Sito Promozionale di Cultura del Basso Lazio dell' Associazione onlus PRETA Via Sotto le mura snc - 03041 Alvito (FR) p.i. 02194120602
CIOCIARI.COM © pretaonlus 2000-2010 - ciociari @ pretaonlus.it
Memorie e ricordi di Caprile . . . e oltre
(Nona puntata)
POSILLIPO
Testo e foto di Roberto Matassa
ove non indicato
Per me Posillipo non e’ solo un nome generico, di antica memoria, ma significa tanto per averci vissuto i
migliori anni della mia gioventù, per la sua posizione geografica, e anche per riferimento alle poesie e
canzoni napoletane come “Marechiaro” e tante altre. Fu nel 1937 che mio padre cominciò il suo impiego con
i grandi negozi di GUTTERIDGE a Napoli. Mio padre aveva acquisito la sua educazione in Scozia, era una ex
Guardia Regia, veterano dall’Abissinia, ma tutte queste virtù non valevano nulla a Caprile, e per alcune
combinazioni fu riconosciuto ideale per l’impiego in quel negozio a Napoli e ancor più per la sua conoscenza
dell’inglese che aveva imparato in Scozia.
Eravamo una famiglia piuttosto numerosa; mio padre era un capo nel vero senso della parola, sempre
preparato su tanti argomenti, leggeva il MATTINO di Napoli, e non lasciava indietro neanche una virgola;
non lo si poteva contrastare perché “aveva sempre ragione” e per noi tanti figli era quello che ci voleva!
Sempre elegante e con la cravatta ben attillata, gli avevano dato il compito di aprire e chiudere il negozio a
Piazza Dante e quelle chiavi che portava appresso pesavano per lo meno un kilo. Era sempre allegro e
aveva un gran senso dell’umorismo ma soprattutto era un devoto Caprilotto. Insomma un vero condottiero!
Mia zia Mary Matassa, a Glasgow, di origine Irlandese, un giorno mi disse “your father was a bit of a boy”
voleva dire che era molto vivace! Gli piaceva cantare e sapeva ballare anche il “Tap dancing” cioè il tip tap.
Mio padre Donato ( Guardia Regia) 1920
Si lasciava Caprile! 1937
Arrivò di mattina a Caprile un camion noleggiato per portare a Napoli le nostre cose che avevamo in paese;
mia madre fu accomodata davanti con l’autista e noi fratelli accovacciati lì dietro allo scoperto… come
quando si portavano le galline al mercato; pensandoci ora deve essere stata una scena veramente comica!
Non si viaggiava per niente in quei tempi e io non avevo visto neanche Castrocielo! Figuratevi quando
arrivammo al Rione Belsito a Posillipo, Napoli. Apriti cielo, che panorama che immensità proprio di fronte al
golfo, e che veduta del Vesuvio, che allora ancora non era arrabbiato! Con quel pennacchio tipico che
completava “A CARTULINE E NAPULE”.
Album fotografico di Napoli (Archivio Eco)
Mia madre si dette da fare per l’iscrizione alla Scuola Domenico Cimarosa a Posillipo per me e mio fratello
Rodolfo. A scuola ci chiedevano altri dettagli e un giorno ricordo che chiesero ripetutamente a Rodolfo “dove
sei nato?” e lui rispondeva seccamente “a Caprile”, e ancora la stessa domanda, e lui rispondeva “a Caprile”,
e loro che cominciavano a irritarsi dissero ad alta voce “ma dov’e questo paese!” e allora io (avevo circa
otto anni) mi feci avanti e intervenni dicendo loro che Caprile era Comune di Roccasecca e Provincia di
Frosinone! Ma dubito che loro avessero mai sentito parlare di Roccasecca, figuriamoci perdere Caprile.
Quella era una scuola meravigliosa; e che aule; e che palestra; e quanti panini con la mortadella, che non
avevo mai visti! Ma quando cantavamo il coro dei Lombardi tutti insieme VA PENSIERO, Gesù’ che
emozione! Gloria e grazie a Verdi per averci dato tanto. Pensate che durante la mia vita questo coro l’ho
sentito canticchiare in Germania e specialmente qui in Inghilterra!
E io l’ho sempre considerato il nostro inno nazionale perché mi riporta in Patria! Invece di quello cadenzato
e staccato che abbiamo! Ma fra i doveri in quella scuola, la mattina dovevamo ingoiare un cucchiaio di “olio
di fegato di merluzzo” che schifo!!
C’era l’ambulatorio in cui ricevevamo tante attenzioni e mi ricordo tanto che una di quelle crocerossine era
una principessa dei Savoia, veniva su a piazza San Luigi dalla Villa Rosebury ora la Villa del nostro
Presidente proprio lì a Giuseppone a Mare.
