La musica degli anni Sessanta:

Un enigma chiamato Luigi Tenco

Questa volta la nuova incursione nella musica degli anni sessanta e nelle sue storie prende spunto dalla cronaca di questi giorni. La riapertura dell’inchiesta sul suicidio, o presunto tale, di Luigi Tenco. Una vicenda che a distanza di trentanove anni presenta ancora molti lati oscuri tanto da indurre la magistratura a disporre la riesumazione della salma.

Il 27 gennaio prossimo saranno trascorsi ben 39 anni dalla morte di Luigi Tenco, ma la vicenda di questo geniale, tenebroso, inquieto, sensibile, grande interprete della musica italiana è ancora sulle prime pagine di tutti i giornali.

Proprio in questi giorni un magistrato di Sanremo, il procuratore Mariano Gagliano, ha riaperto l’inchiesta sulla morte del cantante, disponendo addirittura la riesumazione della salma. Il grande clamore che ha generato questa notizia da una parte è il segno della popolarità che Tenco gode a quasi quarantanni dalla sua morte, dall’altra è l’incredibile gusto tutto italiano per l’intrigo, il retroscena, la dietrologia.

Da subito furono in molti a dubitare che Luigi Tenco si fosse veramente suicidato quella notte del 27 gennaio 1967 nella stanza numero 219 dell’hotel Savoy di Sanremo.

La versione ufficiale dice che il cantante si uccise con un colpo alla testa quella notte, dopo che la sera precedente si era esibito cantando "Ciao amore ciao" sul palco del Teatro Ariston dove andava in scena il Festival di Sanremo.

Nella notte aveva saputo di essere stato eliminato e quindi escluso dalla finalissima del Festival e a trovarlo per prima esanime sul pavimento della sua stanza fu Dalida, fascinosa cantante francese legatissima a Tenco e all’epoca protagonista di un controverso rapporto con lo stesso Tenco.

Ancora oggi fra coloro che erano vicini ai due c’è chi giura che i due fossero innamorati, chi dice addirittura che stessero progettando il loro matrimonio e chi, fra cui la madre di Tenco , lo esclude attribuendo ai due solo una tenera amicizia.

Ecco quello che la stessa mamma del cantante dichiarò poco dopo la morte del figlio, nel marzo del 1967, a proposito della storia fra suo figlio e Dalida: "Mio figlio e Dalida erano buoni amici. Nient'altro. Luigi non si è ucciso per amor suo. E Dalida non voleva morire perché senza di lui non si sentiva più di vivere. Fra loro, creda, non c'erano amori segreti o impossibili. Queste sono tutte storie inventate, ignobili speculazioni che vengono fatte con il nome del mio ragazzo" [...]

"Non andavano d'accordo loro due. Lei era una diva, esattamente l'opposto delle ragazze semplici e spontanee che piacevano a mio figlio. Luigi faceva fatica a lavorare insieme a lei.

«Le dive come Dalida», mi aveva detto Luigi prima di partire per Sanremo, «non sono delle donne, mamma: non sono naturali, non sono umane. Non immagini che fatica faccio a lavorare con lei».

Dalida questo lo sapeva. «Non m'importava», mi ha detto. «Gli volevo bene lo stesso. Gliene volevo molto. E a Sanremo cercavo di stargli vicino; io lo andavo a cercare, volevo parlare con lui: era così buono, onesto, generoso Luigi e mi faceva bene stare in sua compagnia».

Non credo fosse innamorata di mio figlio, ma aveva molta simpatia per lui, forse un mezzo sentimento".

Ad infittire il mistero una amante segreta o, nascosta, Valeria con la quale il cantante faceva altri progetti come risulta dalle lettere che le scriveva e che sono state pubblicate in Italia nel gennaio del 1992 ma che in argentina erano state rese note dal 1967 da un giornalista Sandro Paelli pure presente al Festival di Sanremo. Eccone alcuni stralci:

"Appena avrai discusso la tesi faremo una cosa che non abbiamo fatto ancora, ce ne andremo per un periodo di tempo, tu ed io da soli. Andremo... in Africa... in Kenia." Guarda nel secondo cassetto della scrivania e comincia a fare qualche programma. Tesoro, avremo i giorni e le notti tutte per noi: potremo parlare, prendere il sole, fare l'amore, dimenticare i problemi che abbiamo vissuto, le angosce, i momenti bui. Potremo riscoprire il senso della vita".

