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Un altro “angelo” ha raggiunto Fausto Coppi
C’erano una volta gli “angeli di Coppi”. Chi erano? Tanto per cominciare non erano
dei semplici gregari, appellativo appiccicato addosso a tutti quei ciclisti che hanno
come compito specifico e prioritario quello di aiutare il campione, o comunque il
leader della loro squadra, a vincere le corse.
Gli “angeli di Coppi” erano e sono quel ristretto numero di corridori che hanno
avuto la fortuna di correre in squadra con il grande Fausto votandosi
completamente alla causa del Campionissimo, ma soprattutto instaurando con lui
un rapporto più che confidenziale, direi intimo.
In particolare ce ne sono due che da sempre sono identificati come i più vicini a
Fausto : Sandrino Carrea ed Ettore Milano.
I due sono diventati per chi ama il ciclismo una specie di ditta, della serie “Milano
& Carrea”: specialità aiutare e proteggere il più forte ciclista di ogni tempo.
Venerdì 21 ottobre Ettore Milano ci ha lasciati e la sua dipartita, 51 anni dopo la
morte di Coppi, ha trovato ampia eco su molti giornali sportivi e non. Il motivo ?
Non certo per le sue vittorie, veramente poche, ma per il suo legame con il grande
Fausto e per essere comunque un simbolo di quegli anni fantastici del dopoguerra.
Ettore Milano era diventato un ciclista finendo da ragazzino sotto la guida di Biagio
Cavanna, il grande maestro di Coppi e di tanti altri. Cavanna, detto l’Orbo di Novi,
aveva anticipato i tempi creando a casa sua quello che oggi si definirebbe una
“Scuola” o un vivaio. Sceglieva i ragazzi più interessanti della zona riconoscendone
la predisposizione al ciclismo massaggiando fianchi, cuore e torace e ascoltando il
battito del cuore. I prescelti venivano alloggiati in casa sua in due stanzette, tenuti
a stretto regime alimentare e allenati secondo i suoi severissimi metodi.
Milano finì a casa Cavanna e addirittura si innamorò e sposò la figlia dell’Orbo,
Ada. Ma lì conobbe anche Fausto.
Ogni mattina e con qualsiasi tempo i ragazzi di Cavanna uscivano di buonora per
macinare chilometri sulle strade della Liguria e del Piemonte. La raccomandazione
finale di Biagio era questa : “Dai ragazzi in salita tirategli il collo, serve a voi e a
lui”.
Lui naturalmente era Fausto Coppi. Anzi come spiega Marco Pastonesi sulla
Gazzetta dello Sport “Lui era il capitano, lui era il campione, lui era il
campionissimo, lui era la maglia rosa, lui era la maglia gialla, lui era la maglia
tricolore, lui era la maglia iridata. Lui era Fausto. Lui era Coppi”.
Ettore Milano diventò ben presto con Sandrino Carrea e con Michele Gismondi,
mitico ciclista marchigiano di Montegranaro anch’egli cresciuto nel vivaio di Biagio
Cavanna e nella sua squadra la “Siof”, l’inseparabile guardiano di Fausto. Dopo la
tragica morte del fratello Serse diventò anche il suo compagno di camera. Solo con
loro Coppi si apriva, solo a loro confidava le sue pene, i sentimenti, le emozioni.
I compiti erano ben divisi, Milano più furbo ed elegante svolgeva mansioni più
“alte” e assisteva di solito Coppi in corsa sino ai piedi delle salite dove poi
subentrava Carrea, uno che in montagna se la cavava più che bene.
La scaltrezza di Ettore Milano era proverbiale.
Un esempio? Giro d’Italia 1953, con Hugo Koblet in maglia rosa e Coppi dietro ad
inseguire.
La mattina della penultima tappa Bolzano - Bormio, quando ormai tutto sembrava
già deciso e gli addetti ai lavori davano per certa la vittoria finale di Koblet, con
una banale scusa Milano fece togliere a Koblet gli occhiali da sole e si accorse che
lo svizzero aveva due occhiaie impressionanti segno di una notte molto tribolata.
Lo riferì a Fausto che, sulla base di quella informazione, quel giorno sferrò un
attacco sullo Stelvio che gli valse la maglia rosa e la vittoria del suo quinto Giro
d’Italia.
Una storia d’altri tempi, di un ciclismo fatto a “pane e salame”, ma una storia vera
che fotografa lo spirito antico di un’epoca e la totale dedizione di Ettore Milano al
suo capitano. Anzi al suo “comandante”. Si, perchè così lui lo definiva. “E’ Fausto il
mio comandante” diceva a chiunque lo avvicinasse per proporgli un ingaggio o per
cercare di creare invidie o tensioni nella squadra di Coppi. La Bianchi. Se n’è
andato a 87 anni, dopo 51 anni ha raggiunto il suo Comandante. Lassù dove
Fausto lo aspettava.
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