Ma a Esposito, il mio compagno preferito, non andava proprio giù quella cucchiaiata di olio, diceva
continuamente “che schifo” e che gli faceva venire una ca****ella fulminante.
Esposito aveva un faccione e un andamento piuttosto goffo, e con quel grembiule tutto nero e una nocca al
collo era come un ombrello che mi gironzolava intorno, mi sfotteva continuamente “O guaglione ‘o paese
sacchiapone”. Aveva un comportamento tutto Napoletano, era così spontaneo, lui voleva ridere con me, e io
ancora di più!
Posillipo era ormai diventato tutto quello che avevamo, noi fratelli avevamo esplorato tutte le discese a
mare e Villa Maria dove eravamo tollerati e giù a Marechiaro - che meraviglia! - ci si poteva leggere il
giornale sott’acqua; andavamo spesso giù a Giuseppone a Mare, dove imparai a nuotare, quindi che
pacchia! Ma un giorno ci avventurammo un po’ più in là, giù a Coroglio dove c’era una spiaggetta
meravigliosa vicino all’isola di Nisida.
Eravamo in tre, io Rodolfo e Guglielmo, ci allontanammo un poco nuotando, poi quando tornammo a riva,
trovammo la brutta sorpresa che si erano fregati tutti i panni e le scarpe.
Eravamo rimasti con quelle mutande poco dignitose! Il guaio fu il ritorno su a Capo Posillipo saltellando
sull’unica strada asfaltata, tutta una lunga salita, sembrava come camminare sulla pece cocente! Pensate!
Ancor peggio, dovevamo coprirci con le mani per cammuffare la spaccazza delle mutande che era troppo
visibile per non farci ridere dietro dalla gente che s’incontrava.
Ma torniamo sul tema della scuola di Posillipo.
In quei giorni avvennero due eventi storici. Il primo, nel 1938, fu la visita ufficiale di Adolf Hitler a Napoli;
allora io ero Balilla Tamburino mentre Rodolfo credo Avanguardista!
Un giorno ci misero tutti in fila e in marcia verso la Stazione di Mergellina, poi ci allinearono sulla
piattaforma, ed ecco che arrivò il treno presidenziale da Roma e scese in uniforme questo onnipotente e
venerato criminale, il Fuhrer, me lo ricordo ancora dopo 73anni.
Lo portarono a Via Caracciolo dove il Duce lo ricevette per lo svolgimento di una grande parata navale, c’era
quasi tutta la flotta della Marina Militare Italiana a largo (altro che la compatibilità con quella tedesca di
Donitz) forse allora Adolfo cominciò a farsi i conti per quanto stavano pianificando (ricordate l’ ASSE Roma
Berlino, Tokio).
LA MONARCHIA
La seconda volta avvenne nel 1940, ci fecero fare una lunga marcia dalla scuola fino a piazza Plebiscito,
credo che fra andata e ritorno siano circa 15 kilometri, pensate, senza mezzi di trasporto, senza bibite e col
tamburo aggrappato quasi sulle pa**e… e la pancia. Credetemi, ancora adesso potrei picchiare quella
cadenza col tamburo che ci fecero fare per tutto il percorso fino a Piazza Plebiscito. E perché tutto questo?
Perché? Ci fu il battesimo di Maria Gabriella di Savoia sul balcone del Palazzo Reale; c’era tanto popolo che
affollava quella immensa piazza. Sapete, i napoletani erano molto Royalisti e quando suonarono la MARCIA
REALE potete immaginare le reazioni! Si trattava di una sequenza di rulli scatenati e staccati… ora me la
ricordo come uno CIA’ CIA’ CIA’.
MIA MADRE
A parte gli eventi di quei giorni devo pure dire qualcosa di mia madre. Arrivata a Napoli, non era più
Menecuccia di Caprile, subito la chiamavano Signora; quindi un passo avanti di qualità! Devo chiarire che a
Napoli nessuno chiamerebbe una donna anziana direttamente per nome a meno che fosse di famiglia. Era
tanto contenta per i negozi, per la paga mensile e per i conforti che non esistevano a Caprile; anche
abitando lì al quarto piano di Vico Fonseca accettava le scalinate con tanta pazienza! Una mattina, ricordo,
arrivò sotto il palazzo il verduraio, si trattava di mandar su dei broccoli, e non c’erano gli ascensori! E lui da
sotto gridava a mia madre “SIGNORA, CALATE GLIU PANARE” ma lei aveva capito poco perché in ciociaro si
dice “CALATE GLIU FUSCEGLIE”.
