Accogliamo con grande piacere l’arrivo su L’Eco di Roccasecca di un nuovo collaboratore, l’amico Rocco Tanzilli, pittore ed ora anche narratore di quelle storie del “tempo che fu” in ambiente contadino della zona di Roccasecca, che piacciono tanto ai lettori dell’Eco e che avranno in questa prima occasione grande spazio e rilievo.

Aggiungo che tutte le illustrazioni, prevalentemente di ambientazione rurale, che corredano le storie – ad eccezione della cartolina con i “soprannomi” della formazione del Roccasecca – sono immagini di opere dipinte da Rocco.

Buona lettura!

 

La trebbiatura

 

 

Storie e aneddoti narrati

da Rocco Tanzilli

 

Vorrei, per chi non lo sapesse, portare a conoscenza come si viveva  qui da noi durante il periodo bellico oppure anticamente.

La persona che eventualmente si cercava aveva un cognome, ma nessuno avrebbe trovato chi interessava se non conosceva il soprannome e questo valeva anche per la località.

Tutto ciò e’ stato dimenticato ma e’ una cultura che non si può trascurare.

Sono stati scritti tanti libri sul nostro passato ma difficilmente ho trovato quello che sono in procinto di dire.

 

 

LE LOCALITA’ DEL COMUNE DI ROCCASECCA E PAESI LIMITROFI

 

Farò un elenco di quelle località da me conosciute, ma ce ne sono tante altre da me ignorate.

Ecco a voi quelli che sono di mia  conoscenza. La “e” finale e’ muta.

La strada romana, lu campe lu mediche, lu cambe sorangele, li gambune, la selva, lu cummone, le cese, lu vichele pignatare, meserotele, cambe cavaliere, manende, le cocce, la fossa marchitte, lu fosse lu dannate, ciccone, la serqua bianca,la cerqua li puzzende, Lu puzze ciccabbade, lu cambe mangine, la palombara, campo minonno, la torretta, lu puzze caprili, la soccia, li canistrare, la cappella marcella, la melfe, le pandanelle, cerride, S.Vite. S.Anna, ruciano. lu termene, li savudune, bocca de fiume, capenire, lome morte, le pannigle, fontana conte, le strupparelle, la selva pitete, li candune, li savedune, scaffale, le folecare.

Queste località sono quelle che ricordo, ma ce ne sono tante altre passate nel dimenticatoio.

 

I SOPRANNOMI

 

Li pittune, li petrine, li burrine, li cepranise, li collacciane, li pandalee, li padanelle li brocchele, li nascente, li mirolle, li sandille, li monecacelle, li pitete, li vangangure, li pepetille, li sambalonghe,.li sambacurte, li caine, li pisctille, li cicchitte, li barboni, li pizzicati, li torture, li zaine, li brocchele, li marascalle, li soppe, li gobbe, li malandate, li triplette, li surde, li sorge, li biangupette, li castille, li nardune, li nasune, li stracciacoperte, li pezzanire. Queste erano famiglie, poi vi erano quelli personali:

Bagonghe, micione, lu cricche, occiarraiate, pallanfronde, lumerle, zappone, cifelona, panaccie, miscdeie. Rangetorte,s aveciccione, li tingunire ecc.

 

 

Non vorrei offendere nessuno ma questi nomi hanno avuto sicuramente una origine.

 

Cartolina con la formazione del Roccasecca 1950 con i soprannomi (Pretaonlus 2002):

PINGUINE – BUBU’ - BABBALIONE – CACATIELLO – SPIANATORE – RAZIO – FRAMMASONE – PIATTINE – PIATTONE – CIPULLITTE – PIATTECALLE

Allenatore e riserve: ‘NDOGNE PIANGE – CACONE – CAZZITTE

 

 

LE STORIELLE

 

Prefazione

Prima di iniziare a raccontare le mie storielle vissute, voglio mettere in evidenza come ho trascorso la mia adolescenza. Dalla nascita  fino all’età di dodici anni  la mia vita si e’ svolta in Francia con i miei genitori.

Si viveva agiatamente ma quando Mussolini dichiarò guerra alla Francia tutto cambiò. Per i cittadini Italiani iniziò l’inferno.

