Memorie e ricordi di Caprile . . . e oltre (Terza puntata) di Roberto Matassa (foto dell’autore eccetto ove indicato) Riccardo, oggi piove ma per pura coincidenza e’ un giorno particolare perché per gli inglesi e’ il POPPY DAY cioè il giorno del papavero perché e’ il loro simbolo per ricordare i caduti in guerra, più specificamente the Remembrance Day. In tutte le piazze pubbliche c’è un piccolo monumento con le dediche ai caduti e io ne ho viste tante sempre da spettatore sia qui a Winchester di fronte alla cattedrale sia a Fort William nelle Highlands scozzesi ed anche in Alice Spring nel centro dell’Australia ove mi son trovato di questi tempi di novembre tanti anni fa, ma anche Kinchanaburi sul fiume Khwae in Thailandia e anche a Singapore; in ognuno di questi  monumenti c’e la stessa dedica THEIR NAME LIVETH FOR EVERMORE. Significa che i loro nomi vivano per l’eternità. La si può leggere anche a Cassino nel cimitero Britannico. Queste celebrazioni non sono parate militari, che a me personalmente danno fastidio, ma sono “remembrance” veramente sentite. Cerimonia a San Vito (Roccasecca) con i reduci canadesi Come pure io mi son trovato a vedere quella nella piazza di Roccasecca, ma quella più emozionante per me fu la cerimonia alla stazione di Roccasecca ove dettarono tutti i nomi dei caduti paesani; in quella lista ci dovevo essere anche io che ne uscii fuori per dire l’accaduto, e che 65 anni fa facevo parte di quella tragedia. Come ho detto nella prima puntata, mi trovai intrappolato a Caprile con mio fratello Raffaele, lasciammo Napoli per rallentare il peso di famiglia perché le cose si aggravavano giorno per giorno; i bombardamenti a Napoli non erano più tanto selettivi come si diceva perché gli Inglesi che venivano da Malta non volevano sprecare le bombe a meno che erano obbiettivi militari, poi incominciarono con le FORTEZZE VOLANTI stracariche di bombe e non c’era più distinzione fra obbiettivi militari e civili. Un giorno mio padre tornò a casa pallido e terrorizzato da quel che aveva visto: morti e poi morti, e’ che gli Americani  facevano il gioco PRIMA TI AMMAZZO E POI TE LO DICO (!?!?!?) E Salerno e Napoli e Mignano, poi la svolta anche se benvenuta ma malandata e addirittura la doppia svolta contro i tedeschi che per conseguenza diventarono nemici ancor più feroci e guai a chi li contrastava; nel frattempo non sapevamo né di Badoglio né dei RE e principi e patate???? Stando giù al passaggio a livello dopo la stazione di Roccasecca, credo il 122, ove abitavano i miei zii si vedevano passare  gruppi  di soldati diciamo sbullacciati come le galline che vedevano solo la direzione SUD usando la ferrovia come direzione perché non c’erano più treni e nessun altro mezzo di trasporto; chi diceva che avevano camminato già da Casal Monferrato e gli altri da Reggio Emilia, poveretti, sfiniti, chiamati per la Patria e poi abbandonati; gli si dava qualche conforto per alleviare un poco le loro pene ma loro guardavano solo verso SUD. Volevano la Sicilia a portata di mano e quant’altro, poi io con la mia piccola memoria pensavo a quei discorsi da quel famoso balcone vincere e vinceremo? Otto milioni di baionette?? E Mare nostrum??? Tutto un sogno detto nelle espressioni di euforia. Chi mai si aspettava che c’erano mesi da passare prima che tutta questa cosa fosse finita! Ancora una volta Montecassino, il monastero, ridiventava una fortezza  rilevante e la storia si ripeteva; tutta la valle del Liri era diventata un grande anfiteatro, a come lo vedevo io, da lassù a Caprile e poi ancora più su la chiesetta di Santa Maria, Colle San Magno, Castrocielo. Poi ne parlerò. Montecassino La gente di Caprile e quella della campagna erano sbandate, e senza direzione e speranza cercavano un buco, una grotta, ma di grotte ce n’erano poche perché con lo scoppio della Stazione di Roccasecca tutto era diventato una questione di sopravvivenza, i tempi si allargavano