presto scorgere di conoscere ben ogni cosa del suo stato e della sua fortuna”.

Il sindaco non ha dubbi sugli autori materiali del misfatto: seguendo le indicazioni fornite dal Raso (“al dialetto da essi parlato”), arguisce che si tratta di alcuni briganti di casale.

Anzi di due di essi, riconosciuti anche dal sequestrato, fornisce le precise generalità: l’uno era Crescenzo Marsella di Angelo mentre l’altro lo chiama genericamente “il figlio di Angiolillo”.

Angelo Marsella detto “Trapolino”, dopo aver abitato per lungo tempo a Colle San Magno, era tornato a Casalattico.

Il “cattivo seme” però non si era estinto: a Colle San Magno infatti erano rimasti  i suoi tre figli che sbarcavano il lunario coltivando i terreni di un ricco proprietario del luogo

Il sindaco Nota ritiene che siano proprio loro i responsabili del sequestro di Domenico Raso.

I fratelli Marsella infatti, oltre che a dimorare nella contrada Forma, la stessa dove risiede il raso, “ora quasi mostransi disturbati con lui, come lui stesso esprime, perché mancagli il dividendo con gli altri fratelli di Casale”. E poi “l’educazione brigantesca, i delitti di cui si sono macchiati, il sito dove dimorano, l’opinione pubblica che li condanna, tutto porta a crederlo”.

Certo di questo dato di fatto, il sindaco Nota, anche per tutelare l’onorabilità del suo comune, giunge ad attribuire a tale nucleo malavitoso la responsabilità di tutte le malefatte.

Creda pure la S.V. che in qualsiasi tempo e luogo del territorio di Colle San Magno succedano fatti briganteschi, o avvenga qualsiasi tentativo contro, o le persone, o le proprietà altrui, bisogna pur credere che il male vien da Casale. Quivi è il nodo, quivi il covo dei briganti”.

I Marsella, residenti alcuni a Colle San Magno, altri a Casalattico, avevano organizzato una florida centrale di malaffare con ramificazioni nei due paesi.

Come andò a finire la faccenda?

Di sicuro la cifra, ad onta delle minacce e delle intimidazioni, non venne corrisposta; così come è certo che, dopo qualche giorno di sequestro, i briganti liberarono l’ostaggio. Nella lettera infatti si dice che Domenico Raso “è costretto a dimorare in fame per non volersi pagare la taglia impostagli, abbandonando il suo campo e la sua masseria”. Fin qui il racconto del sindaco di Colle San Magno al prefetto di Terra di Lavoro.

Ma chi erano i Marsella? Erano inquadrati in qualche banda piratesca oppure agivano per conto loro?

Il capostipite, Angelo Marsella detto “Trapolino”, soprannome ancora oggi in auge nel paese, era nato a Casalattico, anzi nella frazione Montattico, nel lontano 1793. Dal matrimonio con Arcangela Macari era venuta una nidiata di sei figli maschi: Romualdo (1828), Achille (1830), Francesco (1837), Crescenzo (1839), Giuseppe (1840) e Costantino (1943). Circostanza questa quanto mai redditizia: in un paese dedito all’agricoltura ed alla raccolta delle olive, i figli maschi, specie in una famiglia di umili condizioni, erano davvero “una benedizione di Dio”.

Il duro lavoro dei campi però non bastava ad assicurare al numeroso nucleo familiare una decorosa esistenza: e così “Trapolino” decise di trasferirsi nel vicino paese di Colle San Magno dove, assieme ai figli, trovò lavoro badando ai terreni di don Domenico Frezza, agiato possidente del luogo.

Saranno stati gli scarsi proventi derivanti dal mestiere di colono o una intima predisposizione personale o ancora l’improvviso cambiamento verificatosi nell’Italia meridionale, con tutto quell’immane sconvolgimento che ne seguì, fatto sta che improvvisamente Angelo Marsella detto “Trapolino”, da contadino si trasforma in brigante.

Eppure, nel 1860, aveva già la bellezza di 67 anni, un’età decisamente troppo avanzata per un brigante, anche se non è da escludere che avesse smarrito la via della legalità già in precedenza.

Su questa strada si collocano subito anche i suoi figli, per lo meno, una parte cospicua di essi.

Forse nella drastica decisione di darsi alla macchia influì, e non poco, la decisione adottata dal governo unitario di introdurre anche nelle regioni meridionali la leva obbligatoria: sono numerosi i casi di coloro che non volendo ottemperare a tale obbligo, fuggono sulla montagna ed iniziano la “carriera” di brigante. Non è improbabile ipotizzare anche per i figli di “Trapolino”, un “excursus” del genere; e ciò accadeva già nei primissimi mesi che seguono l’annessione della parte meridionale del paese al regno d’Italia.

