Lettere al Direttore
Tra le lettere giunte in questo inizio di anno (circa due) alla nostra Redazione, ho scelto quella di Orazio Manente che oramai, oltre ad essere divenuto uno dei lettori più affettuosi, fa parte di diritto della schiera dei “collaboratori”, come potrete apprezzare nelle pagine che seguono. I complimenti, forse eccessivi, che il buon professor Orazio mi ha inviato vanno naturalmente estesi a tutto lo staff dell’Eco che consente la pubblicazione del giornale e, in particolare, a Gianfranco che ha la bontà e la pazienza di inserirlo su Internet. Quindi dove leggete “te” dovete interpretare “voi” …
Caro Direttore, anzitutto ti rinnovo gli auguri più belli per l’anno 2005, perché sia foriero di pace, serenità e buona salute per tutti. E che il n. 50 de “L’Eco di Roccasecca” ti conceda le soddisfazioni che giustamente meriti. Tu rendi ai miei concittadini e me compreso, un servizio che ci appaga non poco e ci fa sempre amare di più la nostra cara Roccasecca. Grazie di cuore, caro Riccardo. I miei articoli pubblicati ne “L’Eco” sono stati scoperti su Internet da mio figlio, da mio nipote liceale e da un amico carissimo, con mia grande soddisfazione. E di questo ti ringrazio e te ne sono grato. Senza di te non sarebbe avvenuto. Leggo molto attentamente articoli, poesie e quant’altro con i quali tu, con mirabile maestria, sai riempire il giornalino che dirigi. E ciò ti fa veramente onore. Ho letto, nell’ultimo numero, le pagine su Claudia Mori e Celentano (Ferdinando) sul grande Vittorio Gassman (Gianni), sempre da me ammirato, su Aldo Iorio, assai divertente.
A tal proposito, ho ricevuto il volumetto di “Poesie Roccaseccane” di Aldo Iorio e Romano Filancia, di cui ho altre poesie avute da Iorio qualche anno fa. Ti ringrazio del dono che ho accettato volentieri. Ho letto tutto d’un fiato “Cheste m’abbasta”, volumetto davvero spassoso, nel dialetto roccaseccano che è nella mia mente e nel ricordo perenne, anche se qualche parola stento a ricordarla. Aldo e Romano sono poeti validi ed intelligenti. Non è affatto facile scrivere poesie, soprattutto in dialetto. Nel dialetto è lo spirito del poeta che comanda. Egli scorcia, allunga, taglia, fa opera di collage. Il poeta usa il dialetto con l’umiltà del povero ed il coraggio di chi non rinnega la sua provenienza. E’ un passato che diventa sempre presente e ci ricorda i nostri padri che ci hanno preceduto. Auguri ad Aldo e Romano e molti saluti - AD MAJORA – “ad altre cose più grandi” Un caro abbraccio a te ed un saluto affettuoso
Ciao
Orazio Manente
Montefiascone, 10 gennaio 2005
Montefiascone in una vecchia stampa
In seguito Orazio ha spedito un’altra lettera accompagnata da un documento di grande valore storico e religioso. Nel messaggio allegato egli scrive:
Caro Riccardo, ti invio la lettera di Publio Lentulo, governatore della Giudea, all’imperatore Tiberio sulla descrizione delle fattezze di Gesù Cristo. Lentulo è stato contemporaneo di Cristo. E’ un documento di alto valore storico ed assai veritiero. A tergo ho dato spiegazione del ramo dei Lentuli, ovvero della Gens Cornelia. E’ un documento di rara divulgazione che credo interesserà i lettori de “L’Eco di Roccasecca”. Seguita nella tua pregevole opera di Direttore e non mollare anche se qualche “fastidio” ti dà tale lavoro. Per conto mio cercherò di contribuire con qualche articolo interessante e piacevole. Servirà ad accrescere le cognizioni degli studiosi specie tra i giovani. Un caro abbraccio ed un augurio per tutto quanto vorrai fare per i Roccaseccani. AD MAJORA Orazio Manente
Lettera di Publio Lentulo – Governatore della Giudea – nella quale si descrivono le fattezze di Gesù Cristo all’Imperatore di Roma.
Lettera di Publio Lentulo a Tiberio (31.d.C.)
Ho inteso, o Cesare, che desideri sapere quanto ora ti narro - essendo qui un uomo, chiamato Gesù Cristo, che dalla gente è detto Profeta, ed i suoi discepoli lo tengono per Divino, e dicono che egli è figlio di Dio, Creatore del cielo e della terra, e di tutte le cose che in essa si trovano e sono fatte. In verità, o Cesare, ogni giorno si sentono cose meravigliose di questo Cristo: risuscita i morti, e sana gli infermi con una sola parola. Uomo di giusta statura, è molto bello di aspetto, ed ha grande maestà nel Volto che quelli che lo mirano sono forzati ad amarlo e temerlo. Ha i capelli color della nocciola ben matura e sono distesi sino alle orecchie, e dalle orecchie sino alle spalle sono color della terra, ma più risplendenti. Ha nel mezzo della fronte in testa, il crine spartito ad usanza dei Nazareni. Ha la fronte piana, ma molto serena; la faccia senza ruga, o macchia, accompagnato da un colore modesto. Le narici e le labbra non possono da alcuno essere descritte con ragione. La barba è spessa ed a somiglianza dei capelli, non molto lunga, ma spartita nel mezzo. Il suo mirare è molto severo e grave: ha gli occhi come i raggi del sole, e nessuno può guardarlo fisso nel viso per lo splendore e quando risplende spaventa, quando ammonisce fa piangere; si fa amare, ed è allegro con gravità. Dicono che non si è mai veduto ridere, ma bensì piangere. Ha le mani e le braccia molto belle; nella conversazione contenta molti, ma si vede di rado; e quando Lo si trova, è molto modesto all'aspetto e nella persona.
E’ il più bell'uomo che si possa immaginare, tutto simile alla madre, la quale è la più bella giovane che si sia mai vista da queste parti. Però se la Maestà tua, o Cesare, desidera di vederlo come negli avvisi passati mi scrivesti, fammelo sapere, che non mancherò subito mandarlo. Di lettere fa stupire tutta la città di Gerusalemme. Egli non ha studiato giammai cosa alcuna, eppure sa tutte le scienze. Cammina scalzo, senza cosa alcuna in testa; molti ne ridono in vederlo, ma in presenza sua nel parlare con lui tremano e stupiscono. Dicono che un tal uomo non è mai stato veduto, né inteso in queste parti. In verità secondo quanto mi dicono gli ebrei non si sono sentiti mai di tali consigli, di così gran dottrina, come insegna questo Cristo, e molti Giudei lo tengono per Divino e lo credono; e molti altri me lo querelano con dire che è contro la Maestà tua, o Cesare. Io sono grandemente molestato da questi maligni Ebrei.
Si dice di non aver mai che del bene; tutti quelli che lo conoscono e che l'hanno incontrato dicono di aver ricevuto benefizi e sanità. Però alla Maestà tua, o Cesare, alla tua obbedienza sono prontissimo: quanto mi comandi sarà eseguito. Vale! Da Gerusalemme ripartizione settima, luna undicesima. Della Maestà tua fedelissimo e obbedientissimo. Publio Lentulio (Governatore della Giudea)
N.B. I Lentuli, ramo della Gens Cornelia. Secondo la tradizione derivava da Lens-lentis (lenticchia) o dall’aggettivo Lentus (lento). I suoi membri compaiono nella vita politica di Roma a partire dal IV sec. A.C.
A cura di Orazio Manente
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