L’Eco di Roccasecca
Sito Promozionale di Cultura del Basso Lazio dell' Associazione onlus PRETA Via Sotto le mura snc - 03041 Alvito (FR) p.i. 02194120602 CIOCIARI.COM   © pretaonlus 2000-2010 - ciociari @ pretaonlus.it
Anno 16 n. 80                                                   Maggio 2011
BOB DYLAN compie 70 anni  L’Eco di Roccasecca lo ricorda con i testi di due tra le sue canzoni più celebri Per celebrare i primi 70 anni del  menestrello Bob Dylan, come già  annunciato in prima pagina, facciamo  riferimento al suo secondo album, THE  FREEWHEELIN’ BOB DYLAN del 1963,  pubblicando (non credo che se ne avrà a  male) i testi di due capolavori della musica  di protesta di quegli anni, contenuti  proprio in tale disco.   Mi sembra necessaria una breve  introduzione all’argomento in generale.  C’è stato un periodo in cui il mondo  musicale si è trovato, come mai  precedentemente o successivamente, in  sintonia con gli avvenimenti esterni,  avvicinandosi alla realtà sociale e,  particolarmente, ai movimenti giovanili  degli anni ‘60. La "canzone", di solito mero  prodotto alla moda di largo consumo,  divenne, in molti casi, uno dei più alti canali di espressione di una intera generazione, Diceva  l’estroso e indimenticato Frank Zappa: "Il concetto americano di gioventù presume che tutti i  ribelli tornino prima o poi all’ovile, rientrino nel gregge. Ma noi, no. Non possono ignorarci.  Anche se le idee che stanno dietro alla nostra musica non piacciono, la si deve ascoltare perché  è dappertutto".   Sono trascorsi più di quaranta anni dalle prime rivolte studentesche che, partite dall'Università  di Berkeley in California, si allargarono in Europa a macchia d’olio, ma quello spirito utopistico e  quella particolare atmosfera che sembrava preludere a cambiamenti radicali in seno alla società  occidentale non sono del tutto dimenticati. Le insurrezioni del ’68 e del ’69 nelle città  universitarie furono di stampo prettamente politico-ideologico, ma da un punto di vista del  costume e del mutamento sociale l’esigenza di cambiamento era già emersa negli anni  precedenti.   E la musica non era rimasta estranea o indifferente di fronte a queste crescenti richieste di  cambiamento. In particolare fin dai primissimi anni ’60 il mondo giovanile era stato percorso da  violente scosse determinate dal propagarsi di un nuovo genere musicale (denominato a più  riprese "beat", "pop", "rock" etc.) caratterizzato da ritmi veloci e frenetici, dall’uso di strumenti  elettrici, dall’avvento dei capelli lunghi e delle celebri minigonne, e, soprattutto, dai testi di  molte canzoni che per la prima volta facevano "pensare" evitando le solite banalità ricorrenti.  Beatles e Rolling Stones, dunque, ma anche Bob Dylan, Donovan, Joan Baez e tanti altri  cantanti "impegnati", termine forse in disuso ma che all’epoca rendeva bene il concetto, figli dei  predecessori Woody Guthrie e Pete Seeger, quest’ultimo tuttora molto impegnato in concerti e in  sala di registrazione a 90 anni suonati!.  Un certo tipo di protesta si affacciò timidamente anche in Italia con qualche anno di ritardo, a  livello serio con Francesco Guccini, Fabrizio De André, i Nomadi e pochi altri, a livello più leggero  con canzoncine in cui si spingevano i giovani ad abbracciare chitarre anziché fucili, a mettere i  fiori nei cannoni etc. Alcuni brani, nel primo caso, sono divenuti capolavori immortali, sfidando il  tempo, altri, ingenui, appaiono ormai datati ma sempre in qualche modo coinvolgenti.  Torniamo a Bob Dylan, colui che è stato considerato per parecchio tempo il ribelle numero 1,  colui che fin dai primi dischi scrisse pagine indelebili nella storia della musica del secolo scorso,  riuscendo a fare più danni con una chitarra acustica ed un’armonica che con bombe ed attentati.   Robert Zimmermann, alias Bob Dylan cercò di essere degno seguace di Woody Guthrie, il  folksinger americano che aveva scritto pagine indelebili nella sua lunga carriera di cantante  vagabondo attivista “on the road" negli anni della Depressione.  Dylan in realtà se ne discosta alquanto, soprattutto come stile di vita, diventando,  probabilmente suo malgrado, un "profeta" se non un idolo della propria generazione.   Come scrive Maffi in "La cultura underground, vol.2: Rock, poesia, cinema teatro", (Ed. La  Terza, 1980) "Dylan non era l’individuo che cantava l’esperienza d’un popolo o d’una classe sociale, ma  l’individuo sensibilissimo agli avvenimenti socio-politici che canta le proprie poesie…  Era Ginsberg in musica … In questo individuo la generazione di un certo periodo si riconobbe: il  processo quindi fu invertito.   