Angelo Nicosia nella su scrupolosa indagine sul brigantaggio postunitario e sulle bande Colamattei e Fuoco, menziona un “Costantino Marsella di Casalattico ma dimorante in Colle San Magno” processato per connivenza con il brigantaggio.

Dovrebbe trattarsi proprio di un figlio di “Trapolino”, anzi per l’esattezza, dell’ultimo.

Nel marzo del 1862 poi fu arrestato dai carabinieri a Montelattico “Marsella Francesco, 48 anni da Casalattico, celibe, bracciante, brigante senza banda”.

Si tratta forse del terzo figlio di Marsella?

Niente a che vedere con il ceppo familiare di Dovrebbe trattarsi proprio di un figlio di “Trapolino” invece il ventiduenne contadino Tommaso Marsella, brigante di Casalattico, aggregato alla banda Chiavone e ucciso dalle forze dell’ordine nel dicembre del 1861.

Ma torniamo al rapimento di cui rende notizia il sindaco Nota.

L’episodio si colloca nell’estate del 1867, periodo nel quale l’esigua ma agguerrita banda di Bernardo Colamattei era al culmine del suo fulgore. Banda che sembra essersi specializzata proprio nei sequestri di persona a scopo di estorsione. Nell’ottobre del 1864 Colamattei sequestrò tre cittadini di Colle San Magno, Rocco Molle, Vincenzo e Tommaso di Murro, “impresa” che fruttò ben 1.725 lire.

 

Più cruento il rapimento del concittadino Libero Di Murro, consumato il 14 gennaio del 1865. I briganti chiesero al padre Vincenzo la somma di 1.000 ducati; la trattativa però non andò a buon fine, qualche tempo dopo, lo sventurato “collacciano” sarà giustiziato.

Nel maggio dello stesso anno poi, la banda Colamattei sequestrò Giuseppe e Costanzo Di Murro che riuscirono a farla franca grazie all’intercessione dei familiari di Bernardo e al sopraggiungere delle truppe governative. Senza considerare i rapimenti messi in atto dal Colamattei in combutta con altre bande, nei paesi del Matese e delle Mainarde. Ma Angelo Marsella e i suoi figli fecero davvero parte della banda Colamattei? A primo acchito verrebbe da rispondere in maniera affermativa; finora però non abbiamo raccolto dati concreti che possono avvalorare tale ipotesi. Ad ogni modo, anche se non integrati a tutti gli effetti nella banda, è praticamente certo che “Trapolino” ed i suoi figli appartennero a quella fitta schiera di manutengoli e di conniventi che svolsero per la banda del “bovaro” scollacciano un ruolo fondamentale.

Senza i manutengoli qualsiasi banda di briganti, costretta alla macchia sulla montagna, lontana dai centri abitati, afflitta dalla cronica penuria di viveri e di alimenti, non avrebbe potuto resistere a lungo.

E Bernardo Colamattei, che sulle aspre montagne di Colle San Magno era di casa, poteva contare su una folta schiera di parenti, di amici compiacenti, sempre pronti a supportarlo, a coprirgli le spalle, ad informarlo sugli spostamenti delle truppe governative.

Quando il governo italiano comprese che per estirpare il brigantaggio si doveva colpire con mano ferma il “manutengolismo”, la vita per i briganti iniziò a farsi decisamente più dura.

Lasciati soli sulla montagna, senza cibo, viveri e senza il prezioso sostegno di informatori e di amici, per i briganti iniziò una fase decisamente difficile.

 

Molti furono costretti a compiere azioni più audaci, incappando nelle maglie sempre più strette delle forze dell’ordine. Altri preferirono consegnarsi spontaneamente alle autorità, sperando in una sensibile riduzione delle sanzioni punitive.

E’ il caso di Bernardo Colamattei che nell’aprile del 1868 si consegnò ai “reali carabinieri” di S. Elia Fiume Rapido.

Soltanto i più irriducibili continuarono a restare sulla montagna; anche per loro però  l’ora fatale andava avvicinandosi rapidamente.

E così, intorno al 1870 o giù di lì, i più temibili briganti che avevano battuto la parte settentrionale della Terra di Lavoro, furono messi, più o meno tutti, nella condizione di non nuocere.

 

La provincia di Terra di Lavoro

 

 

Trapolino” invece riuscì a superare indenne anche questo duro giro di vite. Ritiratosi già da tempo a Montattico si spense serenamente, con tutti i conforti religiosi, alla veneranda età di 87 anni.

Ad accompagnarlo al riposo eterno, come si legge nell’atto di morte stilato dal parroco don Antonio Vitti, Crescenzo, uno dei suoi amati figlioli nonché antico compagno di “avventura”.

 

Fernando Riccardi