Archivio storico de L’Eco di Roccasecca
Dall’Eco di Roccasecca n. 37 del Febbraio 2002 abbiamo il piacere di ripubblicare una delle più toccanti testimonianze sulla Seconda Guerra Mondiale che abbiamo avuto la ventura di ascoltare. Si tratta di un evento tragico accaduto nella nostra terra, in parte conclusosi bene, almeno per quanto concerne la narratrice. E’ uno di quei racconti che suscitano sempre grandissimo interesse da parte dei nostri lettori, i quali apprezzano sia le storie vere, come questa, sia aneddoti e storielle fantasiose dedicate a quel particolare periodo storico Ricordiamo che l’articolo sui “fantasmi del Tracciolino” è stato uno dei più letti, soprattutto su internet, ed è stato addirittura inserito come testimonianza, tra realtà e fantasi,a in altri siti web. Aggiungo, non senza una certa emozione, che ho un ricordo speciale della bellissima serata durante la quale ascoltai questa storia e sono certo che anche alla narratrice farà piacere leggerla ancora una volta. Confido che testimonianze come questa possano fortificare nella mente di chi legge la convinzione che qualunque guerra sia portatrice di terribili perdite, indicibili sofferenze, insanabili lutti e indelebili traumi.
La breve vita del soldato Schmidt (così come ce l’ha narrata Zia Maria)
Premessa
Una serata invernale, trascorsa accanto al camino; io, Miria e Zia Maria. Era il 2 gennaio 2002. Non ricordo come siamo finiti a parlare dell’ultima guerra mondiale, fatto sta che poco a poco è emersa una storia di quel periodo, vissuta da una Maria bambina nella casa di famiglia, situata nelle campagne di Roccasecca. La piccola Maria aveva quotidianamente contatti con i soldati tedeschi, alcuni molto giovani, che avevano fatto della casa dei suoi genitori il loro Quartier Generale.
Un ragazzo dai capelli rossicci e dai modi gentili aveva anche scherzato con i bambini, accennando giochi nell’aia, balbettando frasi sconnesse per via delle lingue diverse. Un giorno arrivò il bombardamento, e tutti i tedeschi che si apprestavano a mangiare il "rancio" di mezzogiorno furono falciati. Maria, i genitori ed i nonni si salvarono miracolosamente. E quando passarono tra quelle due file di giovani vite finite, la bambina riconobbe quei capelli rossi e chiamò la madre, che la spinse via velocemente, quasi cercando di cancellare il più in fretta possibile quella terribile scena. Rimase lì, il giovane viso al cielo, lui come tanti altri: il soldato Schmidt. Un ragazzo che se avesse avuto la fortuna di vivere in un’epoca diversa avrebbe passato gli anni migliori in ben altre faccende, ed invece è rimasto lì, senza vita, per motivi incomprensibili, sotto la collina di Caprile. Quanti soldati Schmidt sono esistiti nella lunga storia del mondo?
Milioni, certo, ma non sono bastati se ancora oggi si cerca di risolvere le controversie con le bombe, le guerre, i commando suicidi. Tutti eventi che generano morti, proprio come quel povero soldato Schmidt. Chissà nel posto dove è morto ora cosa c’è? Una casa, un’aia, un prato, una strada? Prima di narrare il racconto completo di una particolare e tremenda giornata di guerra, prendo spunto dal tragico protagonista della vicenda per qualche breve considerazione sul significato (sempre che ne abbia uno) della Guerra. Mi viene in mente una pagina tratta da un vecchio libro di W. March, "Fuoco!" (Longanesi, 1967) che mette in risalto le inutili crudeltà della guerra, e che riporto quasi integralmente: “Lo si riconosce sempre un campo di battaglia dove molti uomini hanno perduto la vita. La primavera seguente, l’erba vi cresce più verde e lussureggiante che non nella campagna circostante; i papaveri sono più grossi, i fiordalisi più azzurri. Crescono nel campo e lungo gli orli dei crateri delle bombe e si chinano quasi fino a toccarsi al di sopra delle trincee abbandonate, in una massa di colore che s’increspa continuamente a seconda della direzione del vento. Tolgono le cicatrici al terreno sconvolto e lo trasformano di nuovo in una superficie liscia, dolce. Prendiamo un bosco, un avvallamento: tempo un anno, nessuno immaginerebbe mai quel che vi è accaduto. Ripeto i miei pensieri a mia moglie ma lei dice che non è difficile spiegare questa faccenda dei campi di battaglia: il sangue degli uomini uccisi e i corpi sepolti rendono più fertile il terreno e stimolano la crescita della vegetazione. ‘E’ un fenomeno naturale’ dice. Ma non riesco ad accettare quella spiegazione troppo semplice. Secondo me Dio è tanto disgustato dagli uomini e dalla loro continua crudeltà, che ricopre più in fretta possibile il luogo nel quale sono state commesse".