 

Dopo aver trascorso l’invasione dei tedeschi in quel paese, ci rimpatriarono.

Il mese di agosto del 1940 rientrammo in Italia, quindi a Roccasecca.

A quei tempi la vita da trascorrere in questo paese non era affatto facile. Niente luce, niente gas, niente strade, nessun trattore, nessuna macchina, qualche bicicletta scassata, acqua di pozzo alla romana. Il lavoro da svolgere era deprimente; quelli che hanno la mia età conoscono bene cosa si doveva fare per vivere.

Senza alcuna istruzione in italiano, all’età di dodici anni, dopo aver fatto la quinta a Lione, mi ritrovai in prima elementare a fare i bastoncini con i bambini.

Era l’era fascista con il pompo’ in testa e si doveva marciare e ogni sabato fare la presenza alla stazione di Roccasecca.

 

 

Spigolatrici

 

 

“Mucche” (realmente esistite)

 

 

I TEDESCHI E LA GUERRA IN ITALIA

 

Dopo che Badoglio firmò l’armistizio, sembrava che tutto fosse finito, invece iniziarono i guai.

Da quel momento in poi, noi per i tedeschi eravamo solo traditori, si sentivano in dovere di fare ciò che volevano. Rastrellamento di bestiame e di uomini erano all’ordine del giorno.

Qualche collaboratore ancora fascista si prestava a far trucidare gente inerme solo perché erano loro nemici. La nostra zona fu occupata da svariate truppe tedesche.

Gli americani, dopo essere sbarcati in Sicilia e occupata Napoli, avanzavano sempre di più per poi arenarsi prima di Cassino.

Là vi era il fronte e le battaglie non avevano mai fine. Era il periodo dei bombardamenti aerei e delle cannonate.

Un di’ mentre ero in un prato a pascolare le bestie, vidi perfettamente il fumo causato dalle bombe che distruggevano il monastero di Montecassino.

Gli americani avevano sicuramente delle vedette sui monti oltre Cassino perché noi, parlo di ragazzi incoscienti, ci mettevamo a gesticolare in un campo aperto per fare scaricare le munizioni agli alleati.

Dopo qualche minuto delle nostre scorribande, eccoti arrivare una cannonata.

 

Era una granata che emetteva una densa fumata bianca.

Si udiva perfettamente il colpo di cannone poi un lungo fischio e l’esplosione di questa granata.

Era il momento di fuggire perche subito dopo arrivavano grappoli di cannonate.

Queste birichinate pericolose si ripetevano quasi ogni giorno.

La guerra per le persone mature era una tragedia ma per noi quasi un gioco.

 

 

LA PORCHETTA

 

Un giorno mentre pascolavo i miei maiali con altri ragazzi che avevano la stessa professione, in una località appartata detta “le tora”, inaspettatamente ecco arrivare una camionetta con tedeschi a bordo.

Erano quelli addetti alla cucina da campo. Si intuì che cercavano maiali. Uno di loro con un dito, scegliendo a destra e a sinistra, andò a beccare proprio una mia porchetta.

Questo fatto mi fece male e subito pensai che quel maiale non lo avrebbero mai avuto.

Incanalarono il maiale per strada, la bestia avanti e la camionetta dietro con i nuovi guardiani.

La cucina dove dovevano arrivare era distante circa quattrocento metri. Strada facendo uno di loro con un bastone non smetteva mai di menarmi. Dopo circa trecento metri,la strada andava restringendosi. Era il momento buono per agire. Con un balzo salii sulla scarpata, passai avanti al maiale e con due frustate lo feci deviare nel campo adiacente.

Mi girai per vedere se mi seguivano e vidi uno di loro puntarmi il fucile, mi avrebbe sicuramente sparato se non fosse stato per il compagno più umano a scansare l’arma. Non era comunque facile perche correvo a zig zag.

La porchetta purtroppo fece comunque una brutta fine perché la mangiammo noi.

 

Il DETTO DI ROCCASECCA

CON GLI ZINGARI

 

Posso dire che ho fatto anch’io una cosa del genere ma con le nostre carni.

