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BOB DYLAN compie 70 anni
L’Eco di Roccasecca lo ricorda con i testi di due tra le sue canzoni più celebri
Per celebrare i primi 70 anni del
menestrello Bob Dylan, come già
annunciato in prima pagina, facciamo
riferimento al suo secondo album, THE
FREEWHEELIN’ BOB DYLAN del 1963,
pubblicando (non credo che se ne avrà a
male) i testi di due capolavori della musica
di protesta di quegli anni, contenuti
proprio in tale disco.
Mi sembra necessaria una breve
introduzione all’argomento in generale.
C’è stato un periodo in cui il mondo
musicale si è trovato, come mai
precedentemente o successivamente, in
sintonia con gli avvenimenti esterni,
avvicinandosi alla realtà sociale e,
particolarmente, ai movimenti giovanili
degli anni ‘60. La "canzone", di solito mero
prodotto alla moda di largo consumo,
divenne, in molti casi, uno dei più alti canali di espressione di una intera generazione, Diceva
l’estroso e indimenticato Frank Zappa: "Il concetto americano di gioventù presume che tutti i
ribelli tornino prima o poi all’ovile, rientrino nel gregge. Ma noi, no. Non possono ignorarci.
Anche se le idee che stanno dietro alla nostra musica non piacciono, la si deve ascoltare perché
è dappertutto".
Sono trascorsi più di quaranta anni dalle prime rivolte studentesche che, partite dall'Università
di Berkeley in California, si allargarono in Europa a macchia d’olio, ma quello spirito utopistico e
quella particolare atmosfera che sembrava preludere a cambiamenti radicali in seno alla società
occidentale non sono del tutto dimenticati. Le insurrezioni del ’68 e del ’69 nelle città
universitarie furono di stampo prettamente politico-ideologico, ma da un punto di vista del
costume e del mutamento sociale l’esigenza di cambiamento era già emersa negli anni
precedenti.
E la musica non era rimasta estranea o indifferente di fronte a queste crescenti richieste di
cambiamento. In particolare fin dai primissimi anni ’60 il mondo giovanile era stato percorso da
violente scosse determinate dal propagarsi di un nuovo genere musicale (denominato a più
riprese "beat", "pop", "rock" etc.) caratterizzato da ritmi veloci e frenetici, dall’uso di strumenti
elettrici, dall’avvento dei capelli lunghi e delle celebri minigonne, e, soprattutto, dai testi di
molte canzoni che per la prima volta facevano "pensare" evitando le solite banalità ricorrenti.
Beatles e Rolling Stones, dunque, ma anche Bob Dylan, Donovan, Joan Baez e tanti altri
cantanti "impegnati", termine forse in disuso ma che all’epoca rendeva bene il concetto, figli dei
predecessori Woody Guthrie e Pete Seeger, quest’ultimo tuttora molto impegnato in concerti e in
sala di registrazione a 90 anni suonati!.
Un certo tipo di protesta si affacciò timidamente anche in Italia con qualche anno di ritardo, a
livello serio con Francesco Guccini, Fabrizio De André, i Nomadi e pochi altri, a livello più leggero
con canzoncine in cui si spingevano i giovani ad abbracciare chitarre anziché fucili, a mettere i
fiori nei cannoni etc. Alcuni brani, nel primo caso, sono divenuti capolavori immortali, sfidando il
tempo, altri, ingenui, appaiono ormai datati ma sempre in qualche modo coinvolgenti.
Torniamo a Bob Dylan, colui che è stato considerato per parecchio tempo il ribelle numero 1,
colui che fin dai primi dischi scrisse pagine indelebili nella storia della musica del secolo scorso,
riuscendo a fare più danni con una chitarra acustica ed un’armonica che con bombe ed attentati.
Robert Zimmermann, alias Bob Dylan cercò di essere degno seguace di Woody Guthrie, il
folksinger americano che aveva scritto pagine indelebili nella sua lunga carriera di cantante
vagabondo attivista “on the road" negli anni della Depressione.
Dylan in realtà se ne discosta alquanto, soprattutto come stile di vita, diventando,
probabilmente suo malgrado, un "profeta" se non un idolo della propria generazione.
Come scrive Maffi in "La cultura underground, vol.2: Rock, poesia, cinema teatro", (Ed. La
Terza, 1980)
"Dylan non era l’individuo che cantava l’esperienza d’un popolo o d’una classe sociale, ma
l’individuo sensibilissimo agli avvenimenti socio-politici che canta le proprie poesie…
Era Ginsberg in musica … In questo individuo la generazione di un certo periodo si riconobbe: il
processo quindi fu invertito.
