Libri ri-letti per voi

Dopo 10 anni riparliamo di Febbre a 90°

 

 

Proprio di recente ho notato un notevole ritorno di interesse per il primo libro di Nick Hornby, quel “Febbre a 90°” pubblicato in Inghilterra nel 1992 e in Italia nel 1997 e recensito sull’Eco di Roccasecca nei primi mesi del 1998. Sarà che l’argomento “calcio”, nel bene e nel male (ultimamente predominano gli aspetti negativi) attira sempre molta attenzione, sarà che nel decennio appena trascorso Nick Hornby si è imposto come uno dei più apprezzati scrittori europei, di “Febbre a 90°” si continua a parlare, su giornali, riviste, forum su internet.

Nick Hornby, classe 1957, nativo di Redhill ha cominciato a lavorare come insegnante, per poi lasciare per divenire giornalista “freelance” e poi romanziere di successo internazionale. I suoi grandi amori sono il calcio (in particolare la squadra londinese dell’Arsenal), la musica rock e le donne (e la vita sentimentale in genere). Questi interessi così intensi, al punto che sarebbe più opportuno definire “passioni” hanno caratterizzato tutte le sue opere, che risentono spesso di sentimenti autobiografici.

 

 

Dopo “Febbre a 90°” Hornby ha pubblicato altri quattro romanzi, tutti di successo internazionale.

Alta Fedeltà” (High Fidelity) nel 1995, narra le peripezie sentimentali del titolare di un vecchio negozio di dischi in vinile (!) di Londra frustrato ed immaturo. Tra i tanti momenti gustosi resta memorabile la scena in cui, lasciato di nuovo dalla fidanzata Laura, si distrae rimettendo in ordine le migliaia di LP che possiede, passando dal banale ordine alfabetico a quello per “genere” per finire a quello basato sulla “data in cui il disco fu acquistato” per avere una storia della collezione! Celeberrime le “classifiche” del protagonista, da quella dei “primi cinque dischi singoli rhythm & blues” a quella “delle cinque più memorabili fregature di tutti i tempi" , riferite alle donne, naturalmente!. Anche da questo libro, come dal precedente, è stato tratto un film che curiosamente sposta la vicenda da Londra a New York.

Un ragazzo” (About a Boy) è del 1998. Il libro racconta l’incontro tra Will, un trentaseienne single londinese benestante e Marcus, dodicenne figlio di separati con grossi problemi di comunicazione. Ne nasce un’amicizia speciale che riconsegna all’uno una perduta profondità di sentimenti e all’altro una fanciullezza mai vissuta. Veramente tenero.

Come diventare buoni” (How to be Good) del 2001 risulta più spigoloso all’inizio ma poi si fa leggere. Due coniugi affrontano la vita in modo totalmente diverso, positiva e pacifica lei, rissoso e cattivo lui. La separazione li porterà a scambiarsi totalmente i ruoli, diventando insopportabile lei ed esageratamente bonaccione lui. Tutto ciò crea imprevisti sbalzi d’umore anche nel lettore che ha iniziato il libro detestando lui a morte per assumere alla fine un atteggiamento quasi protettivo nei confronti del protagonista.

Non buttiamoci giù” (A Long Way Down) del 2005 affronta il tema del suicidio, addirittura un suicidio collettivo.

 

Quattro personaggi che non si sono mai incontrati prima si ritrovano la notte di Capodanno su un palazzo di Londra, famoso per essere scelto spesso da aspiranti suicidi, per buttarsi giù e farla finita con una vita di delusioni. La situazione inaspettata li porta a discutere animatamente invece di mettere in pratica il letale proposito. Anzi, la discussione termina con il buon proposito di continuare a vivere aiutandosi tra loro dandosi appuntamento dopo sei settimane, giorno di San Valentino, stesso luogo, stessa ora.

 

 

Oltre ai cinque romanzi Hornby ha scritto diversi saggi (tra cui “31 canzoni” e “Una vita da lettore”) e molti racconti.

