Quando vidi per la prima volta giocare l’Ajax di Amsterdam in una delle rare occasioni in cui in
televisione davano partite internazionali che non vedevano all’opera l’Italia, o squadre
italiane, capii che era scoppiata la rivolta.
Quelle maglie bianche con la striscia centrale rossa diventarono nella mia mente di tredicenne
la bandiera della libertà. Un’altra musica, un altro pianeta, un altro gioco.
Lo stopper ? Il libero ? I mediani ? le ali? I terzini ? il centravanti ? Basta, basta. Nell’Ajax dei
primi anni settanta non c’era niente di tutto quanto conoscevamo sino a quel momento. Anzi,
c’era tutto, ma mescolato, integrato, sinergizzato si direbbe oggi con un pessimo neologismo.
C’era l’essenza del calcio, la favola della fantasia, la bellezza di un gioco che spingeva a
sognare spazi di libertà infiniti.
Quella Ajax vinse per tre volte di seguito la Coppa dei Campioni ( se ci avessero parlato allora
di Champions League avremmo giustamente mandato tutti a quel paese) dal 1971 al 1973
battendo, nell’ordine, nel 1971 2-0 il Panathinaikos di Puskas ( in panchina c’era Rinus
Michels) poi nel ’72 sempre per 2-0 l’Inter di
Boninsegna con una doppietta di Johan Cruijff e nel 1973 1-0 la Juventus con un imperiale
stacco di testa di Johnny Rep.
Stuij; Suurbier, Hulshoff, Blankengurg, Krol; Muhren, Haan, Neeskens; Swart, Cruijff, Keizer.
In panchina Kovacs che aveva ereditato la guida della squadra da Rinus Michels.
Quell’Ajax si trasferì quasi interamente nella nazionale olandese allenata proprio da Rinus
Michels, il vero padre e inventore del “calcio olandese”.
E allora accanto alle maglie bianche con la fascia centrale rossa arrivarono le altrettante
indimenticabili maglie “orange” dell’Olanda.
E fu una festa. Un’orgia di calcio spettacolo, una continua esibizione di football rutilante
nel quale ogni volta si affacciavano in avanti facce diverse.
Impossibile non ricordare le figuracce rimediate, per esempio, dal povero Oriali che
Gianni Invernizzi nella finale del 1972 aveva scelto per marcare Johan Cruijff. Oppure
l’ancora peggiore magra rimediata da Orlandini chiamato improvvidamente da
Bernardini a marcare sempre l’inafferrabile Johan in Olanda –Italia disputata a
Rotterdam il 20 novembre del 1974.
Finì 3-1 per gli orange ma sarebbe potuta finire anche in goleada.
Al 5’ vantaggio di Boninsegna e poi la fine, nel senso che a parte un possibile rigore
negatoci dall’arbitro russo Kazakov poi l’Italia la palla non la vide proprio più. Pareggio di
Rensenbrink e doppietta letale di Cruijff, imprendibile per tutta la gara non solo per
Orlandini ma per chiunque altro.
Ma quell’Olanda era un sogno realizzato, un piacere degli occhi e della mente, un
fremito irrefrenabile che scuoteva ogni vecchio schema mentale non solo calcistico
portando una ventata di freschezza. Si respirava un’aria nuova, un sessantotto calcistico
praticamente coincidente anche cronologicamente, visto che proprio alla fine degli anni
sessanta era sbocciata la scuola olandese.
Quelle squadre, il Fejenoord, l’Ajax, l’ Olanda, stupivano anche fuori dal campo. Capelli
lunghi, allenamenti durissimi, grande cura della tecnica e della tattica, ma anche costumi
e idee assolutamente anticonvenzionali. Da noi per decenni si era andati avanti, e si
continuerà anche dopo, con rigide regole imposte agli atleti basate soprattutto
sull’astinenza sessuale e su ritiri monacali per tenere lontana ogni tentazione della carne
e non.
Invece l’Ajax per prima e poi anche la nazionale olandese fecero scalpore quando si
presentarono in ritiro con tanto di moglie e fidanzate, più o meno ufficiali, al seguito.
Una novità che provocò un enorme scalpore, forse ancora più che i risultati sul campo.
Il sesso sdoganato, la libertà sessuale applicata al calcio e agli atleti. Ancora una volta la
sconfessione di tutte le regole che sino a quel momento avevano regnato nel mondo del
calcio.
Per rendersi conto della portata “sovversiva” di quella squadra basti pensare che
in Grecia, all’epoca del regime dei colonnelli, in occasione di una semifinale di
Coppa dei Campioni cercarono di vietare il visto di ingresso a Cruijff e compagni
per i loro capelli lunghi e gli atteggiamenti troppo liberali.
Tornando all’Olanda, quella squadra perse ben due finali consecutive nei
Mondiali del 1974 in Germania e nel 1978 in Argentina. Guarda caso entrambe le
volte contro i padroni di casa. Soprattutto nel secondo caso si trattò di un
autentico furto con un arbitro italiano, il tremebondo Gonella, più che ben disposto
nei confronti dell’Argentina. Ci vollero i tempi supplementari, e molte decisioni più
che discutibili di Gonella, per piegare l’Olanda che pure era ormai priva di Johan
Cruijff che aveva rinunciato a quei mondiali per motivi imperscrutabili, nonostante
l’appello della sua Regina.
Ma il non aver mai vinto il Mondiale non cambia di una virgola l’enorme significato
oserei dire etico, prima ancora che sportivo, di quella stupenda ed irripetibile
stagione “olandese”.
Quei modelli costituiti dall’Ajax e dall’Olanda cambiarono radicalmente il calcio e
tutto ciò che ruotava intorno ad esso.
Il portiere Jongbloed con il numero “8” sulla schiena che non usava quasi mai le
mani e vedeva poco; i “terzini “ Suurbier e Krol costantemente proiettati
all’attacco; la potenza balistica di Arie Haan; il fenomeno Neeskens; gli
imprendibili gemelli Rep e Rensenbrink e poi, su tutti e somma di tutti, lui: Johan
Cruijff. Icone di un calcio favoloso, innovativo, mai visto prima.
Ma forse più di ogni altra c’è un’immagine che nella mia mente sintetizza a meraviglia
quella “idea” di calcio e di sport: cinque, sei, a volte anche sette giocatori che
partivano tutti insieme attaccando simultaneamente il portatore di palla avversario.
Ogni volta conquistavano la palla, prendendo di sorpresa gli avversari riuscendo così
a ribaltare in pochi secondi l’azione. Una situazione tattica che sconvolse tutti.
Dicevamo : e poi lui, Johan Cruijff.
A mio giudizio il più completo e moderno calciatore di sempre. Moderno è un
aggettivo che mal si adatta ai giudizi storici, ma in questo caso sintetizza quello che
Cruijff è stato: la rivoluzione del calcio.
Classe immensa, rapidità di esecuzione, duttilità totale, intelligenza tattica immensa,
leadership naturale e soprattutto l’innata capacità di capire prima di ogni altro lo
sviluppo del gioco. Impareggiabile e irripetibile.
Nel suo genere, sicuramente il più grande. Almeno per me.
Altri dicono, e diranno, che Maradona e Pelè sono stati più forti di lui, ma
consentitemi di non condividere.
In fondo la magia del calcio risiede nella capacità di liberare la fantasia. Cruijff e
l’Olanda sono stati il simbolo di tutto questo