Mi accorgo di essermi dilungato troppo, veniamo dunque al racconto completo di Zia Maria. Molti conoscono bene, grazie anche ad alcuni articoli e "speciali" apparsi su queste pagine, gli eventi che durante la Seconda Guerra Mondiale hanno coinvolto la zona di Roccasecca e dintorni. La distruzione dell’Abbazia di Montecassino, l’esplosione della stazione ferroviaria di Roccasecca sono sicuramente i fatti più importanti accaduti ed hanno ricevuto, a ragione, molta enfasi e tanta letteratura (anche da parte di alcuni nostri collaboratori!). Ma la guerra è fatta anche di tanti piccoli episodi, quasi sempre ignorati da tutti, eccetto che dai testimoni oculari e da coloro che in seguito ne hanno ascoltato i racconti. Questa storia vuole essere una testimonianza ed anche un omaggio ad altri eventi simili di cui forse non parlerà mai nessuno. I tedeschi avevano requisito delle case da utilizzare come base per le odierne spedizioni nella campagna di Cassino. Una di queste abitazioni fu proprio quella dei genitori di Maria.
Gli abitanti della casa furono spostati, insieme a molte suppellettili, nella pur grande cantina, mentre la casa padronale fu adibita a quartier generale. Ad onor del vero bisogna specificare che i Tedeschi non nascosero i rischi connessi a rimanere in quella casa, che automaticamente diveniva un possibile obiettivo dei bombardamenti e delle incursioni dei caccia alleati ed invitarono i civili ad andarsene. Ma i genitori ed i nonni di Maria preferirono restare pensando che il pericolo non fosse così imminente e sperando, forse, che la casa presto sarebbe stata loro riconsegnata. C’è da tener presente il tradizionale attaccamento alla propria abitazione, che nelle zone rurali è più forte che altrove. Altri testimoni dell’epoca raccontano infatti che quando molti roccaseccani si rifugiarono sui monti, soprattutto in località Santopadre, durante il giorno i capifamiglia affrontavano un lungo, faticoso e pericoloso viaggio fino a valle pur di andare a controllare le proprie abitazioni rimaste vuote. Un legame casa-uomo-terra che appare indissolubile
Ogni mattina dalla casa partivano grossi e pesanti camion pieni di giovanotti che andavano alla guerra. Maria li guardava partire. La sera quegli stessi camion tornavano, sporchi, ammaccati, le enormi ruote infangate. Da essi non scendevano tutti coloro che erano partiti al mattino; ogni giorno un certo numero di essi rimaneva senza vita nelle campagne, in attesa di essere portati in un cimitero o addirittura sepolti alla buona, dopo essere stati spogliati di ogni bene riutilizzabile là dove erano stati colpiti; la guerra è anche questa, purtroppo, inutile scandalizzarsi. Forse sono stati seppelliti proprio là, dove in seguito cresceranno i fiori più belli e colorati. Uno di questi ragazzi, lo abbiamo detto prima, si chiamava Schmidt (forse si scrive così, forse no, ma non si può pretendere di più dai ricordi di una bambina che parlava un’altra lingua!) ed appariva molto giovane, poco più di un adolescente, i capelli rossicci, una malcelata tendenza alla distrazione in quei brevi momenti di rilassamento che ci sono anche durante le peggiori guerre. Si avvicinava ai bambini e ai ragazzi che giocavano nell’aia, provava a comunicare, a condividere, in qualche modo, momenti più sereni. Chissà se proveniva dalla città o anche lui dalla campagna? Chissà se quel luogo in qualche modo non gli ricordava casa sua, un fratello, una sorellina, degli animali sull’aia. Noi non lo sapremo mai. Quel giorno i ricognitori volarono più spesso del solito. Il papà di Maria subodorò il pericolo e trascinò i bambini sotto una macchina agricola, accanto ad un pagliaio. I nonni rimasero in cantina, causa quel certo fatalismo, che spesso sfocia in pigrizia, tipico delle zone meridionali …. I soldati tedeschi, ordinati come al solito su due file, aspettavano il rancio. Le donne avevano preparato pasta e fagioli. C’erano due donne del paese che venivano tutti i giorni ad aiutare in cucina, ed una di loro si era fidanzata proprio con un soldato tedesco.