Tornando a dove eravamo partiti, ossia “Febbre a 90°” (Fever Pitch) riproponiamo integralmente la recensione pubblicata su L’Eco di Roccasecca n. 13 del Marzo 1998. Alcune mie negative considerazioni sul calcio “di oggi” conservano una inquietante attualità dopo 10 anni.

 

Vogliamo suggerirvi un libro molto godibile, dedicato a tutti gli amanti e i “malati” di calcio, soprattutto agli appassionati del football d’oltre Manica. Stiamo parlando di Febbre a 90° di Nick Hornby, giornalista, insegnante e soprattutto “fissato” dell’Arsenal fin dall’età di 11 anni. Il racconto della sua vita da tifoso scorre fluido ed interessante, tra resoconti di partite e considerazioni personali.

 

 

Il periodo preso in esame va dal 1968 al 1992, un’epoca abbastanza lunga e ricca di gesta memorabili di protagonisti quali Best, Hurst, Jennings, Clarke, George, Keegan, Dalglish, Toshack, MacDonald, O’Leary, McClair, Adams, Wright e tanti, tantissimi altri, che molti lettori dell’Eco appassionati di calcio britannico conoscono bene.

I titoli dei capitoletti sono sempre dedicati ad una partita con relativa data (es. “Io e Bob McNab: Stoke City-Arsenal 15.4.72”) e questo già gratifica il lettore esperto. Il libro, lo ripetiamo, è soprattutto (ma non solo) per appassionati e per maniaci, coloro cioè che non potrebbero mai rivelare a chi sta loro vicino, in un momento in cui restano pensierosi ed apparentemente isolati da tutto ciò che li circonda, che ciò che stanno pensando niente altro è che “un sinistro al volo nel sette di destra, sferrato dieci o quindici o venticinque anni fa”; nessuno li capirebbe. “D’altronde, gli ossessionati non hanno scelta; in occasioni come queste devono mentire. Se dicessimo sempre la verità, non riusciremmo a mantenere rapporti con chi vive nel mondo reale”.

Per non parlare del grande imbarazzo che comportano inviti a matrimoni o ad altre importanti riunioni familiari o tra amici proprio in una data in cui si svolge una partita fondamentale; allora, con le parole dell’autore “sto sempre attento a fornire una scusa socialmente accettabile, che comporti problemi familiari o difficoltà sul lavoro: Sheffield United in casa è considerata una spiegazione inadeguata, in situazioni come queste”.

Con l’autore ripercorriamo la vita di un ragazzetto di undici anni che cresce di stagione in stagione, di campionato in campionato, parallelamente alla vita del “suo” Arsenal.

E le vicende della squadra spesso, sia pure metaforicamente, vanno a sovrapporsi alle sue storie personali. E a lui sembra quasi plausibile che se il campionato è andato male anche il lavoro o la vita sentimentale non abbiano attraversato un buon periodo e viceversa.

Ma Hornby è bravo anche nel calarsi nella realtà sociale che circonda il mondo del calcio: i tifosi leali e quelli sciagurati, le macchiette e i disperati, i rituali più strani e le abitudini più curiose (gustosissimi i brani dei cori sugli spalti riportati spesso durante le descrizioni delle partite).

 

 

Avrete capito che questo libro mi è piaciuto veramente molto e lo consiglio a quanti amano questo sport (nonostante tutto quanto di sbagliato ci sia ormai intorno ad esso), e pure a quanti non sono grandi esperti ma hanno voglia di entrare per un momento in un mondo a loro estraneo ma pur sempre affascinante.

