Il Campione e il Velodromo fantasma Ogni mattina nel tragitto dalla mia casa romana all’ufficio passo davanti all’ex velodromo olimpico, o meglio  all’area che lo ospitava visto che ora non c’è più. Il velodromo non c’è più semplicemente perché è stato fatto  saltare con la dinamite il 24 luglio del 2008, trattato alla stessa stregua di un “ecomostro”. Solo che per arrivare  ad abbattere una di quelle strutture orrende che siamo abituati a vedere costruite in posti stupendi ci vogliono  decine di anni e non sempre ci si riesce. Invece per decidere di buttare giù un impianto di gran pregio  architettonico e che era pur sempre una struttura testimone delle storiche Olimpiadi romane del 1960 non ci  hanno pensato su due volte. Questa è la scheda dell’impianto pure rilevata dal sito citato sotto:  Superficie; mq 55.500   Progettisti: C. Ligini, D. Ortensi e S. Ricci Inizio e fine lavori: Progettato nel 1958, completato per le Olimpiadi del 1960   Destinazione attuale: Recentemente era stato riconsegnato dal CONI all’EUR SpA (che l’ha prontamente  abbattuto!)  Il velodromo, dicono quelli che hanno deciso la demolizione (la giunta Veltroni, ahimè, che evidentemente  pensava che con le demolizioni si risolvessero i problemi di  degrado) era pericolante, abbandonato da anni, rifugio di  senzatetto, tossici, giovinastri, prostitute e tutto l’elenco degli  “indesiderabili”. È vero, in parte, ma non immaginatevi una  favela sudamericana: erano presenze ben nascoste in un’area  sterminata. E convivevano con alcune strutture attive del CONI come ad  esempio la Federazione del ciclismo.  Una storia all’italiana, una scelta dietro la quale si cela  l’ennesima speculazione edilizia in barba a qualsiasi altra  considerazione. Mi limito a riportare al riguardo quanto ho letto  in un documentatissimo sito ( www.borislimpopo.com) nel quale  si descrive l’impianto che non c’è più e si ricostruisce con  dovizia di particolari l’incredibile storia che ha portato  all’abbattimento del velodromo romano.  “Costruito per le Olimpiadi di Roma, è stato ufficialmente  inaugurato il 30 aprile del 1960. Ubicato a nord ovest del  comprensorio dell’EUR, il velodromo occupa una superficie di  55.500 mq di proprietà dell’EUR SpA. Il velodromo ha una  struttura di cemento armato in corrispondenza della tribuna  principale. Le altre tribune sono appoggiate su riporti di terra  stabilizzata meccanicamente. Le gradinate consentono una perfetta visibilità da ogni ordine di  posti: hanno infatti un andamento variabile non solo in senso  trasversale ma anche longitudinale. La pista ha uno sviluppo di  400 metri, una larghezza costante di 7,5 metri, oltre la fascia  azzurra di 0,75 metri. L’impianto dispone di una capienza di  17.660 spettatori suddivisa in tre ordini di posti: in piedi in  corrispondenza delle curve; seduti, nella gradinata principale di  calcestruzzo armato, coperta parzialmente da una pensilina  metallica; seduti, nella gradinata dei distinti. Sulla pista del  velodromo si sono svolte le gare ciclistiche delle Olimpiadi del 1960, i Campionati del mondo del 1968 e, nel 1967,  vi è stato battuto il record dell’ora. L’ultima manifestazione svoltasi al velodromo con la partecipazione di pubblico è  stata quella dei mondiali del 1968.   In seguito, essendosi verificati fenomeni di assestamento delle strutture e delle tribune del pubblico, si è limitato  l’uso dell’impianto ai soli allenamenti del ciclismo e dell’hockey su prato. L’abbandono del Velodromo dell’Eur,  dunque, data dal 1968, dopo soltanto 8 anni dalla sua inaugurazione in occasione delle Olimpiadi romane.   E va attribuito non all’azione di poche decine  di “indesiderabili”, ma all’inerzia degli  amministratori (ma attenzione, anche l’inerzia  in questo caso è una scelta politica).  Un’inerzia durata 40 anni, che ha avuto come  protagonisti le amministrazioni di diverso  colore che si sono succedute in Comune,  all’Ente Eur e al CONI.   