Ricordi e memorie di un'altra epoca LA NOSTRA CAMPAGNA di Rocco Tanzilli, compresi i dipinti a corredo Sarà l'età ,sarà la nostalgia, sarà la voglia di ricordare, ma credo che tanti come me avranno il piacere di rimembrare  come erano le nostre terre in passato. Prima e anche un po' dopo la seconda guerra mondiale, i campi e i terreni si presentavano in modo molto diversi da  quelli attuali, a cominciare dalla moltitudine di querce che fiancheggiavano tutte le strade, oggi quasi del tutto sparite.  La legge Italiana indica le grandi piante e specialmente le querce, monumenti nazionali, ma si sa come vanno le cose e  come siano sparite tante tipologie di piante ed alberi.  Forse si dimentica che sono apparsi i termocamini. Buona parte dei terreni ,erano coltivati a vigneti. Ricordo poi gli olmi biforcuti che sorreggevano le piante di viti.  Oggi buona parte dei vecchi vigneti sono trasformati in vigneti bassi.   C'era una infinita varietà di uve, e voglio citare quelle che ricordo, con il nome dialettale con il quale venivano  denominate: la sengarella, lu cicenese, lu capelonge, la tindolina, la mostosa, la livella, lu pondecroese, l'uva fravola, lu  farinelle, la coda de pegre, lu modulane, la zizza de vacca ed altre qualità che mi sfuggono. Da tante mescolanze veniva fuori un vinello discreto il quale veniva conservato in botti di rovere e damigiane, dopo lunga  fatica. I filari di olmi erano posti ad una certa distanza per avere la possibilità di poter mantenere altre coltivazioni, come il  grano, ed anche queste qualità di  frumenti erano diversi da quelle attuali.  Ricordo lu sanpastore, lu frasinese, la Romanella, etc., oramai tutte sparite dalla circolazione.   Aratura con l'aratro di legno I terreni venivano dissodati con aratro di legno tirato da due mucche, come l'immagine che ho dipinto.  Esisteva anche un altro aratro di ferro ma si usava poco perché molto faticoso. Gli attrezzi più importanti erano la zappa, la vanga, lu messure, la favece, la petatora e la forbice de pota. Vediamo il loro utilizzo, uno per uno.  La zappa serviva per zappare e rincalzare il granturco. La vanga per dissodare il terreno per la semina del granturco. Lu messure serviva per mietere il grano, per tagliare le stoppie e per pulire le erbacce. La favece per falciare i prati destinati a fieno. La petatora e le forbice de pota per potare olmi e viti.  Poveri contadini di allora cosa dovevano fare per tirare avanti nei faticosi lavori della campagna! Si iniziava molto prima dell'alba anche per potere dare da mangiare alle bestie e si finiva dopo il tramonto del sole. Volendo riassumere modi e tempi delle "fatiche" del contadino dell'epoca, possiamo schematizzare detti lavori seguendo  l'andatura dei dodici mesi dell'anno. GENNAIO: potatura e vangatura per granturco,orto e patate.  FEBBRAIO e MARZO: pulitura delle erbacce nate in mezzo al grano, solco per solco e a mano. Semina del granturco e  prima ramatura ai vigneti che si ripeteva ogni quindici giorni con pompa alla spalla.  APRILE e MAGGIO: falciatura e raccolta del fieno, tutto a mano.  GIUGNO: mietitura del grano;.alcuni mietitori, provenienti dalla montagna, venivano assunti per fare questo lavoro.  LUGLIO: trebbiatura del grano casa per casa aia per aia. Prima si raccoglieva il grano con i carri nei campi, da appositi pignoni così chiamati, poi si faceva la casarcia sull'aia e si  attendeva il turno per la trebbiatura la quale veniva effettuata da una macchina a vapore e una trebbia. Sia la macchina  che la trebbia venivano spostate da una casa all'altra tramite le mucche dei vari proprietari. A questo lavoro  partecipavano tanti uomini a prestazione.    La trebiatura AGOSTO: si raccoglieva il granturco a mano si portava nell'aia e la sera si scartocciava. Era il momento buono per  colpire, con la pannocchia, qualche ragazza che piaceva o viceversa. Comunque vi era un po' di respiro quindi, ci si  dedicava agli ortaggi e a pascolare le bestie. SETTEMBRE e OTTOBRE: si dissodavano i terreni con le mucche e si faceva la vendemmia. NOVEMBRE e DICEMBRE: semina del grano ed altri cereali dopo aver ridotto il terreno, col passare e ripassare con  l'aratro di legno, in modo sufficiente per la semina. Poi si dissodavano alcune tummere  di terreno con la vanga per la  preparazione della semina del granturco per l'anno successivo. Voglio ricordare che di trattori nemmeno a parlarne. Vorrei poi precisare che dopo la mietitura del grano, rimanevano le  stoppie alte circa trenta centimetri da tagliare con il falcetto.   La cosa che non si può dimenticare sono le cicale. Oggi non se ne vede più nessuna ma allora l'estate era tutto un  "cececececece". Questo insetto mi affascinava. Allo stato larvale spuntava dal terreno, si arrampicava su lo stelo del grano e come per  miracolo si compiva la metamorfosi. Prima di color verde poi con il calore del sole diventava nera e partiva ad ali spiegate per posarsi sugli olmi e dai a cantare! Da ragazzo quando le vedevo non mancava la voglia di prenderle; mi ricordavano sempre la poesia di La Fontaine "La  cigale et la fourmi". Dopo aver cantato tutta l'estate, d'inverno per mangiare si rivolse a mendicare dalla laboriosa  formica … Oggi tutto è cambiato con il progresso però penso sia giusto ricordare quelli che eravamo. Sono cose belle per noi  ciociari ricordare come veramente si stava a quei tempi. Chi li ha vissuti fa bene a portare a conoscenza anche alle nuove generazioni che cosa si è fatto in passato per far stare  bene anche loro. Allego due delle mie ricostruzioni dipinte su tela di questi lavori a testimonianza di come si operava nelle nostre  campagne. Alla prossima. Rocco Tanzilli