La Fishkaptisto : viaggio nella poesia di Fabrizio De Andrè

 

 

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Nella mia ultima visita natalizia a Roccasecca è successo che Gianfranco mi abbia consegnato una copia del suo ultimo lavoro. La Fishkaptisto, cioè il Pescatore, un disco contenente undici canzoni di Fabrizio De Andrè tradotte in Esperanto.

L’ho tenuto un po’ in macchina senza ascoltarlo perché a Roccasecca non è impresa facile farlo. Finalmente passato il periodo delle feste, quando il mio stato d’animo mi è parso quello giusto ho sfruttato uno dei tanti viaggi in auto Ancona – Roma e viceversa per predispormi all’ascolto.

L’ho inserito nel lettore e ho iniziato un altro viaggio, un percorso attraverso suoni, parole, fonemi, assonanze, che mi ha trasportato indietro nel tempo. Una sensazione strana, un misto di nostalgia e di energia, di passato e di presente, di ricordi e di prospettive nuove.

Proprio ciò che si trova in un disco nel quale undici canzoni di Fabrizio sono eseguite con una modalità completamente rinnovata, a partire dal linguaggio ma non solo.

 

 

 

Un disco tutto da ascoltare e godere perché è, allo stesso tempo, un’opera nuova e vecchia.

Undici brani completamente rinnovati ma che mantengono intatta la fragranza originale, esaltata da arrangiamenti musicali di grande efficacia.

Dopo un po’ che lo ascoltavo e lo riascoltavo non ho potuto fare a meno di telefonare a Gigio per riferirgli il mio entusiasmo per il suo lavoro. A bruciapelo mi ha chiesto quale fosse il pezzo che più mi era piaciuto e lì per lì non sono riuscito a rispondere. Mi venivano alla mente diverse canzoni, ma non sapevo decidere. Poi riflettendoci con calma ho optato per “La stultulo” ( Un matto). A mio modesto parere un piccolo capolavoro che riesce a fondere tutta la magia dell’atmosfera che Fabrizio ha saputo infondervi con i suoni della nostra tradizione. Un’impresa musicale sicuramente non facile ma che è stata realizzata con un’intuizione felicissima. Un esempio particolarmente significativo di come una “cover” possa essere nello stesso tempo una “nuova canzone” pur restando quanto mai fedele allo spirito e alla autenticità del brano originale.

Brillano in questo pezzo le sonorità della zampogna di Marco Iamele e le percussioni di Rem; all’ orecchio di chi è abituato ad ascoltare da lungo tempo queste canzoni, questo particolarissimo arrangiamento finisce quasi per stupire.

La mia prima sensazione è stata quella di incontrare un carissimo amico che però non vedevo da tanto tempo: cambiato ma impossibile da confondere con altri.

Ma gli undici pezzi che compongono l’album di Gigio meritano tutti la citazione. A me personalmente fa venire i brividi la voce di Marcella Fasani in “Rimini”, ovviamente l’unico pezzo ad aver conservato il titolo originale.

 

 

Un brano registrato nel 1984, come la vivacissima “Send Krik” ; ma nel disco ci sono addirittura tre canzoni incise nel lontano 1976 con mezzi rudimentali nella camera da letto del tecnico Paolo Rufo.

Sono “Spinu la lanon” ( Fila la Lana), il mio preferito dopo “La stultulo”, “Franca Majo” ( canzone del maggio) e “La milito de Pjero” ( La guerra di Piero): un effetto sorprendente.

Registrazione 2007 invece per tutte le altre, con la brillante collaborazione dei bravissimi musicisti di ”MBL” nonché della partecipazione parentale di Marco Chiummiento alla chitarra, dell’organetto diatonico di Antonio Petronio e del basso dell’ineffabile Paolo Piccirilli.

Ah, incredibile anche la metamorfosi di “Mulvojo de maro” ( Creuza de ma) con un testo che passa con disinvoltura dal genovese antico all’esperanto senza risentire minimamente della traduzione. Anzi.