sempre di più e bisognava riuscire a sopravvivere con poco o niente. La grotta più grande sulla montagna chiamata CUPA forse perché diventava sempre più profonda … ma in realtà non era così, eravamo in troppi lì accovacciati in un ambiente semi affumicato, umido e gli occhi ne risentivano. Io avevo pure una dose di congiuntivite, le notti di incubi dormendo sui  sacchi di mais. Una di quelle notti sentii seccamente un grido: “mamma e’ gelata” ..... poi un’altra volta “mamma e’ gelata” ... la terza volta “mamma e’ morta” ..... Infatti la mamma di quella ragazza - ricordo che si chiamava Maria - non aveva sostenuto più gli stenti. Poi cominciò il problema del trasporto al camposanto. Dio, quanta sofferenza per lei e per tutti noi altri. Io non ne potevo più, i miei zii avevano un problema ancora più pesante, mia nonna sugli ottant’anni e il suo sostentamento. Allora cominciammo a cercare la via di mezzo, loro gradualmente si avviarono verso Santopadre e poi più in là. Io non seppi più nulla, allora non c’era né telefono, né posta, né messaggeri, ma il verbo era “si salvi chi può”. Pensate, io non avevo raggiunto ancora 15 anni e mio fratello 18 anni; allora stavamo non più in quella grotta ma giù in paese come per dire “muoia Sansone con tutti i Filistei”. C’era quello strano sentore come per dire “non può capitare proprio a me” ; ma quando le cannonate arrivavano di tanto in tanto non erano mai nello stesso posto: quando uccisero il caro Benedetto Dorio io stavo non tanto distante con il caro amico Marco Ricci. Successivamente suo padre, il carissimo Romeo Ricci, fu ucciso con una mina. Quest’uomo è uno dei più cari tra i ricordi della mia vita; da bambino mi regalò un coniglietto bianco che io adoravo quando stava nella gabbietta e mi ci sedevo accanto. Ma torniamo alla continuità del discorso. Queste cannonate non facevano proprio solletico ai tedeschi. Qualcuno dall’altra parte del fronte si divertiva a intimidirci; i colpi avevano una traiettoria a mezzo cerchio, arrivavano in aria e poi un fischio e lo scoppio. Mi sembrava che di notte la smettessero di bombardare. I tedeschi avevano posto il loro quartier generale nella casa dei Notarangeli. La Chiesa di San Tommaso La prima stanza a destra era piena di panni e coperte e ogni pomeriggio c’era  Rudolf che mi comandava a bacchetta per far sbrigare le cose e io piuttosto ironico non ero abbastanza obbediente. Lui doveva partire con la motocicletta con affianco la navetta zeppa di panni per andare ad un paese chiamato Pofi. Una volta sgridandomi dal balcone perché non avevo obbedito al suo secco richiamo venne giù e mi diede uno schiaffo forte ed io come un fesso scoppiai a piangere, però mi ricordo chiaramente di avergli detto in dialetto “te pozzen’ accide!”. Non l’avessi mai detto, perché poi quello stesso pomeriggio fu ucciso … giù alla crocevia attraversando il ponte sulla Melfa. E io piangevo ancora di più. Quel ponte e’ stata una storia che ho vissuto lì giorno per giorno perché venivano gli aerei Lightning a due fusoliere e apparivano velocemente da dietro la montagna per sganciare le bombe, poi ritornavano il giorno appresso poi ancora il terzo giorno e una volta a rialzarsi per prendere quota si contrarono due di loro e mi ricordo un paracadute che scendeva verso il ponticello di Caprile. Ma il quarto giorno non erano più Lightning ma Fortezze volanti, spazzarono via tutto da quella zona. Io ancora mi chiedo ... ma chi li informava ... senz’altro c’era una spia in qualche posto. Quelle cannonate erano un problema enorme e ci si doveva abituare. Mi capitò di trovarmi poco distante ad una pianta di olive distrutta, ma quel che più mi terrorizzava  era l’eco che si creava sotto San Michele.    