L’Eco di Roccasecca
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Anno 17 n. 83                                               Aprile 2012
Anno 17 n. 83                                               Aprile 2012
L’ultimo gol di Giorgio Chinaglia Sono appena tornato dalla montagna, apro l’ipad e vedo la foto di  Giorgio Chinaglia. Ho pensato che fosse un’altra notizia relativa a  qualche disavventura finanziaria, ormai ero abituato a leggere  situazioni del genere accostate al suo nome. E invece no. Stavolta  accanto alla faccia di Giorgione c’era una parola inequivocabile :  morto! Un infarto e fine della storia a 65 anni. Un tuffo al cuore e  tanti ricordi della mia fanciullezza che sono improvvisamente affiorati  alla mente e al cuore. L’Olimpico pieno, una domenica di giugno, io  con mio padre e altri amici nei distinti, il Foggia che si difende in  undici, uno 0-0 che sembra non doversi mai sbloccare. Poi un  lampo, Scorsa che alza un braccio e colpisce il pallone in area,  l’arbitro fischia e indica il dischetto. Giorgio come al solito agguanta  la palla, la tiene sotto un braccio, la sistema sul gesso bianco.  L’Olimpico trattiene il respiro. Giorgio parte a testa bassa e piazza  una botta secca nell’angolino alla destra di Trentini. Poi l’espulsione  di Garlaschelli, la clavicola rotta di Martini, mezzora di sofferenza e  alla fine il fischio finale di Panzino che fa esplodere lo stadio. La  Lazio è campione d’Italia per la prima volta nella sua storia.  Chinaglia è l’eroe che riscatta tanti anni di anonimato, Chinaglia è il  figlio di emigrati che dal Galles è tornato a prendersi una clamorosa  rivincita sulla miseria, nel paese che la sua famiglia aveva dovuto  lasciare. Chinaglia è l’orgoglio di noi ragazzini laziali, di me che  cresco con la Lazio nel cuore. Ho sempre pensato che se anche non  ci fosse stato mio padre a tifare Lazio e quindi ad influenzarmi indirettamente e involontariamente ( non mi  ha mai spinto a tifare nessuno ) avrei molto probabilmente finito per diventare ugualmente laziale. Non mi  sono mai piaciute le squadre “facili”, e dovete ammettere che la Lazio è una fra le più difficili da sostenere.  Minoranza della minoranza. Non solo rispetto alle potenze calcistiche del nord, ma anche in casa propria.  Napoli, Fiorentina, Bologna, sono tutte padrone uniche almeno in casa propria, Genoa e Sampdoria si  dividono abbastanza equamente il tifo della propria città. La Lazio no, è minoranza nella minoranza,  appunto. Solo il Torino forse si accosta in questo alla Lazio, non a caso ha sempre riscosso la mia simpatia. Ecco. Giorgio Chinaglia era arrivato intorno ai miei dieci anni a sollevare improvvisamente, come una  folgore, la Lazio al rango di campione d’Italia. Non era un fine dicitore del rettangolo verde, non era  l’attaccante di classe sopraffina, non era il centravanti capace con una finta di mettere a sedere un difensore. No, Giorgio era potenza pura, era rabbia agonistica figlia della polvere delle miniere del Galles pur essendo  nato a Carrara il 24 gennaio 1947. Era istinto, esaltazione, furore agonistico, testa poca, cuore grande,  generosità all’eccesso in campo e fuori. Era quello che più lo fischiavano, in trasferta, più lui si esaltava e  segnava. Era quello che nelle famose partitelle del giovedì a Tor di Quinto non voleva mai perdere e  costringeva i compagni a stare in campo finché la sua squadra non fosse andata in vantaggio. Era quello che in una domenica dell’anno dello scudetto, con il Verona in vantaggio a fine primo tempo per 