Discorso a parte per “Princino” ( Princesa) dove a mio modesto parere la voce di Gigio dà il meglio di sé: la sensazione è che lui senta particolarmente questa canzone. Badate bene, non ho elementi per affermarlo, è solo la mia percezione del momento.

Bellissimo anche l’attacco de “La fisakptisto”, sempre giocata sul filo del canovaccio musicale originale ma mai banale.

Quelle parole conosciute a memoria vestite di esperanto acquistano un’insospettabile fascino. La chiusura poi è magistrale, sia per la scelta del brano che per la sua realizzazione delicata e sensibile che rivela una profonda conoscenza dei sentieri interiori dell’autore.

Sono andato avanti a caso, seguendo l’ordine dell’emozione ma mi accorgo che non ho citato soltanto “La kanto pri Manjo” ( La canzone di Marinella) ma probabilmente per il solo motivo che si tratta della canzone che meno apprezzo del grande Faber.

 

 

Giudizio tutto mio ed impressione personalissima che spesso sortisce l’effetto di scandalizzare i cultori di De Andrè.

Alla fine del disco resta la voglia di riascoltarlo subito e la gratitudine per Gigio e anche verso tutti coloro che lo hanno aiutato nella realizzazione di un disco che meriterebbe una grande attenzione da critici musicali veri ( e non improvvisati come me) e soprattutto da un grande pubblico.

In proposito mi ha fatto molto piacere un aneddoto che Gigio mi ha raccontato. Il suo CD tramite un estimatore è finito nel negozio di musica del vecchio amico di Fabrizio, Gianni Tassio, ma gestito dalla moglie di questi dopo la morte del titolare, che si trova a Genova proprio in via del Campo. Un negozio che è diventato un autentico museo dedicato a Fabrizio De Andrè con ricordi, cimeli, dischi, oggetti appartenuti al cantautore e meta di tantissimi suoi cultori.

Ebbene il CD di Gigio è stato già richiesto dalla titolare del negozio perché avendolo fatto ascoltare in sottofondo ha suscitato l’interesse di alcuni clienti affezionati.

Un gran bel segnale.

 

Ferdinando, Febbraio 2008

 

P.S.

Mi piace riportare integralmente qui sotto il testo che Gigio ha scritto come suo epitaffio per Fabrizio.

 

Gianfranco

 

 

Fabrizio De Andrè

"Epitaffio" ispirato liberamente al modello dell’ "Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters

 

Nel saloon ho incontrato le puttane

E ho raccontato le loro storie di donne

Sconfitte, che pur vendendo a tutti la stessa rosa

Erano capaci di darsi fino in fondo

Fino a conoscere veramente cos’e’ amore

Fino a sapere cosa vuol dire "morire d’amore"

 

Nel saloon ho incontrato gli assassini

Ed il ladri, tutti presi nei loro affari

E ho raccontato le loro storie di uomini

Prigionieri nei loro sudari di vita

Che giocando ogni giorno con disprezzo

la loro solitudine di paura

se ne sono andati via nei ricordi

lasciandomi a volte strabiliato

 

 

Nel saloon ho incontrato te, amico fragile

Mi sono perso nella tua credulita’

E come una madre apprensiva

Mi sono sentito più’ vicino al figlio più’ disperato

Che alla gloria facile di un figlio ormai famoso

 

Nel saloon ho incontrato voi nani, invidiosi

Professori, pensionati , passanti

Pescatori, imbroglioni, pescecani

Ciechi d’amore, principesse,

Ma ho voluto stupirvi

Fino alla perversione del perdono

 

E alla fine del cammino ho ritrovato te che sei

La dolce compagna del mio viaggio

Il tuo canto di sirena mi aveva sempre preso

La tua voce sottile mi aveva già’ incantato

Ed ora mano in mano mi porti più’ lontano

Fino alla porta di Nancy

Fino all’ultima meta

    

 

 

Ciao 2001 del 29 settembre 1971