Perciò Dylan divenne per un certo tempo l’ispiratore: funzione che nessun folk-singer o blues-
singer ha in realtà mai avuto, perché il loro linguaggio, la loro vita, il loro messaggio era
qualcosa che apparteneva a tutti, era l’esperienza di tutti; mentre quelli di Dylan divengono
semmai ispirazione per tutti".
Lasciamo spazio ai versi ora.
Dal secondo album di Bob Dylan "The Freewheelin’ Bob Dylan", pubblicato nel lontano 1963,
ecco due tra le sue più ispirate canzoni, di un’attualità a dir poco sconcertante, a quasi 50 anni
di distanza. Blowin’ in the Wind è divenuta negli anni un vero inno generazionale, riproposta in
decine e decine di versioni di altri artisti.
Blowin’ in the wind
(Soffia nel vento)
Quante strade deve percorrere un uomo
Prima di poterlo chiamare uomo
E quanti mari deve navigare una colomba bianca
Prima di addormentarsi sulla sabbia
E quante volte devono volare le palle di cannone
Prima di essere proibite per sempre
La risposta, amico mio, soffia nel vento
La risposta soffia nel vento
E quanti anni può esistere una montagna
Prima di essere spazzata verso il mare
E quanti anni possono esistere gli uomini
Prima di essere lasciati liberi
E quante volte può un uomo girare la testa
E far finta di non vedere
La risposta, amico mio, soffia nel vento
La risposta, soffia nel vento
E quante volte un uomo deve guardare in alto
Prima di poter vedere il cielo
E quante orecchie deve avere un uomo
Prima di poter sentire la gente piangere
E quanti morti ci vorranno prima che lui sappia
Che troppi sono morti
La risposta, amico mio, soffia nel vento
La risposta, amico mio, soffia nel vento
Bob Dylan, 1963
Masters of War resta probabilmente, ad oggi, la canzone più riuscita contro la guerra, il
militarismo, le industrie belliche. Dylan si rivolge direttamente a coloro che gestiscono queste
situazioni (i “Signori della guerra”), non fa sconti e non si fa scrupolo di augurare loro la morte,
nell’ultima strofa, facendo loro presente che non solo spera che spariscano dalla faccia della
terra, ma lui resterà proprio sulle loro tombe a vigilare che siano definitivamente morti!
Commentando questo brano, Dylan ebbe a dire: «La collera è una sorta di catarsi, un modo per
ottenere un sollievo temporaneo da una sensazione pesante di impotenza che affligge molti che
non riescono a capire una civiltà che definisce tale atto (la guerra) un'azione di pace».
Masters of War
(Padroni della guerra)
Venite padroni della guerra
Voi che costruite i grossi cannoni
Voi che costruite gli aeroplani di morte
Voi che costruite tutte le bombe
Voi che vi nascondete dietro ai muri
Voi che vi nascondete dietro alle scrivanie
Voglio solo che sappiate
Che posso vedere attraverso le vostre maschere
Voi che non avete mai fatto nulla
Se non costruire per distruggere
Voi giocate con il mio mondo
Come se fosse il vostro piccolo giocattolo
Voi mettete un fucile nella mia mano
E vi nascondete dai miei occhi
E vi voltate e correte lontano
Quando volano le veloci pallottole
Come Giuda dei tempi antichi
Voi mentite ed ingannate
Una guerra mondiale può essere vinta
Voi volete che io creda
Ma io vedo attraverso i vostri occhi
E vedo attraverso il vostro cervello
Come vedo attraverso l'acqua
Che scorre giù nella fogna
Voi caricate le armi
Che altri dovranno sparare
E poi vi sedete e guardate
Mentre il conto dei morti sale
E voi vi nascondete nei vostri palazzi
Mentre il sangue dei giovani
Scorre dai loro corpi
E viene sepolto nel fango
Avete causato la peggior paura
Che mai possa spargersi
Paura di portare figli
In questo mondo
Poiché minacciate il mio bambino
Non nato e senza nome
Voi non valete il sangue
Che scorre nelle vostre vene
Che cosa so io
Per parlare quando non è il mio turno
Direte che sono giovane
Direte che non so abbastanza
Ma c'è una cosa che so
Anche se sono più giovane di voi
Che perfino Gesù non perdonerebbe
Quello che fate
Voglio farvi una domanda
Il vostro denaro vale così tanto
Vi comprerà il perdono
Pensate che potrebbe
Io penso che scoprirete
Quando la morte esigerà il pedaggio
Che tutti i soldi che avete accumulato
Non serviranno a ricomprarvi l'anima
E spero che moriate
E che la vostra morte venga presto
Seguirò la vostra bara
Un pallido pomeriggio
E guarderò mentre vi calano
Giù nella fossa
E starò sulla vostra tomba
Finché non sarò sicuro che siete morti.
Bob Dylan, 1963