Parlando di San Michele era proprio lì che per un bel po’ trovavo rifugio, sebbene fosse solo un riparo se qualche bomba  fosse caduta perpendicolare, ma di fronte era tutto aperto e non ci sarebbe stato scampo. Io avevo sempre paura di arrivare tardi la sera, avevo più paura del buio che delle cannonate, sempre grazie alle storielle che mi raccontavano da bambino sugli spiriti etc... Ma si dormiva malamente sui sacconi e il peggio è che lì sulla cupola non c’era tanto spazio. Poi è arrivato un uomo arrogante di cattiva nomina per le sue malefatte; non era neanche Caprilotto. Parlava da partigiano e che lui avrebbe fatto fuori questo o quel tedesco. Una mattina arrivarono i tedeschi all’improvviso e ci fu una sfuriata di sgridate. Bisogna tener presente che i tedeschi a quel punto erano interessati al rastrellamento, avevano cioè bisogno di uomini sia fare i BUNKER sia per seppellire i morti sotto Roccasecca, e per altri lavori verso Piedimonte. Comunque quella mattina si portarono via mio fratello Raffaele e altri, tra cui quel cretino che diceva di fare l’eroe. Si pensava che li avrebbero portati forse nel Nord. La cosa incredibile fu che quel cretino aveva lasciato la pistola sotto al mio saccone. Ora io in retrospettiva dico, si sapeva bene che i tedeschi erano infuriati contro di noi, si sapeva bene che loro ammazzavano dieci civili contro un tedesco. Allora se faceva una mossa sbagliata ci ammazzavano tutti e lì c’era un bel gruppo di tedeschi per far piazza pulita. La storia poi ci dice del grande eroe che causò le Fosse Ardeatine. E tanti altri eroi che si facevano scudo tra la povera gente e questi non erano certo come quel carabiniere che diede la vita in cambio… Ma le mie pene erano appena incominciate, avevo fame e non sapendo come e dove avrei potuto mangiare? Avevo una gavetta militare ammaccata che portavo sempre allacciata alla cintura. Giù a Caprile c’erano tanti guai, non solo rastrellamenti ma anche affollamento. Arrivarono a prima mattina con gridi “schnell … schnell !!! ”; i camion erano già giù alla strada, gli uomini scappavano e donne, bambini e vecchi via sui camion; io che avevo tanta paura, mi sono infilato a sinistra della chiesa di Caprile dove c’era appena spazio per un ragazzo e non certo per uno obeso ... lì ci buttavano i fiori marci della chiesa e stavo per crepare per la puzza poi mi sono arrampicato sul muro sinistro per salire su al giardino dei Tempesta ma e’ proprio allora che un grido unico secco mi affiancò: AAALLLTTT.!!! Quel tedesco mi portò giù alla strada con la pistola dietro le spalle e io con le mani alzate e lì caricavano la gente, e in quell’occasione vidi per l’ultima volta Paolina, Emilia e la sorella e Celeste e Rosa e gli altri paesani che erano tutti come una famiglia. Ma io con la mia scaltrezza mi buttai sotto il muro dell’orto di mio cugino Vittorino e fra tutto quella confusione i tedeschi non se ne accorsero. Poi si saprà che morirono tutti sotto le bombe e io ancora una volta me la cavai. Ci ho pensato tante volte nei miei  65 anni da allora! Alle porte di Caprile Poi piano piano come un cane randagio cominciai ad avvicinarmi alla Chiesa di Santa Maria sulla montagna, mi accostai a quel gruppo di tedeschi, pensate un po’ … Pensai che se facevo l’umile e il bravo ragazzo, magari riuscivo ad ottenere qualcosa da mangiare, e a quelli  proprio io avrei potuto far comodo per andare su e giù con l’asino lungo la mulattiera. Furono buoni con me, avevano capito che avevo fame e mi davano la zuppa e io mi rallegravo con la mia gavetta; tante volte c’erano anche maccheroni spezzati e sempre pane nero a fette spalmate di una specie di lardo. Praticamente avevo risolto il mio problema, solo che per andare lassù la mattina era una faticata, facevo presto ad arrivare fino al bosco dopo di che c’era da superare una pietraia e io facevo due passi su e uno giù! Arrivato lassù mi sembrava sempre un piccolo miracolo. Roccasecca vista dall’alto I tedeschi mi trattavano come una mascotte, mi volevano bene, però avevo anche dei compiti da fare. Dovevo attendere al mulo, dandogli del fieno; nella chiesa di Santa