Caprile, Via Baliva, ovvero le nostre origini
Mio padre tante volte diceva che lei era rimasta sempre del Vicolo Pignataro, mai disposta a cambiare! Il
loro primo incontro era avvenuto il lunedì di Pasqua del 1923 proprio durante la scampagnata pasquale, lì
sulla montagna vicino alla Chiesetta di Santa Maria.
I loro occhi s’incrociarono, raccontavano spesso che quel giorno c’erano le fisarmoniche che suonavano etc.
etc.
Che combinazione amara per me, che avrei compiuto 15 anni trovandomi proprio su quella montagna in
quella Chiesetta il 15 febbraio 1944 a circa 15 kilometri dalla montagna appresso a Montecassino. Dovetti
assistere a tutta la fase dei bombardamenti e la distruzione del Monastero.
Sapete, poteva quasi essere stata la fine dei miei giorni (vedete la mia puntata precedente sull’Eco 73).
Perché quel giorno fui testimone oculare di quello scempio. Fortunatamente me la cavai. Anni appresso fu
l’inizio di tanti Matassa. E tanti diventarono Matassoni (per la loro brillantezza) ma per fortuna nessun
Matassaccio! Ora, dopo 88 anni da quell’incontro io diventavo parte del clan.
Mio nonno Benedetto sull’orto di San Michele (circa 1930)
PIU’ IN LA’
Diversificazione e progresso economico; dopo il servizio nella Marina Militare ancora non avevo realizzato
molto. Feci la domanda per la Finanza di Mare, avevo tutti i requisiti di “motorista navale”, ma mi risposero
“promosso e non ammesso per esuberanza di posti”; purtroppo non conoscevo nessun “santo” che potesse
aiutarmi! Ma ecco che ancora mio padre entrava in scena, grazie alla stima che aveva per quei negozi.
Infatti il proprietario, Signor R. , aveva preso conoscenza di noi Matassa, e gli serviva l’autista di famiglia.
Mi diede i soldi per prendere la patente, poi mi assunse con paga sindacale e tutti i diritti, con tanto di
divisa sfavillante e cappello!
Così dopo dieci anni tornai a Posillipo per il mio nuovo lavoro a Villa M.
Questa Villa che avevo frequentato anni prima ora era a mia disposizione, e che panorama potevo
contemplare per sempre, e quelle aiuole piene di fiori! E quanta libertà in quel lavoro. Lo dico perché non
mi facevano sentire un garzone anche se dopo tutto quella era la mia professione in quella villa.
Avevano un Fiat 1100 e una Lancia Aurelia, di cui dovevo avere massima cura, ancor più se dovevano
guidarle loro. E non la finivo mai di allisciarle e lucidarle. Purtroppo la parte negativa del mio lavoro erano le
attese, come di sera quando tornavano dai negozi in città e dovevo rimettere le macchine nel garage, e se
erano bagnate dovevo prima asciugarle ... altrimenti prendevano il raffreddore! Poi per finire il giorno
dovevo andare su e chiedere “Posso andare?” e mi sembrava così umiliante dopo dodici ore!
Pensate, lasciavo casa alle sette meno un quarto la mattina e andavo a Piazza Del Gesù’ dove prendevo il
filobus 240 per arrivare a Villa M. entro le otto.
E’ vero che stavo in paradiso ma dovevo sacrificare tre ore al giorno solo di viaggio.
Tra le altre mansioni, mi facevano pitturare con la bitumina tutte le ringhiere che vanno giù verso il mare,
tanti ma tanti viali, ma questo non mi dispiaceva affatto! Sotto c’erano i garage grandi costruiti ai tempi
delle carrozze a cavalli. Considerate che questa villa era stata prestigiosa alla fine dell’ottocento, molto
vicina Villa Rosebery, ora residenza del nostro Presidente della Repubblica.
Il Sig. R. era molto serio, parlava pochissimo e quando passava ti intimidiva col solo sguardo e
istintivamente dovevi ossequiarlo. La Signora invece era molto gentile, non mi comandava ma si riferiva col
dirmi prima di tutto “per piacere”. Mi aveva chiesto di allontanare le “zoccole” o ratti, che in gran quantità
infestavano quella villa e io le dissi “Signora, in questa villa così bella quelli non se ne vanno mai? Cosa
volete che faccia?”
Mi procurai una trappola di legno lunga un quarantina di centimetri col congegno per catturarle, lei mi disse
che mi dava cinquanta lire per ognuna che ne prendevo, però lei non capiva che bisognava ammazzarle
dopo tutto? Allora da quella veranda stava a vedere cosa facevo; in cortile c’era una vasca anzi un antica
specie di sarcofago pieno d’acqua e lei allora capì cosa stavo facendo!
