Dai "MOTTI E SENTENZE DELLA LINGUA LATINA" di Orazio Manente
Scolari e insegnamenti
Magister discipulos docet
Terza puntata sui motti detti e sentenze latine, tratte dall’ormai celebre libro di Orazio Manente. A proposito, il testo, pur trattando un argomento che potrebbe sembrare dedicato ad un pubblico di "pochi adepti", sta riscuotendo un successo inaspettato e meritato. Oltre cento le copie distribuite "ad personam" , molti i "ritorni" positivi, i giudizi entusiastici, i ringraziamenti da parte di chi non credeva di poter trovare una raccolta di questo genere nel … 2005! Siamo contenti di questi apprezzamenti che vanno ad un’opera meritoria, frutto del lavoro paziente ed esemplare di uno studioso che ancora si dedica a questa materia con l’entusiasmo di un giovanotto. Questa volta ci occupiamo dell’argomento "insegnamenti", ovvero quelle frasi, quelle esortazioni che sovente gli insegnanti hanno cercato - e ancora cercano - di far comprendere agli allievi, di qualunque ordine e grado di scuola, in ogni epoca storica. Per cominciare vogliamo ricordare una frase di Dante che l’illustre latinista Giovanni Sarro (fratello di Luigi Sarro, anch’egli professore di lettere antiche, nonno del nostro Direttore e dell’altro nostro esimio collaboratore Gianni) volle opportunamente inserire sul frontespizio delle sue celeberrime "Tavole riassuntive di Grammatica Latina" :
NON FA SCIENZA SENZA LO RITENERE, AVERE INTESO (Paradiso, V, 41) (Una volta che gli alunni hanno appreso i concetti, le regole, le teorie ecc., le debbono memorizzare.) Un po’ come il primo dei detti di Manente che riportiamo di seguito:
LEGERE ENIM ET NON INTELLIGERE NEGLEGERE EST Leggere e non capire è come non leggere
Ed ancora:
NON SCHOLAE, SED VITAE DISCIMUS Non impariamo per la scuola, ma per la vita
(Quante volte abbiamo sentito i professori dei nostri figli rivolgere questa esortazione ai propri allievi! Si tratta di una massima che andrebbe scritta a lettere cubitali in ogni classe. Dovrebbe essere il motto di ogni insegnante e di ogni studente. E’ una meta ben meschina il prefiggersi come fine supremo dei propri studi un diploma, una laurea; ma è invece ideale mobilissimo cercare di istruirsi e di prepararsi alle future battaglie della vita.)
QUIDQUID DISCIS, TIBI DISCIS Ciò che impari, lo impari per te (idem!)
INSTRUE PRAECEPTIS ANIMUM, NE DISCERE CESSA; NAM SINE DOCTRINA VITA EST QUASI MORTIS IMAGO Arma il tuo animo di precetti, non smettere di imparare; senza la cultura la vita è quasi una copia della morte
HOMINES DUM DOCENT DISCUNT Gli uomini, mentre insegnano, imparano (Anche gli insegnanti non smettono mai di imparare!)
ERROR HESTERNUS SIT TIBI DOCTOR HODIERNUS L’errore di ieri ti sia maestro oggi
REPETITIO EST MATER STUDIORUM La ripetizione è la madre degli studi (Spesso abbiamo implorato i figli di "ripetere" ad alta voce, per fissare bene in mente le materie!)
SERMO DATUR CUNCTIS, ANIMI SAPIENTIA PAUCIS La favella è concessa a tutti, ma la sapienza a pochi.
SERMO HUMILIS Discorso semplice
HOC OPUS, HIC LABOR Ecco l’impresa, eccone le difficoltà (E’ la Sibilla Cumana che ricorda ad Enea le difficoltà di ritornare dall’Averno. La frase va messa in relazione con "FACILIS DESCENSUS AVERNI. Si suole usarla per puntualizzare dove sta il nocciolo delle difficoltà. Dante direbbe: QUI SI PARRA’ LA TUA NOBILITATE (Inferno, II, 9)
LAUDAMUS VETERES, SED NOSTRIS UTIMUR ANNIS, MOS TAMEN EST AEQUE DIGNUS UTERQUE COLI Lodiamo gli antichi, ma viviamo la vita dei nostri tempi. Tanto gli usi antichi quanto i moderni sono ugualmente degni di rispetto
HISTORIA MAGISTRA VITAE La storia è maestra di vita
JURIS PRAECEPTA SUNT HAEC: HONESTE VIVERE, ALTERUM NON LAEDERE, SUUM CUIQUE TRIBUERE Ecco i precetti del diritto: vivere onestamente, non danneggiare gli altri, dare a ciascuno il suo
JURARE IN VERBA MAGISTRI Giurare sulle parole del maestro
(Orazio, Epistole, I, 1, 14 Nelle antiche scuole dei Greci e dei Romani era tanta l’autorità del maestro, che i discepoli consideravano e veneravano le sue parole come un dogma di fede. Oggi tale fideistico atteggiamento appare un pochino anacronistico …)
Quinto Orazio Flacco (Venosa 65 aC – Roma 8 aC)
NON MALE RESPONDIT, MALE ENIM PRIOR ILLE ROGARAT Non è lui che ha risposto male, fu l’altro a porre male la domanda
VIRTUTIS EXPERS VERBIS JACTANS GLORIAM, IGNOTOS FALLIT, NOTIS ES DE RISUI Chi manca di meriti, ma tuttavia esalta il suo operato, inganna chi non lo conosce, ma è deriso da chi è in grado di giudicarlo
(E la morale della favola "L’Asino e il Leone" di Fedro, nella quale l’asino spaventa gli animali con ragli acutissimi, per farle in modo che essi scappino e finiscano tra le fauci del leone che li aspetta al varco. Ad impresa finita il leone, all’asino che gli domanda che effetto gli han fatto i suoi ragli, risponde: "Terribile! Tanto che, se non ti avessi conosciuto, sarei fuggito anch’io!" Sarebbe proprio il caso di dire "Qui casca l’asino!".
L’abate Aurelio De' Giorgi Bertòla (1753-1798) così ammoniva: "Tu che base de tuo merto Veste splendida sol fai, Taci ognor, se no scoperto Come l’asino sarai"
A cura di Miria e Riccardo
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