Ciociaria di Pascarella
Il poeta romano Cesare Pascarella, uno dei maggiori esponenti della poesia dialettale (romanesca) del suo tempo è noto soprattutto per L'opera “ La scoperta de l'America”, una raccolta di cinquanta sonetti, in cui un gruppo di popolani, riuniti all'osteria, parla in modo colorito e divertente della celebre “scoperta” del Nuovo Continente da parte di Cristoforo Colombo. Ebbene, il Pascarella, “Romano de Roma” con origini ciociare, precisamente di Fontana Liri dove avevano abitato i genitori, a seguito di un viaggio in terra ciociara, si è dilettato a scrivere un suo personale “Viaggio in Ciociaria - Avventure ed aneddoti illustrati dall'autore” di cui brevemente parliamo in questa sede. Generoso Pistilli sul libro “ FONTANA LIRI – due centri una storia” inquadra così questa opera di Pascarella: “Fontana Liri è il primo paese che il poeta raggiunge con 'Il legno’ di Ciccantonio, vetturino quantomai spassoso e singolare, che dalla stazione dì Ceprano lo accompagna al nostro paese.
Nel racconto Pascarella accenna minuziosamente alla "Zulufràga", alla "Fossa agliu mont", al viaggio effettuato a dorso d'asino attraverso le nostre contrade per recarsi a Monte S. Giovanni Campano in occasione della festa della Madonna del Suffragio, all'altro viaggio a piedi da Fontana Liri a Santopadre, passando per la contrada Santo Spirito. Pascarella ha dentro di sé sangue ciociaro, anche se la Ciociaria lo lascia per lo più indifferente: non si entusiasma, né sì commuove di fronte alla genuinità e alla semplicità dei costumi, delle usanze, degli atteggiamenti e dei sentimenti della nostra gente e mette in risalto, con fine umorismo, i discorsi vuoti, l'ignoranza, la superstizione e le battute ingenue e sempre sgrammaticate del contadino di qui, nei cui confronti assume un'aria distaccata e di manifesta sufficienza. Ciò nonostante Fontana Liri è fiera di questo poeta che, figlio di un fontanese, ebbe rapporti culturali e di amicizia con i maggiori artisti e letterati del suo tempo. Godette pure, in particolare, dell'amicizia di Giosuè Carducci, che affermò: ‘Non mai poesia di dialetto italiano era salita a quest'altezza’ ". Questi appunti di viaggio furono pubblicati a puntate sul periodico Capitan Fracassa nel 1882, e in seguito come opera completa nel 1914. Il testo è di difficile reperibilità, noi ne abbiamo ritrovati alcuni brevi estratti, tra lo scherzoso e il triste, che abbiamo il piacere di proporvi.
L’Arciprete Il sole tramontava dietro l’Ara degliu Volupitto mentre io e l’Arciprete di Fontana Liri, seduti al fresco, sotto gli olmi della Fontana a balle, parlavamo della festa che doveva essere celebrata a Monte San Giovanni Campano per commemorare il cinquantenario della Madonna Santissima del Sufragio; festa della quale si discorreva già da tanto tempo in tutte le farmacie e in tutte le sacrestie di tutta la diocesi di Veroli. L’Arciprete, dopo di aver speso molte parole, qualcuna anche in lingua latina! Per invogliarmi ad andarci si alzò, ed aprendo le braccia in atto di meraviglia, finì col dirmi che la festa sarebbe stata una festa di tre bande. - di tre bande? - Di tre bande! – ripeté l’Arciprete, e pronunciando le tre parole lentamente, in modo che fra l’una e l’altra ci fosse una breve pausa, piegò la persona sul lato estro; sprofondò la mano grassa nella tasca della sottana; ne trasse una scatolina di madreperla sul cui coperchio era dipinta una immagine dell’Addolorata; l’aprì, vi ficcò dentro il pollice e l’indice, e s’empì il naso di tabacco. Io gli lasciai compiere la delicata operazione e poi gli chiesi quale sarebbe stato a suo giudizio il mezzo migliore per andarci a codesta festa, ed egli, dopo aver starnutato tre volte mi rispose: - L’asino.
Mater Dolorosa Prima di lasciare la boscaglia di castagni, entrammo in una chiesetta, vicina a poche casupole di contadini, e vi trovammo su due panche coperte di fiori, fra due candele, una bambina morta. Ella era tutta vestita di seta e intorno al collo aveva avvolti due vezzi di coralli rossi. Due grandi orecchini d’oro a cerchio le pendevano dai lobi degli orecchi, rilucendo su le guance cenerognole: fra le manine incrociate sul petto teneva un crocifisso d’argento. Vicino alla coltrice improvvisata, una donna accovacciata in terra agitava un ramoscello di rosmarino, scacciando le vespe e le mosche, che come punti d’oro, vibranti nell’aria sciamavano attorno alla morticina: me le avvicinai per darle qualche soldo ma la disgraziata crollò le spalle e si nascose il volto tra le mani. Quel rifiuto mi arrivò al core. Uscii dalla chiesetta e vi rientrai con un mazzo di ciclamini. Mentre li stavo spargendo sulla morticina, due contadini si fermarono sulla porta e guardarono dentro. Dopo un istante il più vecchio alzando la voce e le spalle disse alla donna, che scoteva sempre nell’aria il ramoscello di rosmarino: _ Fulomè! … nun ce pensà, ca chilo c’à fatto chessa ne fa n’auta! La poveretta nascose ancora una volta il viso tra le mani, e i contadini si allontanarono e sparirono nel folto del bosco.
Anatrella All’Anatrella sur un ponte di ferro passiamo il Liri che scorre spumante fra una quantità di scogli maculati di musco, e traversiamo i fabbricati della cartiera del Conte Lucernari, tutti circondati da ridenti giardini. Sotto ai boschetti dei lauri e degli oleandri fioriti non solo godiamo un po’ di frescura, ma riceviamo anche i rauchi omaggi di un bellissimo pavone, il quale appena ci vede scende dalla scogliera di una fontana quasi coperta dalle foglie larghe delle ninfee e dai fiori gialli e purpurei dei nenufari, e ci viene incontro aprendo la coda occhiuta e movendo graziosamente il collo smeraldino. Chi l’ha detto che i pavoni sono superbi?
Cesare Pascarella
Estratti dal testo antologico CIOCIARIA (1957) a cura della Amministrazione Provinciale di Frosinone per il Trentennale della provincia 1927-1957
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