Maria, vuota all’interno, l’altare era diventato la mangiatoia per il mulo, mentre a destra si erano ben organizzati e discutevano indisturbati consultando le mappe. Un altro dei miei compiti era quello di portare lassù barili d’acqua, stecche di legno che loro ricavavano dalle persiane smontate e buttate giù dai balconi, oltre al legno già spaccato. Per questo io facevo tanti viaggi pedalando giù al Colle, avanti e dietro. In un angolo avevano organizzato una cucinetta proprio sotto al campanile. Avevano anche un telegrafo, naturalmente, ma la cosa più preziosa per me era la loro radio che continuamente suonava musica sinfonica che si ripeteva così gradevole che l’ho conservata con me per sempre. Più in là negli anni quella musica mi risuonava ancora all’orecchio, ed era esattamente il Preludio Lohengrin di Richard Wagner. Questa opera ben si adattava con quanto accadeva lassù, con i fiocchi di neve che non giacevano a terra ma sembravano restare vaganti nell’aria. Poi un venticello … mentre giù a valle c’erano boati di bombe e cannonate verso San Giovanni Incarico, o anche a Pontecorvo. Sembrava che l’opera si stesse compiendo come Wagner l’avrebbe voluta, e quella musica interpretava per me il dramma nel grande anfiteatro della valle del Liri! Un vecchio LP con musica di R. Wagner, incluso il Lohengrin, della Deutsche Grammophon. Abbiamo scelto questa versione perché la copertina, in qualche modo, ricorda la descrizione di Roberto, la chiesa sul monte e la valle … I tedeschi mi apparivano molto furbi, operavano lassù con grandi capacità e avevano la scaltrezza di camuffarsi dai ricognitori aerei che molto in alto scorazzavano facendo un rumore che mi sembrava simile al suono delle zanzare. Io ero libero lì fuori dietro il muro della Chiesa e mi godevo quel tragico panorama di quel grande anfiteatro; dico così perché così mi appariva senza il timore del pericolo. Là dentro osservavano e studiavano la logistica e gli eventi militari mentre un po’ di chilometri più a destra, in linea d’aria, c’era Montecassino allora ancora bello e sorridente. Mi chiamavano di tanto in tanto - che Dio li benedica - e mi riempivano la gavetta di minestrone. Loro sapevano che alla fine del giorno io volevo tornare giù al paese e andavo via un po’ più presto e saltellando fra le pietre e il bosco tornavo a quella casa senza vetri con la porta sbattuta, solo come un cane. Marco Ricci aveva trovato ricovero altrove e io mi accucciavo sotto la cantina con tutti i panni che potevo trovare. Avevo solo tanta paura del buio, probabilmente ero solo tra quei ruderi, e la mattina appena vedevo l’alba tornavo in vita. E quando superati il bosco e la pietraia arrivavo di nuovo lassù i tedeschi se la ridevano, ma poveretti anche loro avevano le famiglie in qualche posto e anche i loro sentimenti erano sconquassati e accecati dalle loro sciagure. Mi domandavo perché avevano sempre una paletta attaccata alla cintura, chi li vedeva quando andavano a fare le loro cose? Perché erano sempre attillati militarmente con la loro divisa come se dovessero andare a un ricevimento. Loro non erano truppe  normali ma paracadutisti che per l’esito della guerra erano finiti lassù e si vedeva che erano più distinti. Io vivacchiavo discretamente mentre quelli  rimasti nella grotta CUPA erano tutti affumicati come salsicce. Il 25 gennaio avevo i miei 15 anni ma che ne sapevano i miei genitori a Napoli? Come stavo, e dov’era finito mio fratello Raffaele? La mattina del 15 di febbraio salivo lentamente il sentiero che da Colle San Magno mi riportava alla mia chiesetta con il mulo carico di due barili. Ecco apparire ad est le Fortezze Volanti e ne contai tanti. Udivo un rumore dal lento avvicinarsi, avevano la pancia piena di bombe, come potrò mai dimenticare quei boati infernali, lo spostamento d’aria? Sembrava che la chiesetta di Santa Maria ne soffrisse tanto. Portai il mulo a riparo vicino all’altare