L’Eco di Roccasecca
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Anno 16 n. 82                                               Dicembre 2011
Un altro “angelo” ha raggiunto Fausto Coppi C’erano una volta gli “angeli di Coppi”. Chi erano? Tanto per cominciare non erano  dei semplici gregari, appellativo appiccicato addosso a tutti quei ciclisti che hanno  come compito specifico e prioritario quello di aiutare il campione, o comunque il  leader della loro squadra, a vincere le corse. Gli “angeli di Coppi” erano e sono quel ristretto numero di corridori che hanno  avuto la fortuna di correre in squadra con il grande Fausto votandosi  completamente alla causa del Campionissimo, ma soprattutto instaurando con lui  un rapporto più che confidenziale, direi intimo. In particolare ce ne sono due che da sempre sono identificati come i più vicini a  Fausto : Sandrino Carrea ed Ettore Milano.   I due sono diventati per chi ama il ciclismo una specie di ditta, della serie “Milano  & Carrea”: specialità aiutare e proteggere il più forte ciclista di ogni tempo. Venerdì 21 ottobre Ettore Milano ci ha lasciati e la sua dipartita, 51 anni dopo la  morte di Coppi, ha trovato ampia eco su molti giornali sportivi e non. Il motivo ?  Non certo per le sue vittorie, veramente poche, ma per il suo legame con il grande  Fausto e per essere comunque un simbolo di quegli anni fantastici del dopoguerra. Ettore Milano era diventato un ciclista finendo da ragazzino sotto la guida di Biagio Cavanna, il grande maestro di Coppi e di tanti altri. Cavanna, detto l’Orbo di Novi,  aveva anticipato i tempi creando a casa sua quello che oggi si definirebbe una  “Scuola” o un vivaio. Sceglieva i ragazzi più interessanti della zona riconoscendone  la predisposizione al ciclismo massaggiando fianchi, cuore e torace e ascoltando il  battito del cuore. I prescelti venivano alloggiati in casa sua in due stanzette, tenuti a stretto regime alimentare e allenati secondo i suoi severissimi metodi. Milano finì a casa Cavanna e addirittura si innamorò e sposò la figlia dell’Orbo,  Ada. Ma lì conobbe anche Fausto. Ogni mattina e con qualsiasi tempo i ragazzi di Cavanna uscivano di buonora per  macinare chilometri sulle strade della Liguria e del Piemonte. La raccomandazione  finale di Biagio era questa : “Dai ragazzi in salita tirategli il collo, serve a voi e a  lui”. Lui naturalmente era Fausto Coppi. Anzi come spiega Marco Pastonesi sulla  Gazzetta dello Sport “Lui era il capitano, lui era il campione, lui era il  campionissimo, lui era la maglia rosa, lui era la maglia gialla, lui era la maglia  tricolore, lui era la maglia iridata. Lui era Fausto. Lui era Coppi”. Ettore Milano diventò ben presto con Sandrino Carrea e con Michele Gismondi,  mitico ciclista marchigiano di Montegranaro anch’egli cresciuto nel vivaio di Biagio  Cavanna e nella sua squadra la “Siof”, l’inseparabile guardiano di Fausto. Dopo la  tragica morte del fratello Serse diventò anche il suo compagno di camera. Solo con  loro Coppi si apriva, solo a loro confidava le sue pene, i sentimenti, le emozioni. I compiti erano ben divisi, Milano più furbo ed elegante svolgeva mansioni più  “alte” e assisteva di solito Coppi in corsa sino ai piedi delle salite dove poi  subentrava Carrea, uno che in montagna se la cavava più che bene.   La scaltrezza di Ettore Milano era proverbiale. Un esempio? Giro d’Italia 1953, con Hugo Koblet in maglia rosa e Coppi dietro ad  inseguire.   La mattina della penultima tappa Bolzano - Bormio, quando ormai tutto sembrava  già deciso e gli addetti ai lavori davano per certa la vittoria finale di Koblet, con  una banale scusa Milano fece togliere a Koblet gli occhiali da sole e si accorse che  lo svizzero aveva due occhiaie impressionanti segno di una notte molto tribolata.  Lo riferì a Fausto che, sulla base di quella informazione, quel giorno sferrò un  attacco sullo Stelvio che gli valse la maglia rosa e la vittoria del suo quinto Giro  d’Italia. Una storia d’altri tempi, di un ciclismo fatto a “pane e salame”, ma una storia vera  che fotografa lo spirito antico di un’epoca e la totale dedizione di Ettore Milano al  suo capitano. Anzi al suo “comandante”. Si, perchè così lui lo definiva. “E’ Fausto il  mio comandante” diceva a chiunque lo avvicinasse per proporgli un ingaggio o per  cercare di creare invidie o tensioni nella squadra di Coppi. La Bianchi.  Se n’è  andato a 87 anni, dopo 51 anni ha raggiunto il suo Comandante. Lassù dove  Fausto lo aspettava. Ferdi
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