Il primo film tedesco sulla sconfitta del nazismo
LA CADUTA
Il cupo dissolversi del Male frammentato in decine di esplosioni, in centinaia di colpi sparati dalle armi automatiche, in migliaia di cadaveri sparsi per le strade. Questo era Berlino l’8 maggio 1945: il giorno della resa incondizionata, ma anche il giorno in cui la vergogna era il sentimento più diffuso provato dal popolo tedesco, reo di aver dato vita ad uno dei mostri più orribili del XX secolo: il nazismo. La lunga e sanguinosa agonia del terzo reich e la sua fine è diventata un film, LA CADUTA, prima, coraggiosa pellicola tedesca da A alla Z ad affrontare il fantasma del grande tabù nazionale. Il film diretto con sapienza ed estro da Oliver Hirschbiegel si basa su due libri: LA DISFATTA di Joachim Fest, storico la cui competenza e obiettività è nota e le memorie dell’ultima segretaria di Hitler, Traudl Junge.
Per circa due terzi, delle due ora e trenta di durata, LA CADUTA ripercorre gli ultimi dodici giorni di vita del Fuhrer, vissuti nel famigerato bunker sotto la cancelleria. Lo fa con rigore storico, con gusto narrativo e lasciando il giusto spazio alla spettacolarità. Il risvolto più delicato e controverso del film è la raffigurazione di Adolf Hitler, interpretato, bene, da Bruno Ganz, operazione piena d'insidie risolta con abilità. Dal punto di vista oggettivo Ganz rende l’immagine degli ultimi mesi di vita Hitler in modo ortodosso, ossia presenta un uomo palesemente malato (probabilmente affetto dal morbo di Parkinson, come testimonia il tremolio incontrollato della mano sinistra), che affogava miseramente nella sua follia criminale. Del fuhrer viene presentata l’immagine di un uomo che non vuole rassegnarsi alla sconfitta: vagheggia e sproloquia di armate pronte a scacciare i sovietici da Berlino, ma quelle truppe non esistono. Quando accetta la fine, lo fa senza l’ombra di rimorso: “se la guerra è persa, non m’importa che il popolo muoia. Non verserò una sola lacrima per loro: non meritano nulla di meglio” è una delle sue ultime turpi farneticazioni. Non mi sembra si possano criticare quelle sequenze in cui Hitler mostra gentilezza formale nei confronti di alcuni assistenti, in particolare verso la sua segretaria, impersonata da Alexandra Maria Lara, giovane attrice romena che non sfigura nel ruolo. Ad essere pignoli stona un bacio scoccato da Hitler ad Eva Braun (Juliane Köhler), infatti è ben nota la sua assoluta riottosità ad apparire in pubblico con una donna al fianco, sembra quindi un gesto oltremodo plateale. Il film raggiunge il punto più alto di drammaticità dopo il doppio suicidio di Hitler ed Eva Braun, si tratta della sequenza in cui si vede Magda Goebbels (Corinna Harfouch) uccidere con il veleno i sei figli. Tutto il Male rappresentato dalla criminosa ideologia nazista è ben simboleggiato dalla scelta scellerata di una madre che in nome del proprio fanatismo (che l’aveva spinta a chiamare tutti i figli con nomi inizianti con l’H), sceglie di uccidere i propri figli, perché non vuole che essi vivano in un mondo dove il nazionalsocialismo è stato sconfitto. LA CADUTA mantiene per tutta la sua lunga durata, un’unità pregevole, riuscendo a dare il giusto spazio alle tante figure che ne fanno un film corale: Himmler, interpretato da Ulrich Noethen, che perde il confronto a distanza con Donald Pleasence che impersonò il capo delle SS ne LA NOTTE DELL’AQUILA, i generali Jodl e Keitel, Goebbels, l’architetto Albert Speer, e Martin Barman, del quale non è mai stato ritrovato il cadavere e che nel film si dissolve nel nulla. La pellicola perde un po’ il ritmo nella parte centrale.
L’edizione di TIME del maggio 1945
La parte finale del film è quella che assomiglia di più ad un film di guerra: si vedono i carri armati dell’Armata Rossa avanzare e sparare cannonate ad alzo zero contro qualsiasi corpo od oggetto in movimento. È la rappresentazione dell’apocalisse finale alla quale Berlino (le scene all’aperto sono state girate, con comparse russe, a San Pietroburgo,; città tenuta sotto assedio dai Tedeschi per quasi tre anni durante la guerra e che vide la propria popolazione decimata da circa 3.000.000 di abitanti a 600.000) è stata condannata da Hitler. Dallo sfascio morale e materiale esce illesa Traudl, simbolo della vita che continua. Ma il messaggio è giunto forte e chiaro al pubblico: il nazismo fu un abominio, non c’è spazio per nessuna nostalgia o revisione, su questo non ci sono equivoci. Non bastasse, in coda al film è stata montata una breve sequenza che mostra la vera Traudl Junge (morta nel 2001) durante un’intervista nella quale dichiara senza mezzi termini che il fatto che lei non sapesse nulla della Shoà non la fa sentire scevra da colpe. Un film bello, straziante, intenso, accurato (è stata resa molto bene la claustrofobia degli ambienti del bunker) da far vedere nelle scuole affinché la memoria di una carneficina in cui hanno perso la vita 55.317.000 (il dettaglio nella tabella) di persone non vada mai perduta.
Gianni Sarro
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