Stavo affogando la zoccola! Allora cominciò a dirmi che ero cattivo e crudele; le risposi: “Signora, sapete
che se ne ammazzo una cento vengono al funerale?”
LA BARCA
Avevo cura anche del dinghy, la barca a vela, che era ormeggiato giù a mare sotto la terrazza attrezzata
con la gru. Praticamente avevo pure quell’interesse piacevole, ma mi sentivo solo e allora per passare il
tempo discorrevo con il giardiniere, tale Don Peppe. Costui però si lamentava sempre e malediva sempre
questi signori; eppure lo pagavano bene e fra l’altro abitava lì vicino. Lo trovavo sempre con la pompa a
innaffiare i fiori oppure sdraiato a dormire li nella masseria.
NON PIU’ SOLITUDINE
La fortuna mi venne incontro quando conobbi la mia ragazza XX. Lei abitava dietro quel piccolo promontorio
di Villa M. La conobbi per pura combinazione da una parente, ma era importante tenere il segreto, la sua
mamma era molto possessiva. Era piuttosto bassa di statura ma ben proporzionata e i capelli nerissimi e
veniva da un’isola italiana. Parlava un Italiano così simpatico con un accento particolare sulle vocali. Così
quei lunghi pomeriggi non erano più noiosi su quella terrazza; lì, vicino al mare, eravamo sempre soli. Era
tutto quello che volevamo. I Signori R. non avrebbero mai fatto quella discesa verso il mare con quel caldo
di pomeriggio d’estate. Sotto la terrazza c’era una spiaggetta con pietraia e scogli anziché sabbia, ed era
sempre piena di alghe. XX veniva da Villa G. con la sua barchetta che la faceva scivolare sulle alghe senza
fatica, e questi incontri durarono per tutto il tempo che ho lavorato a Villa M, quasi tre anni. Quando verso
settembre cominciava il vento maestrale ed il mare diventava quasi sempre agitato, allora andavamo a
passeggiare sulla collina dietro Villa M. Eravamo sempre soli e si parlava sempre di nuovi film, e lei
prendeva quelle storie sul serio. Per esempio SANGUE E ARENA con Tyrone Power l’aveva talmente coinvolta
emotivamente che si era messa a piangere. Era una romantica e sognatrice. Io dovevo recitare la mia parte
si capisce! Certo allora era tutto un’altro mondo! Così sognavamo pure noi. Poi se ne usciva con insinuazioni
suggestive come quando citava un film con John Wayne che diceva “un uomo deve fare quel che un uomo
deve fare” e io dicevo “eccome mo’, un’altra volta?” Mi domandava sempre cosa facevo la domenica il mio
giorno libero; io ero sempre evasivo, la prendevo in giro dicendole che andavo a Roccasecca, ma non era
vero, perché passavo tanto tempo a passeggiare nel Bosco Reale di Capodimonte in buona compagnia
L’AVVENTURA A CAPRI
Una sera il Signor D. (il figlio giovane del sig. R) mi disse che l’indomani saremmo andati in barca in gita a
Capri” .Quella mattina si presentò con una popò di ragazza in costume da bagno che era la sua fidanzata. E
partimmo con una lunga navigata, con poco vento; la sagoma di Capri per me era come un francobollo, non
cambiava mai all’orizzonte e ci volle tutta la mattinata per arrivarci. Poi mi lasciarono alla Marina Grande e
andarono via per un’oretta. Purtroppo io non mi ero fatto i calcoli che mi scappava … e così ripartimmo, io
sempre con questa esigenza… fisica! Usciti a largo sembrava che stavamo su una striscia d’olio, la vela era
completamente afflosciata, di vento quasi niente, il promontorio di Posillipo era diventato un miraggio. Lui
teneva la mano destra aggrappata al timone e la mano sinistra accollata alla sua ragazza; cercavo di non
guardare, ma lui non gli faceva neanche una grattatina? Che roba! Tutti e due guardavano il cielo come le
anime sante del Purgatorio. Con tutto quel ben di Dio! Avevo fatto i miei anni da marinaio, ma non avevo
sognato mai una esperienza del genere. Stavo crepando… ed aveva ragione Pulcinella quando diceva “che
per mare non ci sono caverne”. Il sole mi bruciava le spalle, ero rosso come un peperone arrostito, cosa
potevo fare? Dovevo piazzarmi a prua come il Davide Di Michelangelo? Resisti e resisti quando dopo quattro
ore arrivammo a Posillipo, potete immaginare.... altro che Cristoforo Colombo!