con tanta paglia a piacere, e si vedeva che il mulo era ancora più impaurito di noi. I Tedeschi erano costernati, non si aspettavano questa distruzione di Montecassino. Mi misero su quella bicicletta e io pedalavo e loro telegrafavano, ma si vedeva che non rispondeva nessuno. Dicevano ripetutamente “Fa .... Flu” e ancora “Fa .... Flu” … “Sacrament” e ancora bestemmie. L’avevo a memoria quel grido o bestemmia perché mia moglie che è tedesca un giorno mi disse di non ripetere quella parolaccia. Da lì fuori si vedeva chiaramente l’inferno: pennacchi di fumo e scoppi e poi ogni tanto arrivava un’altra ondata. A tanti anni di distanza da quel giorno spesso mi succedeva di rivivere quella esperienza, per questo quando ne parlavo a Father Morrison in Fort William lui capiva i miei sentimenti. Una cosa strana io non capirò mai, come dall’altra parte del fronte non avevano individuato ciò che rappresentava questa chiesetta nel parametro militare. Meno male, altrimenti oggi non ero qui a testimoniare. Per me stare lassù era un grande rischio ma una maniera di sopravvivere alla fame, e quelli rimasti nelle grotte che si credevano più sicuri in realtà pativano la fame seriamente. Gli alleati non arrivavano mai, io guardavo sempre verso Cassino come fosse un bagliore di speranza, come fossero lì dietro le montagne, ma non si vedevano mai. Come mai tutto era precipitato dallo sbarco in Sicilia, poi Salerno e poi Napoli, e l’inaspettato era toccato a noi ma non per un giorno né un mese ma quasi sei mesi, la storia della nostra zona era diventata unica nella tragedia. La Domenica del Corriere del 2 aprile 1944, “tra le macerie di Cassino” Riuscii a rintracciare mio cugino Pasqualino che era molto deciso nel voler scappare da quell’inferno. Io lo seguivo come un cagnolino; lasciammo Caprile di mattina presto, sapevamo che attraversare il fiume Melfa era pericoloso non per l’acqua ma per una insegna molto chiara posta sul punto dove si poteva attraversare saltellando da una pietra all’altra. Quella scritta  diceva chiaramente: ATTENZIONE! CHIUNQUE ATTRAVERSERA’ IL FIUME SARA’ FUCILATO SENZA CHIAMATA Non ricordo come, ma ce la facemmo e a stenti, percorrendo strade in salita, attraversando Santopadre e altri sentieri, arrivammo in un posto chiamato Colle Garina. Ancora non so dov’è quel posto. Lì ci fu il ricongiungimento con i nostri parenti Caprilotti, figuratevi  la commozione! La sosta in quel posto durò poco perché le cose precipitarono. Ricordo solo poco di tutto quello che stava succedendo, sparatorie come tric trac. Quando guardai più giù a valle c’era tanto movimento, addirittura due che portavano qualcuno steso su una scala, non so se vivo o morto, ma le mani dondolavano ai laterali delle scale. Allora con Pasqualino prendemmo l’ultima decisione, tornammo indietro perché gli alleati erano finalmente arrivati. Facendo a ritroso lo stesso percorso che avevamo fatto appena pochi giorni prima ci avviammo verso Roccasecca. I soldati che si incontravano non erano affatto minacciosi, avevano i calzettoni e i cappelli con la falda larga – forse Australiani o Sud Africani - e ci raccomandavano di guardare per terra le strisce bianche per evitare le mine. Arrivati su al camposanto di Roccasecca vedemmo che incredibilmente avevano una cucina da campo dove c’è l’ossario, e questa volta erano veri inglesi. Videro la mia disperazione e mi dettero una scatoletta non so se anche per Pasqualino. Quando arrivai a Caprile non volli vedere Via Baliva e nient’altro, stanco morto nella casa degli zii stanco e stragliunato, come dicono in dialetto, cercai di aprire quella scatoletta, ma con mia enorme delusione vidi che era solo latte liquido, ma andò bene lo stesso. In quella stanza che affaccia sull’orto a ovest c’era tanta semola a terra e che dormita! La mattina ci fu uno scoppio giù all’orto di Vittorino, si vedeva tutto dal balcone, ma come al solito la vita continua. Dall’alto