A casa di mio padre si stabilirono i tedeschi. Era un maresciallo e tre soldati. Mi avevano preso a ben volere e mi chiesero se volevo ogni giorno andare alla cucina da campo a prendere da mangiare. Non mi feci pregare, con un bidone militare con straccali uso zaino partivo a piedi a prendere questo rancio. Questa cucina distante circa trecento metri da casa era la disgrazia del bestiame della zona. Tutto ciò che  rastrellavano da noi finiva in pentola in quell’ambiente.

La loro specialità era il gulasch. Un profumo da far svenire, poi con quelle carni genuine non dico altro! Da premettere che la fame in quel periodo non mancava.

Nell’andare e venire costeggiavo la strada romana in un viottolo creato per non infangarsi.

Il primo e secondo giorno, andò così ma poi mi decisi. Con un coltello feci un bel forchettone di legno aprii il coperchio e “pancia mia fatti capanna”.

Ogni giorno era una festa, ero diventato più bello, mangiavo bene a differenza del povero pasto fatto in casa. Nessuno si era accorto di nulla perché qualche cosa lasciavo.

Una sera, all’imbrunire, vennero a casa quelli della cucina da campo. Sembrava che dovessero fare una festa con quelli che erano da noi invece iniziarono brutalmente l’incontro tanto che mio padre e uno dei miei zii intervennero per sedare la lite. Il cuoco con un coltello minacciava di colpire i colleghi. Uno di loro, che parlava discretamente francese, disse che la lite era dovuta alla mancanza di carne nel rancio. Il cuoco sapendo che non poteva essere andò su tutte le furie.

Una cosa e’ certa ,non mi mandarono più a prendere da mangiare …

 

 

IL MULO (prima parte)

 

 

Ciociara in costume

 

La casa dei miei genitori era in via Latina detta strada romana. Ero seduto in cucina con la porta aperta. Era primavera faceva già caldo.

A circa cento metri di distanza,in un viottolo che attraversava un campo vidi un mulo, pieno di finimenti, che correva seguito da alcuni uomini.

Pensai che quella bestia era sicuramente fuggita ai tedeschi anche perché più nessuno era in possesso di bestiame.

Mi venne subito in mente di impossessarmene. Quelli che lo seguivano mollarono l’impresa. Uscii da casa e in compagnia di un mio cugino iniziammo a correre per raggiungere questa bestia. Era alto ,bruno,bellissimo del tipo cavallino, pieno di cinghie di cuoio. Iniziammo la maratona dietro questa bestia con la speranza di prenderla .Non era facile, mio cugino dopo un pò si ritirò. Io fisso nel mio intento, via di corsa! Il terreno era bagnato, i sandali che portavo ai piedi rimasero nel fango.

  

Il mulo avanti ed io dietro con la speranza di passargli avanti per portarlo verso casa.

Ma questa bestia con la testa alzata per dirmi “non mi freghi”, maestosamente correva sempre con il medesimo ritmo. Dopo una lunga maratona nei campi riuscii a passargli avanti a circa tre chilometri da casa. Tale e’ la distanza da casa mia a poco prima del fiume Liri.

Sempre di corsa lo riportai nei pressi di casa.

Mio fratello ed altre persone erano pronti per prendere questa bestia ormai stanca, tutti attaccati alle briglie del mulo, erano almeno tre se ben ricordo. Mio fratello aveva sempre con sé un coltello, tagliò di netto le cinghie di cuoio che avevano in mano gli approfittatori dicendo che il mulo lo aveva portato lì suo fratello.

Dopo di ciò la bestia fu portata nella stalla.

Ero rosso in faccia, ansavo in modo visivo, mia madre quando mi vide mi mise una mano sulla fronte e disse “tu tè la fèvre”; veramente dopo averla misurata l’avevo a trentanove circa.

Contenti del risultato,con questo mulo nella stalla, per noi era una ricchezza; non avendo più mucche per lavorare  Il mulo ci dava la possibilità di fare qualcosa.

Mio padre, bravo falegname, costruì un bell’aratro per iniziare a dissodare qualche pezzo di terra.

Era meglio se si risparmiava il lavoro di falegnameria.

Il mulo era pazzo, sfasciò tutto e scappò via.

Dopo tutto il sacrificio che avevo fatto addio mulo.

Stranamente dopo poco ritornò nella stalla. Non sopportava la vicinanza di nessuno.