I bombardieri si materializzarono sul cielo limpido e sganciarono il loro pesante e triste carico. Maria racconta che alcune delle buche che vide successivamente sembravano enormi crateri lunari. Le esplosioni, gli incendi e le grida si susseguirono nel breve spazio di pochi minuti. Quando Maria si rialzò trovò le mani accoglienti e protettive dei genitori che la portavano via. Per uno di quei miracoli che ogni tanto accadono anche in guerra, la bomba scoppiata accanto al covone di paglia non aveva provocato incendi e così anche la trebbiatrice sotto cui si erano accovacciati era rimasta integra. Una scheggia di muro aveva invece provocato una ferita nel corpo del papà. La scena che li accolse mentre passavano in quella che era stata l’aia fu atroce. Tutti quei soldati tedeschi erano a terra, morti, in una fila quasi composta, proprio come erano stati, in piedi, negli ultimi istanti di vita. Maria riconobbe Schmidt dai capelli, chiamò la mamma urlando "quello è Schmidt, è Schmidt!", ma fu strattonata e portata via il più in fretta possibile da mamma Rosa, che aveva un unico obiettivo: allontanarsi immediatamente da quell’orrore. I nonni, altro miracolo, si erano salvati restando seduti sotto l’unico arco della cantina rimasto in piedi. Tutto intorno c’era solo distruzione. Della casa non rimase nulla. Fu riedificata in seguito: un solo piano in attesa di sopraelevare successivamente. Poi Maria si sposò e la casa rimase così com’era.
Nella tragedia, Maria ricorda anche un particolare quasi divertente. Come tutti gli abitanti del luogo, i suoi genitori, prima dell’arrivo dei Tedeschi, avevano nascosto damigiane dappertutto, per evitare il sequestro e tentare di conservare qualche bene essenziale (olio, farina, etc.). Ebbene, una bomba andò a colpire proprio il posto dove erano state sotterrate le damigiane riempite con la farina, lasciando un paesaggio lunare, con tanto di cratere imbiancato da quella preziosa polvere bianca. Oggi le polveri bianche preziose, nel mondo, sono ben altre, oltretutto pericolosissime … La famiglia di Maria si trovò d’un tratto senza casa, senza un posto dove andare a dormire. Ma ecco che da Caprile giunse uno zio, accorso dopo il bombardamento. Questo parente era considerato un "libertino" all’epoca, non andava neanche particolarmente d’accordo con i parenti, ed era andato ad abitare da solo, in affitto, in una casetta di Caprile. E proprio in quella casa ospitò gli sfortunati parenti. La leggenda (o la verità storica? chi lo sa!) vuole che questo "zio", giunto sul luogo, dopo essersi accertato che i parenti fossero in condizioni di salute accettabili, si accomodasse tra i ruderi e le macerie per rendere omaggio a … quella pasta e fagioli alla ciociara che non era stata consumata! E così, spostando qua e là detriti e polvere dalla pentola, ne mangiò una robusta porzione. Proprio come in un film di Totò! Questa scena finale smorzò un poco la tristezza della storia appena narrataci, e fece sì che, tornando a casa, in quella sera d’inverno, io e Miria commentassimo più questo episodio che ciò che era successo prima. E spero che abbia lo stesso effetto su di voi, anche se ormai il soldato Schmidt è entrato nelle nostre vite e difficilmente ne uscirà più, emblema di tutti i bravi figli morti chissà dove e perché in tutte le guerre.
Riccardo (e Miria)
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