Di tutti gli argomenti affrontati nella 244 pagine del libro ne abbiamo scelto uno dedicato al calcio cosiddetto minore, laddove si racconta delle gesta di squadre dilettantistiche di leghe sconosciute (la Isthmian League!) che ben possono essere rapportati alle divisioni inferiori nelle quali militano formazioni come potrebbe essere da noi Roccasecca, Saturnia Atina, Colle San Magno, etc. La descrizione dei tifosi e dei protagonisti sul campo di queste squadrette di provincia è realmente gustosa. Ho scelto questo capitolo tra i tanti perchè è questo il calcio più vero, più reale, più genuino e non quello dei miliardi, dei diritti TV, delle Paper View, dei numeri fissi (ormai gioca anche il numero 40!!!) e dei contratti stratosferici. E siamo pienamente d’accordo con le considerazioni che Hornby fa alla fine del capitoletto, quando sogna come sarebbe bello se i giocatori ed i tifosi dell’Arsenal diventassero come quelli del derelitto ma felice Cambridge City (attenzione, parliamo della squadra dilettantistica di Cambridge, non del Cambridge United, iscritto alla Lega professionistica, n.d.r.) qui citato.

 

 

L’EDIZIONE ORIGINALE INGLESE

 

Se avete dunque la curiosità di sapere come si concluse l’epico incontro tra il Saffron Walden ed il Tiptree che fu salutato “con un calore che il calcio professionistico non uguaglierà mai”, non avete che da proseguire nella lettura.

Il resoconto di quella “tiepida sera di maggio” si intitola “LA FAMIGLIA ADDAMS E QUENTIN CRISP” ovvero “SAFFRON WALDEN-TIPTREE - maggio 1983”

L’autore afferma che “guarderò qualsiasi partita di calcio, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, sotto qualsiasi tempo.” Quanti tra noi sanno cosa vuol dire questa passione! E prosegue: “Tra gli undici e i venticinque anni fui un frequentatore occasionale di York Road, campo del Maidenhead United dell’Athenian, poi Isthmian League; di tanto in tanto andai a vederlo giocare perfino fuori casa. (Ero là il grande giorno del '69 in cui vinse la Berkshire and Buckinghamshire Senior Cup, battendo il Wolverton 3-0 nella finale giocata, credo, sul terreno del Chesham United. E una volta, a Farnborough, dalla club house uscì un uomo che disse ai tifosi in trasferta di fare meno rumore.) A Cambridge, quando lo United o l’Arsenal non giocavano, andavo a Milton Road, campo del Cambridge City, e quando iniziai a insegnare andai con il mio amico Ray a guardare suo genero Les (la cui bellezza e il cui contegno impeccabile gli conferivano l'aria di un Gary Lineker dilettante) giocare per il Saffron Walden. Parte del fascino del calcio non professionistico è il pubblico: alcune delle persone che vengono a vedere le partite, anche se non tutte, sono completamente fuori di testa, forse ridotte così dalla qualità del football che hanno visto per anni. (Ci sono i fuori di testa anche sulle gradinate della Prima divisione - i miei amici ed io, per anni, cercammo di evitare un tipo nel North Bank che ogni settimana si metteva vicino a noi - ma si notano meno, fra tutti gli spettatori occasionali.) A Milton Road c’era un vecchio che chiamavamo Quentin Crisp, per la femminilità disarmante dei suoi capelli bianchi e del suo viso pieno di rughe: indossava un casco da motociclista durante tutti i novanta minuti di gioco, e passava i suoi pomeriggi a girare intorno allo stadio, bofonchiando come un levriero sfiancato: lo si vedeva tutto solo dall’altra parte del campo, dove non c'erano spalti, che si apriva un varco tra il fango e i detriti, coraggiosamente determinato a completare il giro, lanciando insulti ai guardalinee - “Scriverò di voi alla FAI” - quando si avvicinava.

