Anno 16 n. 79                                                   Febbraio 2011 LE RADICI di Rocco Tanzilli Chi meglio di noi, uomini e donne della mia generazione, possono dare testimonianze di come si svolgeva da  noi la vita dei nostri genitori?  Voglio parlare proprio di Caprile poiché le mie radici provengono proprio da questa frazione di Roccasecca,  dove i Tanzilli hanno avuto la sede da vecchie generazioni.  Mio nonno Loreto ha lasciato tracce del suo passato dopo aver acquistato la soccia, terreno a valle di Caprile.  In quel posto tutt’oggi esiste una grande vasca in cemento da lui fatta costruire per accogliere le acque  provenienti dalla montagna.  E poi la masseria al centro del terreno dove per molto tempo hanno vissuto la famiglia di mio zio Raffaele con  la moglie Stella e i due figli Alfredo e Armando.  Ancora, la chiesetta più antica di Caprile, San Filippo e Giacomo, già San Rocco, dove ho lasciato tracce  indelebili con la mia tavolozza, grazie a Don Pasqualino autore della ricostruzione della chiesa semi  abbandonata e diroccata.  Voglio per questi motivi a me cari rimembrare quello che era e come la vita trascorreva fra i Caprilotti in quel  tempo che fu.  Ivi vi erano due categorie di persone : i GNIOR che erano i signorotti, ed il resto delle persone che, bene o male  con estrema fatica, vivevano con i proventi ricavati dalle proprietà di questi signori.  Queste famiglie più agiate erano i TEMPESTA, arrivati a Caprile verso la fine dell’ottocento da San Donato Val  Comino. Il loro cognome era Porcelli poi cambiato in Tempesta. Altre famiglie erano i COARELLI, gli ABBATE e  i TANZILLI residenti a Caprile da vecchie generazioni.  Caprile contava molti abitanti, basta fare una passeggiata nei vicoletti per vedere quante abitazioni esistono ed  erano tutte occupate. Poi vi erano le stalle dove venivano posti i vari animali domestici.   Asini, muli, capre, pecore e pollame in genere servivano a diversi scopi, per lavorare, come nutrimento o da  vendere.  Caprile aveva  grande superficie coltivata a oliveti posti su piattaforme ricavate dalla montagna. Buona parte  delle terrazze, essendo pietra, venivano riempite con terra di riporto. Per contenere i piani ricavati, venivano  costruite con pietre le cosi dette MACERE (macerie). E’ bene vedere ancora oggi queste MACERE esistenti  che iniziavano dalla strada pedemontana per terminare quasi in vetta alla montagna. E’ interessante pensare  cosa riuscivano a fare questi uomini. Queste balaustre in pietra erano costruite in modo perfetto, nessuna pietra  era fuori posto, a parte i vari ingressi per accedere alle terrazze dove coltivare e raccogliere le olive. Vedere  queste cose così precise mi fa ricordare il manierismo nel campo della pittura ai tempi di Raffaello, tutto preciso  al millesimo. Ci si domanda come l’uomo, senza mezzi, abbia potuto realizzare cose del genere.   I lavori sui monti consistevano di mantenere sempre pulite e in ordine le innumerevole terrazze.  Le zone più fertili venivano coltivate a frumenti e ortaggi,anche se erano prive di acqua, infatti si sperava… nel  cielo!  L’unica acqua disponibile per uso domestico veniva prelevata dai pozzi esistenti a valle dove è la chiesetta  dedicata a San Filippo e Giacomo.  Altra acqua da bere veniva raccolta dove esiste – LU ORNALE CUPE - verso la cima della montagna, dove si  erano formate delle incavature naturali e dal soffitto della caverna sgocciolava acqua pura e fresca pronta per  essere raccolta in queste fossette. I pozzi sopra menzionati sono ancora esistenti, sono stati restaurati, e si possono vedere.   Altra fonte più o meno .redditizia era il legname che veniva prelevato con muli o asini e portato in paese. La  legna raccolta proveniva dai vari boschi presenti sui monti.  Altra legna composta da fascine veniva raccolta a Colle San Magno e trasportata dalle donne con il sistema  tradizionale, cioè in testa. Tutti indistintamente portavano come calzari le ciocie.  Da ottobre fino al mese di gennaio inoltrato avveniva la raccolta delle olive, tutte a mano, una alla volta e non  come oggi ,con vibratori e reti poste in basso. Queste olive divise in vari proprietari venivano trasportate con  cesti caricati  sempre in testa alle donne oppure tramite muli o somari. Poi, portate nei vari frantoi dove  venivano ridotte in poltiglia tramite pesanti ruote in pietra fatte girare da un somaro. Una volta fatta la poltiglia,  questa veniva pressata da appositi torchi manovrati a mano. Il ricavato era un miscuglio di acqua e olio,  quest’ultimo più leggero rimaneva a galla e veniva raccolto con mestolo e rovesciato in appositi recipienti.  Affascinato da tanto quanto mi è stato riferito dai signori Rodolfo Matassa e il fratello Roberto, i quali hanno  vissuto a Caprile da ragazzi in quel periodo. Mi raccontano anche che a quei tempi ,quando vi era la raccolta  delle olive, sui monti echeggiavano i canti delle donne da sentirsi fino a valle. I motivi erano abitualmente  questi: <.MAMMA  MAMMA DAMMI CENTO LIRE CHE IN AMERICA VOGLIO ANDA’ - CENTO LIRE TE LE DARO’ MA IN AMERICA NO NO NO. Poi CICIRINELLA TENEVA NA VACCA SOTTO LA CODA TENEVA NA NDACCA - CICIRINELLA TENEVA NU PORCHE GLI MANNNAVA A ZAPPA’ L’ORTE - SULL’ACQUA DEL RUSCELLO SI SPECCHIAVA UNA BAMBINA ecc..ecc. Seppure infreddolite erano piene di gioia ,anche per  soffocare la dura fatica.  Ho voluto fare una ricostruzione dei fatti in base alle loro  testimonianze. (Vedi dipinto). In questo dipinto ,ho voluto ricostruire come  procedeva il  lavoro nei vari frantoio.  E’ un piacere per tutti quelli che non lo sapessero,  specialmente i giovani, avere un’idea di quello che si è fatto  a quei tempi e di cui ancora oggi si intravvedono i resti.  Ringrazio l’artista Kay de Lautaur Scott che gentilmente mi  ha fornito del materiale fotografico che mi ha permesso di  poter ricostruire ciò che ho realizzato ,cioè  questi frantoi  ben conservati che possono essere ancora oggi visitarti  (vedi foto).   Un ringraziamento particolare va a Rodolfo Matassa e al  fratello Roberto – che i lettori dell’Eco ben conoscono - che  mi hanno invogliato con i loro racconti a rivivere quanto  citato. Caprile oggi rivive grazie a numerose persone, anche  importanti, che, per la sua bellezza in sé e per il  meraviglioso paesaggio, sono rimaste attratte e si sono  fermate a vivere da noi  Rocco Tanzilli