Alla ricerca della bettola perduta
E' inutile e utopico sperare che tutte le vecchie tradizioni siano conservate a discapito delle ondate consumistiche che avanzano, questo è un dato di fatto e non ci illudiamo. Eppure ogni tanto si può almeno provare a superare le soluzioni scontate e precotte, per riassaporare tradizioni, odori, sapori quasi irrimediabilmente perduti. Prendete i locali dove si può andare “a mangiare un boccone”. Sono sempre meno quelli caratteristici, che offrono prodotti locali, neanche regolarmente, nel senso che vi portano quello che hanno quel giorno, che non è detto troverete anche l’indomani. L’offerta ormai è quasi del tutto globalizzata: le stesse cose ovunque e tutti i giorni, con sapori e profumi equivalenti al nulla. Proprio durante l’estate scorsa ho sentito dire da qualcuno del solito gruppetto di amici – Gianfranco, Mario Trapper, Ferdinando, Vincenzo, Angelo Scienziato – che c’è un locale a Pontecorvo (o ad Aquino? non ricordo esattamente, ma il concetto non cambia) in cui si deve andare presto, si mangia “quello che ti portano”, senza particolare attenzione a tovaglie e stoviglie, infine ci si accomoda fuori entro le 23 perché i titolari vanno a dormire. Un servizio non da 5 stelle, indubbiamente, ma le pietanze hanno i sapori giusti e l’atmosfera è particolarmente umana. Sto leggendo un libro sufficientemente noto, “Strade blu”, che è una sorta di Diario di viaggio negli Stati Uniti, scritto da William Least Heat-Moon, discendente dei pellirosse, alla fine degli anni ’70. Le strade blu sono quelle secondarie, che non percorre quasi più nessuno, ma dove ancora si possono incontrare piccoli tesori di varia umanità. L’autore fa questa considerazione: “Era mezzogiorno passato ed avrei potuto mangiare in una qualunque di quelle trenta friggitorie senza nemmeno accorgermi di essere a 700 miglia da casa. Forse l’America dovrebbe sostituire all’aquila nazionale il Pollo Fritto Kentucky e stampare sui dollari l’effige di Ronald McDonald. Dopotutto, l’anno scorso le società di fast-food hanno realizzato un giro d’affari di quasi 300 miliardi di dollari. E non ci sarebbe nulla di male se non fosse che il sistema delle catene fast-food ha praticamente cancellato i caffè, le rosticcerie e le trattorie che servivano i piatti locali, cucinati spesso in base a ricette davvero segrete. Una volta se mangiavi a Frankfort sapevi di mangiare in Kentucky; a Lompoc o Weehawken non trovavi le stesse pietanze. Ma dei loro 33 miliardi di hamburger all’anno, le catene di fast-food non ne vendono molti in quei paesini delle strade blu dove le trattorie devono ancora attirare i clienti con la qualità costante e non con la pubblicità a tappeto su scala nazionale. E speravo di incontrare Mamma X nella sua cucina e Papà Y davanti ai fornelli, entrambi indaffarati a servire da 30 anni negli stessi locali i loro piatti <non veloci>, ma cotti a fuoco lento: entrambi proprietari di quei ristoranti in cui ti senti trattato da amico”. Ecco, penso che lo scrittore americano abbia centrato il discorso. Alle volte basta tentare una deviazione o seguire l’istinto e ci si può trovare in una sana bettola con quattro amici a gustare sapori perduti … Buona lettura e buon appetito a tutti.
Il Direttore
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