 

LA LOCANDINA DEL FILM TRATTO DAL LIBRO

 

A York Road c’era (e forse c’è ancora) una famiglia intera, conosciuta da tutti come la famiglia Addams dall’aspetto fisico un pò bizzarro e infelice, che si era assunta il compito di assistere e indirizzare duecento persone che non avevano alcun bisogno di tali servizi; c'era anche Harry Taylor, un uomo molto vecchio e un pò svitato, che il martedì non poteva fermarsi a guardare la fine delle partite perché era il giorno del bagno, e al suo ingresso allo stadio veniva salutato dal coro di “Harry Harry, Harry Harry, Harry Harry, Harry Taylor” sull’aria del vecchio canto degli Hare-Krsna. Il calcio amatoriale, forse per sua stessa natura, attira questa gente, e lo dico con la totale consapevolezza di essere una delle persone attirate. Quello che ho sempre voluto trovare è un posto dove potermi perdere negli schemi e nei ritmi del calcio senza preoccuparmi del risultato.” Dopo aver tentato una dissertazione sul calcio come una sorta di terapia, l’autore continua con la descrizione dell’incontro: “Prima mi lascio distrarre dalle stranezze: i tifosi, le urla dei giocatori (“Mandalo a fare lo sguattero!” gridò Micky Chatterton del Maidenhead, il nostro eroe, a un compagno di squadra che quel pomeriggio stava confrontandosi con un’ala particolarmente insidiosa), la presentazione bizzarra e sconnessa degli intrattenimenti prepartita (il Cambridge City scendeva in campo sulla musica di Match of the Day, ma spesso la cassetta si inchiodava con un gemito pietoso proprio nel momento cruciale). Poi, una volta che vengo coinvolto così, inizio a tenerci; e nel giro di poco tempo il Maidenhead, il Cambridge City e il Walden cominciano a significare per me più di quanto non dovrebbero, e ancora una volta ci sono dentro, e a quel punto la terapia non può funzionare. Il piccolo campo del Saffron Walden è uno dei posti più belli in cui abbia mai guardato una partita di calcio, e là le persone sembravano sempre sorprendentemente normali. Andavo perché Ray, Mark e il loro cane Ben ci andavano, e andavo perché giocava Les; dopo un pò, quando cominciai a conoscere i giocatori, andavo per veder giocare un pigro attaccante, molto dotato, rispondente all’ improbabile nome di Alf Ramsey, che si diceva fosse un gran fumatore, e che fedele al classico stile di Jimmy Greaves non faceva altro che segnare uno o due gol a partita. Quando il Walden sconfisse il Tiptree per 3-0 vincendo così un qualche trofeo - la Essex Senior Cup? - in una tiepida sera di maggio, l’occasione fu salutata con un calore che il calcio professionistico non uguaglierà mai. Un piccolo gruppo di fedeli, una bella partita, una squadra di giocatori con un affetto genuino per il loro club (Les non giocò mai per nessun altra squadra nel corso della sua carriera, e come molti dei suoi compagni abitava in città)... Quando, alla fine della partita, il pubblico invase il campo, non fu per compiere un atto di aggressione o una bravata o per mania di protagonismo, come spesso sono le invasioni di campo, ma per congratularsi con la squadra, tutti fratelli, figli o mariti di quello o di quell’altro spettatore. 

Infine, alcune considerazioni che mi trovano in perfetta sintonia di vedute. “Fare il tifo per una grande squadra comporta un’amarezza di fondo, e non puoi far nient’altro che conviverci e accettare che il calcio professionistico debba essere amaro per poter significare qualcosa. Ma qualche volta è bello prendersi una piccola vacanza, e chiedersi come sarebbe se i giocatori dell’Arsenal vivessero tutti nei paraggi di Highbury, e avessero altri lavori. e giocassero solo perché amano il calcio e la squadra per cui giocano. È romantico, sì, ma squadre come il Walden ispirano romanticismo; a volte pensi che sarebbe bello se la sigla di A-Team che accompagna l’entrata in campo dell’Arsenal perdesse colpi come le cassette del Cambridge City, e i giocatori si guardassero l’un l’altro e si mettessero a ridere.”

E così sia.

 

R. M. Marzo 1998

 

Il libro Febbre a 90° di Nick Hornby è pubblicato in Italia da Guanda Editore, 1997.