La decisione, alla fine, non è stata quella di  ripristinare, eventualmente ricostruendo  fedelmente, una struttura bella e utile,  conservandone la funzione. È stata invece di  abbatterla, costruendo al suo posto una  “Cittadella dell’acqua”: cioè una bella miscela   di pubblico e privato, come va di moda  adesso, sottraendo l’area all’uso pubblico, e  destinandola ad attività tutte commerciali e  soltanto in parte sportive (per il resto,  naturalmente, i soliti usi commerciali con cui  si pretende di fare qualità urbana!).  08/05/2006 – Entro il 2009 l’ex velodromo  olimpico di Roma lascerà il posto alla  “Cittadella dell’acqua, dello sport e del  benessere”. Ad annunciarlo è il sindaco Veltroni, che informa inoltre dell’imminente lancio del bando per il concorso  internazionale di progettazione.   Chiusa dal 1968, la struttura in cemento armato progettata da Cesare Ligini per le Olimpiadi del 1960 diventerà un  centro multifunzionale a carattere sportivo e ricreativo dedicato soprattutto agli sport acquatici e ad attività indoor e  fitness. L’area ospiterà inoltre un polo medico per la riabilitazione sportiva e per le persone con ridotta capacità  motoria. L’intervento comporterà una spesa complessiva di 130 milioni di euro. A breve Eur Spa e Comune di Roma  bandiranno un concorso internazionale di architettura finalizzato all’individuazione del progetto per la nuova  cittadella dell’acqua.   A confermare la procedura è la delibera del 3 aprile 2006 con la quale il Consiglio comunale ha approvato il  programma di interventi “per il recupero e trasformazione del Velodromo Olimpico e nuova edificazione dell’area  denominata Oceano Pacifico”. Il progetto di rifunzionalizzazione dell’area è stato presentato nei giorni scorsi dal  sindaco Walter Veltroni, dall’assessore all’Urbanistica Roberto Morassut, dal presidente e dall’amministratore  delegato di Eur S.p.A. L’area dell’ex velodromo ospiterà un centro multifunzionale a carattere sportivo e ricreativo  che si estenderà su una superficie di 32.500 metri quadrati. La struttura sarà dotata di spazi per attività di supporto:  spazi commerciali, uffici, ristorazioni ed attrezzature ricettive/mediche. In particolare, è prevista la realizzazione di: - un centro acquatico e di benessere per 9.000 mq, con piscina olimpica omologata per gare internazionali di nuoto  e pallanuoto (12.000 mq);  - un albergo;  - un centro medico di diagnostica e riabilitazione motoria;  - uffici per la promozione e la gestione della struttura (per altri 13.500 mq);  - negozi e attività sportive esterne per ulteriori 7.000 mq.  Attiro la vostra attenzione su 4 punti, così impariamo insieme a leggere criticamente e decifrare il linguaggio della  politica:   Il costo dell’operazione: 130 milioni di euro!     Il concorso internazionale di architettura non è ancora stato bandito. Prima si demolisce, poi si vedrà. Questa,  verosimilmente, è una responsabilità della nuova giunta Alemanno, che ha fretta di mettersi in mostra.     La delibera della Giunta comunale è intitolata “recupero e trasformazione del Velodromo Olimpico”: scrivi  recupero, leggi demolizione! Così funzionano gli eufemismi della politica. Direte: ma è un uso del linguaggio  volto a ingannare! Giusto, ma siamo noi che leggiamo distrattamente una notizia sul giornale e ci facciamo  prendere in giro. Caveat emptor! Tra delibera e abbattimento sono passati più di 2 anni!     L’area del Velodromo è di 55.500 mq. Gli interventi previsti riguardano 32.500 mq (e già in quelli, oltre agli  impianti sportivi, sono previsti negozi, alberghi e uffici). E gli altri 20.000 mq? Si accettano scommesse.  Abitazioni private di lusso? L’area è pregiata.   Dell’accordo fanno parte anche altre opere pubbliche “in compensazione”, suppongo, del regalo alla speculazione:  ma saranno realizzate altrove.  