LA STAGIONE DELLE OPERE
Quando poi d’inverno cominciava la stagione delle Opere al San Carlo allora si facevano portare con la
Lancia Aurelia (che meraviglia guidarla) fino a sotto il porticato del teatro. Io tutto elegante con uniforme e
cappello li facevo scendere con tanti inchini. Ma spesso le Opere erano molto lunghe, specialmente l’Aida
non finiva mai!
Cosi per passare il tempo me ne andavo sotto la Galleria di fronte al teatro San Carlo dove c’era il teatro
Salone Margherita; là mi conoscevano, ormai lo frequentavo sempre e forse per quella divisa elegante col
cappello mi chiamavano “capo”; capo di che non l’ho mai saputo. Meno male!
Avevo avuto anche una promozione dopo tutto! Mi facevano sedere sempre di fronte al palco, qualcuna
delle ballerine non era proprio tanto desiderabile, ma accettabile, ed erano sempre i comici a rallegrare la
serata.
LA BRUTTA FIGURA
Ma erano arrivati i giorni delle decisioni perché mi accingevo a lasciare l’Italia. Avevo ringraziato e salutato i
signori dove lavoravo, i quali mi fecero buone referenze in Italiano e in Inglese. Intanto loro avevano già
messo l’occhio su mio fratello Rodolfo, e infatti dopo poco tempo lo assunsero nella Villa.
Meno male che non avevo fatto nessuna promessa solenne alla ragazza “XX” nella quale dicevo vagamente
“tornerò” ma quando chi lo sa!
La N.N. di Capodimonte fu un’altra storia di cui preferisco non parlare.
Fatto sta che avevo speranze di trovare tutto un mondo a modo mio, invece poi trovai l’inferno (ne ho
parlato estensivamente e con tanta emozione nella puntata <dell’emigrazione> sul numero 75). In poche
parole ci feci una brutta figura.
LUCKY LUCIANO
Lucky Luciano fu un’interessante esperienza che mi ha riportato a Napoli recentemente, in quella settimana
di novembre del 1954 prima di lasciare l’Italia. Si sa che senza il passaporto non si andava a nessuna parte
e ci doveva essere lo stampo NULLA OSTA. Andai a ritirare il mio passaporto alla Questura a Via Medina e
come si sa, aspetta e aspetta come era di solito, quando arrivò il mio turno per il rilascio e la firma
improvvisamente scoppiò un tafferuglio. Era successo che un fotografo si era infiltrato abusivamente per
fotografare un signore seduto accanto a me! Ciò era proibito! Ma poi, chi era quell’uomo a fianco a me? Col
cappello tanto elegante e rassegnato, seduti vicini per tanto tempo! Quando scesi al portone della questura
c’erano ancora fotografi ansiosi ed agitati. Domandai chi fosse questo personaggio e la risposta mi lasciò di
sasso: era proprio lui; Lucky Luciano <Salvatore Lucania>, siciliano, il più grande mafioso espulso da New
York. Lui di crimini e quant’altro ne sapeva tanto, ma aveva raggiunto un accordo per il quale invece di
essere carcerato negli USA, gli fu data l’espulsione con rimpatrio forzato in Italia, a condizione di
presentarsi periodicamente presso le autorità italiane, e precisamente alla Questura di Napoli. Allora non
sapevo nulla di quei potentati di New York. Non molto tempo fa qui a Winchester, leggendo un articolo sulla
rivista OGGI, dopo 57 anni l’ho riconosciuto! Proprio lui, Lucky Luciano, in quella foto bianco e nero.
Durante i miei viaggi intorno al mondo ho sempre comprato negli aeroporti libri sulla Mafia, mi
affascinavano tutte queste storie.
Allora io dico: avevo visto il più grande criminale del mondo, Hitler, alla stazione di Mergellina, e poi questo
grande mafioso in questura e tutto per delle curiose coincidenze! Se li vai cercando non li trovi mai, mentre
io me li son trovati di fianco! Curioso, no?
L’INGHILTERRA
Speravo per il meglio, ma non fu così. Trovai Londra tutta affumicata dalle migliaia di ciminiere fumanti, mi
sembrò a prima vista un mondo al buio. Negli “hostel” si doveva dormire, tra una filastrocca di lettini, tra
qualche irlandese ubriaco o qualche polacco e qualcuno di noi emigranti rozzi, ma di un cosa ero certo: Non
sarei tornato indietro per nessun motivo al mondo!
I miei nonni (Glasgow 1889)
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
Un saluto a tutti i roccaseccani!!!
Da Winchester, per l’Eco di Roccasecca
Roberto Matassa