Lo scaldino
uando ci siamo ritrovati seduti sulle storiche poltrone di Rocco il barbiere, figura leggendaria del “Bivio” di Roccasecca Scalo, io e Ferdinando ci siamo resi conto che erano più di trent’anni che non accadeva tale evento, una volta così consueto per noi due. Quando eravamo piccoli era la normalità ritrovarci nell’unico negozio di barbiere che esisteva, sempre posizionato nei locali appartenenti alla famiglia Lorino. Tale situazione venutasi a ricreare, nell’agosto 2005, dopo così tanto tempo non poteva non essere foriera di interessanti divagazioni storiche, sociologiche e culturali; del resto il livello del gruppo, sia detto con un pizzico di immodestia, non poteva che generare argomentazioni di un certo rilievo. E così, tra un taglio di forbice e l’altro, ci si è trovati ad effettuare una scorribanda su svariati argomenti, dalle complesse situazioni politiche nazionali e locali al degrado nel mondo dello sport, fino alla polemica suscitata dalla ormai famigerata statua di San Tommaso. Ad un certo punto si è passati a parlare della Roccasecca del primo dopoguerra, argomento foriero di ricordi molto speciali, che vanno assolutamente fissati su queste pagine. Rocco ci racconta come facesse freddo d’inverno, in quegli anni, nelle case e nelle scuole, dove il riscaldamento era una cosa ancora di là da venire. Ed allora ecco l’oggetto magico, per evitare i temutissimi “geloni”, da affidare agli infreddoliti bambini che si avviavano a scuola: lo scaldino. Si trattava, come ci illustra Rocco con dovizia di particolari, di una scatoletta di latta all’uopo riciclata (come quelle del tonno o della carne in scatola) alla quale era fissata una cordicella. Nella scatola la mamma metteva della brace che il bambino doveva tenere viva ruotando e mulinando la scatoletta grazie alla corda, mentre si recava verso la scuola. Una volta giunto sul suo banco, egli poteva così usufruire del calore contenuto – e mantenuto – all’interno dello scaldino, appoggiandovi le infreddolite mani. Sembra un’immagine uscita dal libro Cuore di De Amicis, e invece è soltanto l’ingegnosa realtà di chi doveva fare di necessità virtù in un’epoca in cui di soldi ne giravano davvero pochi. Una piccola opera di grande ingegno, di cui ho cercato fotografie, che per ora non ho trovato, cercando per ora di dare un’idea dello scaldino con un’opera fatta alla buona al computer dal sottoscritto, basandomi sulla descrizione di Rocco. Il prof. Bernardo Donfrancesco, per tanti anni sindaco di Colfelice, incontrato sempre da Rocco, mi ha detto che esiste un disegno di scaldino creato da alcuni alunni per un libro. Mia madre si ricorda anche di uno scaldamani di metallo a forma di uovo (o sfera) che si portava legato al collo come una collana: in questo caso, siamo negli anni ’30, all’interno dell’uovo veniva inserita dell’acqua calda, pertanto si tratta di un oggetto più simile alla borsa dell’acqua calda tuttora utilizzata dai freddolosi (vero, Miria?). Una delle caratteristiche dell’Eco resta quella di fermare su carta ricordi e storie che altrimenti andrebbero perdute. Finché saremo motivati a fare ciò, l’Eco avrà ragione di esistere. E un grazie speciale a Rocco, saggio compagno di chiacchiere e verità. Il Direttore |