2- 1 all’Olimpico, costrinse i suoi compagni a non rientrare negli spogliatoi all’intervallo tenendoli tutti sul campo  davanti ai tifosi. Una cura più efficace di tanti discorsi: dopo pochi minuti della ripresa la Lazio rimontò lo  svantaggio e vinse 4-2. Era quello che giocò la sua più bella partita in Nazionale a Wembley spinto  dall’orgoglio e dall’ansia di riscatto da ex emigrante in terra inglese, regalando a Capello il pallone dell’ 1-0  con cui per la prima volta gli Azzurri violarono il mitico stadio imperiale. Era quello che ai Mondiali non ci  pensò due volte a mandare platealmente “a quel paese” Valcareggi che lo aveva sostituito. Un gesto  clamoroso trasmesso in mondovisione che sollevò un polverone incredibile sino ad essere oggetto di  interrogazioni parlamentari. Poi arrivò il tempo americano, i Cosmos dove giocò dal 1976 per altri 8 anni segnando valanghe di reti in  una squadra che schierava Pelè e Beckenbauer. 208 presenze e 98 reti nella Lazio, 213 partite e 193 gol nei Cosmos, altri 30 reti fra Swansea, Massese e Internapoli prima di approdare alla Lazio. Due volte  capocannoniere con la Lazio, cinque volte negli States. Chiusa la pagina del campo ne aprì altre purtroppo  di tutt’altra specie. Tornò alla Lazio da presidente nel 1985 fra l’entusiasmo popolare dimostrando subito che fare il dirigente non era proprio il suo mestiere. Un’esperienza fallimentare. Debiti e retrocessione. Poi molte  altre disavventure finanziarie fino all’ultima brutta storia per un altro tentativo di scalata al vertice della Lazio  con alle spalle l’ombra della camorra. Per questo non poteva tornare in Italia, con un processo penale  ancora in corso. Per questo è scomparso in Florida, trovato morto dal figlio nel letto. Non mi stava troppo simpatico Chinaglia, lo confesso.   E’ sempre rimasto l’eroe della mia infanzia ma razionalmente non mi piaceva come personaggio. Preferivo  ricordarlo solo con la maglia intrisa di sudore sul campo. Per me era quello e basta. Però la notizia della sua morte mi ha riempito di tristezza, se n’è andata con lui una parte di me. Quelle  domeniche all’Olimpico con mio padre, i panini preparati da mia madre che poi “ini” proprio non erano viste  le dimensioni. Il sapore di un calcio “pane e salame”, di atmosfere che non potranno più tornare. Quel calcio  con i numeri rigorosamente dall’1 all’11, con Ameri e Ciotti che solo ad inizio secondo tempo davano alla  radio i primi risultati parziali, con le immagini sbiadite del primo “novantesimo minuto” con qualche gol della  giornata. Era un altro mondo, Giorgio al mondo nuovo non si era mai adattato. In fondo era sempre rimasto il ragazzo ribelle che in Galles lottava per una maglia da titolare nello Swansea e già faceva baruffa con il  tecnico Morris. Adesso ha raggiunto Tommaso Maestrelli, l’unico allenatore con cui non ha mai litigato, un  secondo padre per lui. Magari con Re Cecconi e Frustalupi mettono su una squadretta per divertirsi un po’. E non importa se non c’è Sky con i suoi deliranti commentatori. Ameri e Ciotti sono lì pronti al rimbalzo di linea.  Già sento Ciotti : “Undecimo della ripresa, Lazio in vantaggio. La rete di Chinaglia su passaggio smarcante  del mediano a sostegno Re Cecconi”. Non c’è spazio per “ripartenze”, “intensità”, “percussioni”. Al massimo  qualche nota sulla “ventilazione inapprezzabile” e sui lanci illuminanti di Frustalupi “interno di regia”. Grazie Giorgio per i miei sogni infantili. “Gli eroi son tutti giovani e belli” come dice Guccini nella  Locomotiva. Ferdinando