Un di’ due tedeschi rastrellatori videro questa bestia nella stalla e si capì che lo conoscevano, sicuramente aveva combinato qualche danno e se ne andarono senza di lui.

 

 

IL MULO E L’ALPINO

(seconda parte)

 

 

Un giorno venne da noi il genero di un vicino di casa detto “Pallanfronde”. Era dell’alta Italia .

Tenevamo momentaneamente questa bestia legata fuori dalla stalla.

Avvisammo questo tizio di stare attento al mulo perché era cattivo. Con aria spavalda disse che lui era stato negli alpini e conosceva molto bene queste bestie.

Si avvicinò al mulo, lo prese per un orecchio attorcigliandolo e sussurrandogli parole a noi incomprensibili.

Salì in groppa ed esclamò “AVETE VISTO!”.

Forse in quel momento il mulo era distratto ma all’improvviso abbiamo visto questo poveraccio balzare in aria, non avendo né briglia, tanto meno la sella; era in una posizione perfetta. Infatti il mulo con una coppia di calci lo centrò, per fortuna al sedere, e lo mandò ad infilare la testa in un mucchio di paglia posto ad una certa distanza.

L’alpino si rialzò e senza dire una parola se ne andò.

A ripensarci ancora oggi mi viene da ridere.

Non finisce qui.

Un giorno si presentò da noi un tizio che aveva saputo di questa bestia e la voleva per andare con la famiglia in montagna perché era imminente l’avanzata del fronte.

Lo vendemmo per quattromila lire avvisandolo del pericolo.

Lo prese ugualmente ma fu per lui una disgrazia; lo aveva caricato e non dico altro.

Lo riportò a casa e lo rivendemmo sempre a quattromila lire.

Di questa bestia non si è saputo più nulla, ma con la fame che non mancava avrà fatto una brutta fine.

 

 

 

LO SCALO FERROVIARIO DI ROCCASECCA

 

La Stazione Vecchia

 

Alla stazione di Roccasecca sostava sui binari una tradotta militare.

Gli americani con qualche spiata hanno preso di mira questo treno che sicuramente trasportava materiale bellico.

Ogni giorno sganciavano sistematicamente bombe con aerei da caccia  sempre nella stessa direzione Uno di questi caccia passò a bassa quota nei pressi di un campo dove io, mia zia e mio zio eravamo li a zappettare. Ci mettemmo a salutare il pilota gesticolando e dicendo che eravamo amici. Questo bastardo sganciò una bomba che sicuramente era destinata a noi. Ci buttammo a terra e sbadatamente misi un piede sulla punta della zappetta e il manico sbatté con tutta la forza contro i denti di mia zia la quale gridava e diceva che l’avevano colpita.

La bomba esplose a poca distanza da noi e stranamente fece un grande mucchio di terra e pochi danni. Dopo svariate incursioni, una sera all’imbrunire un bagliore accecante seguito da due esplosioni mai udite così forte. L’obbiettivo era stato raggiunto; per un chilometro tutti i vetri delle case andarono in frantumi, le rotaie della ferrovia erano sparse ovunque. L’abitato della stazione fu spazzato via.

 

Rimase in piedi solo la struttura in cemento del palazzo di Giangrande. Per fortuna la gente era stata evacuata e ci fu soltanto un morto.

Qualche giorno dopo andai a vedere cosa era accaduto, non era facile passare in quelle rovine.

Dove attualmente vi la nuova stazione notai una fossa profonda non saprei quanti metri , in fondo usciva dell’acqua sorgente.

 

La Stazione Nuova

 

 

CONCLUSIONE

 

Ciò che ho voluto narrare sono episodi vissuti con i tempi di allora ma queste storie sono una piccola parte di racconti. Se andiamo veramente a cercare ci sarebbe da scrivere un romanzo.

Se ai lettori potrà interessare quello che ho scritto e se sarà pubblicato tutto ciò, mi farebbe piacere se si potesse inserire qualche mio dipinto per mostrare a chi non lo sapesse, come si svolgevano i lavori nei campi.

Aggiungo che io non sono uno scrittore quindi ci potrebbe essere anche qualcosa che non è “italianissimo”.

Per quanto riguarda i soprannomi, speriamo che nessuno si offenda.

 

Vostro

Rocco Tanzilli