si poteva vedere tutto lo scenario di mezzi  militari e io puntai l’occhio a quel posto che a Caprile chiamano Santissimo e via giù per vedere se c’era da mangiare; avevo con me solo un organetto a bocca che non avevo mai imparato a suonare, DER GOOD KAMERAT che un soldato tedesco mi aveva dato. Andai verso la cucina da campo inglese e offrii l’organetto ad un soldato e apriti cielo.... mi dettero una sacchetta  piena di pane fritto e con tante salciccette. Quando tornai su da Pasqualino ci fu una grande festa e facemmo onore a quell’insperato cibo. Mi ricordo bene che quell’inglese gradì tanto quell’organetto. Sapete quanto la fortuna mi assisteva, io non ero consapevole che attraversavo il campo minato in mezzo ai carciofi ove poi seppi c’erano i corpi di Angelo Di Litta e quello di Romeo Ricci e scalando su per quel viottolo c’era il cadavere di un soldato tedesco accasciato quasi sulla strada a fianco a una pianta di ulivo, forse con quello scoppio era rimasto colpito e s’era trascinato da solo sulla strada. La mattina seguente dissi a Pasqualino che per me era ora di  andare verso sud, attraversai ancora una volta quel sentiero e mi avviai verso il ponticello di Caprile e da li vedevo solo la strada per Napoli; era già il 7 di giugno e non faceva più freddo, durante il percorso pensavo di fermarmi sotto qualche meta di paglia, invece a questo ponticello di Caprile ove c’era anche una specie di controllo del traffico con un via vai di mezzi militari quello al controllo mi disse seccamente di non muovermi. Io dissi in me “e che ho fatto?”. Quello li fermò un camion militare e mi fece salire su; passavamo fra tante strisce che indicavano i campi minati. Guardando verso Montecassino si vedeva bene che non c’era più e a che valeva fare una invocazione alle ….. pietre? Cari  lettori dell’ECO DI ROCCASECCA non ci credete, mi portarono fino a Napoli e non solo fino al palazzo dove abitava la mia famiglia, ma fino al quarto piano a Vico Fonseca. Mi ricordo che tutti i miei piangevano e piangevano. E piangeva anche quel soldato che mi portò a casa. Ho un solo rimpianto in vita mia, chi era quel soldato? Se Australiano o Canadese o Sud Africano non l’ho mai saputo, che Dio lo benedica dovunque egli sia e anche la sua famiglia e anche la sua nazione. E perché nessuno ha pensato di prendere appunto? Quel giorno era il mio onomastico e non solo mio fratello Raffaele era già a Napoli sano e salvo. Scendendo giù verso piazza Cavour (a Napoli dicono "piazzacàvour" coin l’accento sulla “a”) ci si trovava in uno scenario tutto diverso, direi unico per me, perché era proprio lì in quella piazza dove ne succedevano di cotte e di crude! Piazza Cavour in una cartolina d’epoca Per cominciare c’era il cinema San Nazzaro che frequentavo con i miei fratelli ancora prima di andare a Caprile, perché i biglietti erano a pochi centesimi, ma  il locale era malandato e di tanto in tanto ti cadeva qualche cicca di sigaretta in testa dal palco; non solo, era molto probabile che qualcuno lentamente cominciava ad allungare la mano sul tuo pantalone, noi lo sapevamo, e non si diceva solo “vai via!”, perché erano troppo insistenti, bisognava dirgli con voce forte “Ma vattene a …” ..... Poi c’era un sordomuto che se stavi per più di uno spettacolo, ti buttava fuori, come faceva a vedere in mezzo tutta quella marmaglia Dio solo lo sa! Inoltre, le pellicole si spezzavano continuamente e bisognava aspettare che le riallacciassero. Un bel posto insomma! Locandina del film L’oro di Napoli” di Vittorio De Sica dove sono messi in risalto parecchi tipici “caratteri” napoletani anni ‘50 Proprio appresso al San Nazzaro c’era un’altro locale dove facevano il teatro dei pupazzi, un’arte esclusiva di rappresentazioni come Aladino e i Saraceni, con un forte accento siciliano e sciabolate e invettive di qua e di là. Di fronte alla stazione della metropolitana si posizionava il teatro ambulante DEI