Perciò Dylan divenne per un certo tempo l’ispiratore: funzione che nessun folk-singer o blues-  singer ha in realtà mai avuto, perché il loro linguaggio, la loro vita, il loro messaggio era  qualcosa che apparteneva a tutti, era l’esperienza di tutti; mentre quelli di Dylan divengono  semmai ispirazione per tutti".  Lasciamo spazio ai versi ora.  Dal secondo album di Bob Dylan "The Freewheelin’ Bob Dylan", pubblicato nel lontano 1963,  ecco due tra le sue più ispirate canzoni, di un’attualità a dir poco sconcertante, a quasi 50 anni  di distanza. Blowin’ in the Wind è divenuta negli anni un vero inno generazionale, riproposta in  decine e decine di versioni di altri artisti.  Blowin’ in the wind (Soffia nel vento) Quante strade deve percorrere un uomo Prima di poterlo chiamare uomo   E quanti mari deve navigare una colomba bianca  Prima di addormentarsi sulla sabbia  E quante volte devono volare le palle di cannone  Prima di essere proibite per sempre La risposta, amico mio, soffia nel vento La risposta soffia nel vento E quanti anni può esistere una montagna  Prima di essere spazzata verso il mare E quanti anni possono esistere gli uomini  Prima di essere lasciati liberi  E quante volte può un uomo girare la testa E far finta di non vedere La risposta, amico mio, soffia nel vento La risposta, soffia nel vento E quante volte un uomo deve guardare in alto Prima di poter vedere il cielo  E quante orecchie deve avere un uomo Prima di poter sentire la gente piangere  E quanti morti ci vorranno prima che lui sappia  Che troppi sono morti La risposta, amico mio, soffia nel vento La risposta, amico mio, soffia nel vento   Bob Dylan, 1963  Masters of War resta probabilmente, ad oggi, la canzone più riuscita contro la guerra, il  militarismo, le industrie belliche. Dylan si rivolge direttamente a coloro che gestiscono queste  situazioni (i “Signori della guerra”), non fa sconti e non si fa scrupolo di augurare loro la morte,  nell’ultima strofa, facendo loro presente che non solo spera che spariscano dalla faccia della  terra, ma lui resterà proprio sulle loro tombe a vigilare che siano definitivamente morti!  Commentando questo brano, Dylan ebbe a dire: «La collera è una sorta di catarsi, un modo per  ottenere un sollievo temporaneo da una sensazione pesante di impotenza che affligge molti che  non riescono a capire una civiltà che definisce tale atto (la guerra) un'azione di pace».  Masters of War (Padroni della guerra) Venite padroni della guerra  Voi che costruite i grossi cannoni  Voi che costruite gli aeroplani di morte  Voi che costruite tutte le bombe  Voi che vi nascondete dietro ai muri  Voi che vi nascondete dietro alle scrivanie  Voglio solo che sappiate  Che posso vedere attraverso le vostre maschere  Voi che non avete mai fatto nulla  Se non costruire per distruggere  Voi giocate con il mio mondo  Come se fosse il vostro piccolo giocattolo  Voi mettete un fucile nella mia mano  E vi nascondete dai miei occhi  E vi voltate e correte lontano  Quando volano le veloci pallottole  Come Giuda dei tempi antichi  Voi mentite ed ingannate  Una guerra mondiale può essere vinta  Voi volete che io creda  Ma io vedo attraverso i vostri occhi  E vedo attraverso il vostro cervello  Come vedo attraverso l'acqua  Che scorre giù nella fogna  Voi caricate le armi  Che altri dovranno sparare  E poi vi sedete e guardate  Mentre il conto dei morti sale  E voi vi nascondete nei vostri palazzi  Mentre il sangue dei giovani  Scorre dai loro corpi  E viene sepolto nel fango  Avete causato la peggior paura  Che mai possa spargersi  Paura di portare figli  In questo mondo  Poiché minacciate il mio bambino  Non nato e senza nome  Voi non valete il sangue  Che scorre nelle vostre vene  Che cosa so io  Per parlare quando non è il mio turno  Direte che sono giovane  Direte che non so abbastanza  Ma c'è una cosa che so  Anche se sono più giovane di voi  Che perfino Gesù non perdonerebbe  Quello che fate Voglio farvi una domanda  Il vostro denaro vale così tanto  Vi comprerà il perdono  Pensate che potrebbe  Io penso che scoprirete  Quando la morte esigerà il pedaggio  Che tutti i soldi che avete accumulato  Non serviranno a ricomprarvi l'anima  E spero che moriate  E che la vostra morte venga presto  Seguirò la vostra bara  Un pallido pomeriggio  E guarderò mentre vi calano  Giù nella fossa  E starò sulla vostra tomba  Finché non sarò sicuro che siete morti.  Bob Dylan, 1963 
Anno 16 n. 80                                                   Maggio 2011