Che cosa resta adesso del Velodromo? Il rammarico per l’occasione perduta e la solita rabbia e la voglia di  andarsene”  Ringrazio il redattore del sito per queste notizie e per l’impegno nel documentare un autentico scempio nonché per  la denuncia di quello che io considero l’ennesimo scippo di un bene e di un’area comune a vantaggio degli interessi  di pochi. Storia nota direte voi, ma non bisogna smettere di indignarsi.  Tutto questo nella mia mente si lega alla scomparsa si uno dei più grandi “Seigiornisti” della storia del ciclismo:  Peter Post. Sembrano due fatti molto lontani fra di loro e probabilmente lo sono nella realtà. Ma non per me. Per  una di quelle coincidenze incredibili e imperscrutabili che a volte ci capita di vivere, ho ascoltato una mattina alla  radio la notizia della scomparsa di Peter Post proprio mentre passavo in macchina davanti all’ex Velodromo  romano. Nella mia mente il Velodromo demolito e la morte dell’ex campione grande pistard si sono  immediatamente fuse e mi hanno lasciato dentro un alone di malinconia che mi ha accompagnato a lungo durante  quella giornata di lavoro.   Le “Seigiorni” si corrono nei velodromi e sono competizioni molto particolari che si svolgono su pista e hanno un  grande seguito soprattutto nel nord Europa. Sino a qualche decennio fa anche in Italia le “Seigiorni” avevano un  loro notevole spazio e attiravano  l’interesse degli appassionati di  ciclismo, ma erano anche occasioni di  incontro e di mondanità. Per esempio  la storica “Seigiorni” di Milano è stata  sempre un grande evento sportivo e  mondano che si è corsa l’ultima volta  nel 2008.   Adesso sembra che la si voglia  rilanciare in grande stile. Speriamo.   Ma torniamo a Peter Post. E’ morto il  14 gennaio scorso all’età di 77 anni ad  Amsterdam, dopo una lunga malattia.   Come dicevamo e’stato uno dei più  grandi “seigiornisti” della storia dello  sport delle due ruote. Lui di  “Seigiorni”ne vinse 65 su 155  partecipazioni e per questo fu  soprannominato in Olanda “"De Keizer  van de Zesdaagse" ("l'imperatore della  sei giorni"). Post però vinse anche su  strada gare importanti, la più  prestigiosa della sua carriera è stata la   Parigi – Roubaix del 1964 che vinse in  volata nel mitico velodromo di Roubaix  (visitato da me e dal Trapper in  occasione delle Parisgi – Roubaix del 2008) battendo allo sprint il campione del mondo in carica Behyet. Il ritmo  elevato assicurò a Post anche il primato di velocità tra i vincitori di una classica, il premio “Nastro Giallo”, avendo  percorso i 265 km a una media di 45.131 km/h. Questo record, battuto solo nel 1975 per quanto riguarda le  classiche sopra i 200 km, resiste ancora dal 1964 per quanto riguarda la Parigi-Roubaix, anche se da allora il  percorso ha subito delle modifiche. Dunque onore a Peter Post alfiere di un ciclismo pulito, fatto di fatica, sudore,  sacrificio. Lui nel Velodromo di Roma aveva corso i mondiali del 1968. In quell’impianto Sante Gaiardoni aveva  vinto ben due medaglie d’oro alle Olimpiadi del 1960 nello sprint e nel chilometro da fermo. L’indimenticabile coppia  formata da Bianchetto e Beghetto vinse l’oro nella spettacolare specialità del tandem. Per finire, il 30 ottobre 1967  il belga Ferdinand Bracke stabilì su quella pista il record dell’ora fissandolo a 48 chilometri, 93 metri e 40  centimetri. Ma tutto questo ora non c’è più, resta solo il profilo della terra che sosteneva la pista ancora sinuoso e  completo nel ricordare la linea della pista. Tutto cancellato.   Ma in cambio in quell’area pregiata presto sorgeranno palazzi, centri fitness e negozi e qualcuno potrà aggiornare  gli zeri del proprio conto in banca.   Applausi. A Peter Post, “l’imperatore della Seigiorni”. Ferdi  Anno 16 n. 79                                                   Febbraio 2011 Giacomo Fornoni, detto il  "treno" di Gromo, assieme a  Cogliati, Bailetti e Trapè,  vinse l'Oro Olimpico nella  specialità cronosquadre ai  Giochi di Roma del 1960.