BURRATTINI, il più classico di tutti, dove si davano botte e taccherellate Pulcinella, Arlecchino, etc. A questo punto devo dire che lo stesso teatrino con le stesse botte e gli stessi caratteri l’ho visto recitare ad uno spazio adiacente The Opera House a Sydney, e più recentemente in un centro commerciale qui vicino, a Southampton. Vedete un poco come è internazionalmente dominante la cultura napoletana? Io ho cercato sempre di essere presente come mai in tali occasioni perche c’ era tanto dei miei ricordi praticamente mi riportavano a Piazza Cavour, Napoli, decine di anni prima! Gli spettatori sempre più anziani che bambini … Botte e botte e mazzate a tutta forza, grida e imprecazioni specialmente in dialetto napoletano, potete immaginare? Ancora lì a piazza Cavour, vicino i giardinetti ecco che arrivavano quattro caratteri ...  a Napoli li chiamano ‘e FEMMENELLE, tutti dondolando come e’ la loro mimica e cominciavano con storielle e canti “E SPINGOLE FRANCESE” e “O SARACENE”, appiccicose e con scene di gelosie che mettevano i veri artisti nell’ombra. Tutti ci mettevano qualche centesimo, se li meritavano sul serio. Un teatro a cielo aperto che non costava niente, dove lo trovi un anfiteatro del genere? Il posto dove facevo le mie compere quando avevo qualche lira, era proprio lì sul marciapiede di fronte al cinema, c’era il mio giornalaio ambulante che li vendeva a prezzi stracciati, tutti ingialliti di seconda mano allineati sul selciato; prima di tutto lui mi chiedeva se ne avevo altri da rivendere, ne avrei dovuto avere tanti, periodici di quelli con storie di spie come lMata Hari e infermiere della prima guerra mondiale con disegni di ragazze con belle curve e anche doppie curve!  Gli dissi che al mio ritorno da Roccasecca mio padre me li aveva buttati via. Che perdita! Immancabilmente dovevo avere sempre il Corriere dei Piccoli mi ricordo sempre  “ ALLA PRIMA CHE MI FAI TI LICENZIO E TE NE VAI”. Una volta mi voleva  rivendere un giornale che diceva  in prima pagina: PER PAURA DELLA GUERRA RE GIORGETTO D’INGHILTERRA CHIEDE AIUTO E PROTEZIONE AL MINISTRO  CHIORCILLONE Ma guarda, gli dicevo, tu vuoi farmi fesso, non lo vedi che e’ vecchio di cinque anni? Si trattava di giugno del 1944. Poi me li dava a un prezzo speciale. Poveretto era un mezzo sdentato, alla fine si accontentava di poco. Ma quelli che mi interessavano di più erano i periodici di Emilio Salgari con avventure e peripezie nei mari del Sud, e Batavia (ora Jakarta) e Ceylon (ora Sri Lanka). Tutto ciò che era avventura in posti esotici e lontani mi attirava. Non mi sarei mai sognato che un giorno sarei andato ripetutamente in quei posti. In realtà quel povero Salgari non aveva mai lasciato Genova e si nutriva dei racconti dei marinai che incontrava. Anni fa mi trovavo a Parigi e un mio nipote speciale. Aveva una collezione di libretti di Salgari, e mi disse “guarda zio quei libretti ora sono considerati dei classici” . Accipicchia, se penso che li pagavo così poco! Ma al sodo ... ritornando da Caprile, avevo perso un anno di studio alla scuola Flavio Gioia e così mia madre poveretta avanti e indietro con certificati e file al Comune ricominciava a procurare i documenti per l’iscrizione, non so come faceva, aveva una carrettata di figli da seguire, potete immaginare. Comunque datosi le particolari circostanze mi fecero fare il recupero due anni in uno e passai gli esami. Dovevo diventare poi computista commerciale alla fine io ancora mi domando di che e di cosa? La matematica non l’avevo mai assimilata fino a quando tanti anni fa comprai un calcolatore che pesava circa un Kilo, uno dei primi miracoli di quel tempo, e lo pagai un mucchio di soldi cosi avevo imparato la matematica … finalmente !!! Da Caprile a quattordici anni e mezzo ora a Napoli a sedici anni. BUONA NOTTE ancora piove. Da Winchester, Inghilterra, per l’Eco di Roccasecca,  Roberto Matassa Anno 15, n. 73 Febbraio 2010