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LA CUCUZZARA
di Rocco Tanzilli
Spesse volte faccio un giro in bicicletta per
incontrare qualche matusalemme e ricordare
con piacere come era la vita ai vecchi tempi.
Oggi si vive freneticamente, ognuno pensa di
non potere arrivare in tempo al traguardo.
Prima e dopo il passaggio del fronte della
seconda guerra mondiale, non esisteva
proprio niente, parlo di auto, trattori e altri
mezzi.
Quando le strade di campagna somigliavano
più a fossi.
Quando i lavori nei campi iniziavano prima
del sorgere del sole fino a dopo il tramonto.
Quando l’acqua da bere esisteva solo nei
pozzi alla romana.
Quando tutto ciò che si produceva proveniva
con forza delle braccia.
Quando per gustare qualche cosa di buono
dovevi attendere qualche ricorrenza come
matrimoni, battesimi o comunioni.
Oggi il cibo è diventato una scelta, questo
non è buono, questo non mi va. Non era così, era buona l’erba, la frutta, gli ortaggi e il pane RUSCE di
granturco. Le bestie esistevano ma per lavorare o per essere vendute, non per nutrirci. Mancava tutto, però
ho da dire che oggi si è perso il senso della semplicità.
Vedo che i matusalemme in un certo modo hanno nostalgia del passato, quando ci si incontrava, ci si
salutava, ci si aiutava nei lavori .Qualche volta la sera con un organetto si ballava ed erano tutti contenti.
Non voglio essere pessimista ma oggi di contentezza in giro ne vedo poca.
ARRIVA LA CUCUZZARA
Il mese di agosto vi era la raccolta del granturco, si faceva tutto a mano.
Ogni contrada partecipava all’evento.
La sera dopo aver depositato le pannocchie nell’aia, tutto intorno al mucchio in modo circolare ci si
apprestava a SCATOCCIARE (liberare la pannocchia dal cartoccio.) Era anche il momento buono per far capire
a qualche ragazza che c’era un certo interesse mollandole una pannocchiata.
Poi ecco apparire la cucuzzara. A Quelli che volevano partecipare veniva dato un numero e iniziava il gioco.
Il numero uno, rivolgendosi ad un numero qualsiasi attribuito in precedenza, iniziava così:
“Un giorno andando nel mio giardino trovai mangande cinghe cucuzze”.
Si alzava il numero 5 che rispondeva “come che cinghe?”.
“E quanda sennò?”
“Erane sei” diceva il n.5.
A quel punto entrava in ballo il n.6 e diceva “comme che sei?” … e via dicendo.
Quasi l’intera serata la CUCUZZARA faceva da protagonista. Poi ognuno prendeva la strada di casa pensando
al da farsi per il giorno dopo. Magari con un’altra CUCUZZARA.
Voglio dire che raccontando ancora queste cose semplici a chi le ha vissute si prova una certa nostalgia del
passato. Ci sarebbe da farci una risata ma credo che molte volte con la frenesia che ci trascina ci sarebbe
piuttosto da piangere.
Rocco Tanzilli