Ed ancora scrivendo a Valeria del suo rapporto con Dalida: "Ho tentato in tutti i modi, ho passato delle notti intere (aspetta un attimo!) a bere, a cercare di farle capire chi sono, cosa voglio, e poi... ho finito col parlarle di te, di quanto ti amo.

Che gran casino, vero! Certo, lei si è dimostrata molto "comprensiva", ma mi ha detto che ormai dovevamo portare avanti questa "assurda" faccenda agli occhi degli altri. È una donna viziata, nevrotica, ignorante, che rifiuta l'idea di una sconfitta, professionale o sentimentale che sia."

Insomma emerge da questi documenti l’ambiguità del rapporto con Dalida, dello stato d’animo molto particolare del cantante.

Dopo la sua morte Dalida più che mai affranta in un’intervista allo stesso giornalista argentino Sandro Paelli nel febbraio del 1967 parlò pubblicamente dell’esistenza della fidanzata segreta di Tenco. Ecco la testimonianza di Paelli:

"Dalida, amica intima di Tenco, con gli occhi gonfi di lacrime, mi confessò:- È una copertura quella che ora vogliono stendere. Vogliono creare l'immagine dell'idolo che non sopporta il fracasso e si ammazza. La verità è un'altra. Credo che la verità di questa morte ingiusta la conosca solo Dio e quella donna che non seppe quanto Luigi era innamorato di lei. ".

 

Il libro di Sandro Ciotti

(Rizzoli, 1997)

 

 

Sul tema c’è anche una testimonianza di Sandro Ciotti nel suo libro autobiografico "40 anni di parole" nel quale dedica ben cinque pagine a Tenco essendo stato peraltro fra i primi a giungere sul luogo dopo il suicidio ( era inviato a Sanremo):

"E poi c’era la storia con Dalida… Nonostante Luigi fosse molto innamorato, la loro storia non poteva durare : i loro caratteri erano diametralmente opposti". Sandro Ciotti dichiarò sempre i propri dubbi sulla storia del suicidio.

Verità ? finzione? Espediente pubblicitario come qualcuno insinuò per il lancio discografico di "Ciao amore ciao" ? Di vero ci sono le lettere di Tenco a Valeria, scritte di pugno dal cantante e che rivelano i sentimenti dell’artista per il suo amore segreto. Su questo sfondo fatto di inquietudini professionali e contrastate vicende sentimentali, si innesta la fortissima delusione di Luigi Tenco per la sua eliminazione dal Festival, da lui vissuta come una suprema ingiustizia. Nell’ormai famosissimo biglietto trovato accanto al corpo del cantante egli scrisse queste parole: "Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita ( tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao".

La morte di Tenco si ammantò subito di un mistero che peraltro fu alimentato dalle stranezze, o quanto meno inesattezze, da cui furono caratterizzate le indagini. Il corpo di Tenco fu prima trasportato all’obitorio e poi addirittura ricondotto in albergo e su questo incredibile andirivieni il capo della Squadra Mobile di Sanremo Arrigo Molinari che condusse le indagini diede una spiegazione ancora più incredibile: "E’ vero che feci riportare il cadavere di Tenco in albergo ma solo ad uso dei cameraman della Rai". Questa dichiarazione fu resa da Molinari a Andrea Pomati, giornalista di una Televisione di Imperia che è stato fra i primi a ricostruire le inesattezze e incongruenze dell’inchiesta. Comunque la Rai non girò mai nemmeno un fotogramma della salma del cantante scomparso. Come se non bastasse non fu mai fatta l’autopsia sul cadavere, nella stanza di Tenco fu ritrovata una pistola calibro 22 che non era quella in possesso del cantante. Inoltre dalle foto si vede che il colpo fu sparato contro la parte sinistra della testa ma Luigi Tenco non era mancino. Il magistrato spera riesumando la salma di ritrovare il proiettile che penetrò nella tempi di Tenco, che non fu mai estratto.

Va anche aggiunto che Arrigo Molinari, il poliziotto che responsabile delle indagini, fu tra gli associati sia a Gladio che alla loggia massonica P2. Di recente è stato ucciso nella sua abitazione da un rapinatore.

Insomma, ce n’è abbastanza per un autentico "giallo" su cui probabilmente nemmeno la riapertura delle indagini metterà la parola fine. Un particolare: al funerale di Tenco e alla sua tumulazione nel cimitero di Ricaldone, suo paese natale in provincia di Alessandria, di tutti i suoi colleghi che si dissero straziati dal dolore per la sua morte erano presenti solo in pochissimi fra i quali Fabrizio De Andrè. Come direbbero gli americani, "the show must go on".

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