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HITCHCOCK, LABIRINTI D’ANSIA
Alla cerimonia del prestigioso premio
dell’A.F.I. (American Film Institute)
consegnato a Alfred Hitchcock a Los
Angeles nel 1979, François Truffaut iniziò
l’omaggio al Maestro pronunciando una
frase entrata nella memoria collettiva di
molti critici, studiosi e appassionati di
cinema: “In America voi chiamate
quest’uomo Hitch, in Francia noi lo
chiamiamo Monsieur Hitchcock”.
Truffaut voleva così sottolineare la
differente percezione che si aveva di
Hitchcock sulle due sponde dell’Atlantico:
ad Hollywood, Hitchcock era stato il
Maestro della suspense, in Francia veniva
considerato un Maestro del cinema.
Questo cambiamento di prospettiva e
considerazione nei confronti di Hitchcock
avvenne verso la metà degli anni
cinquanta in Francia, quando un gruppo di
critici cinematografici appartenenti alla
rivista Cahiers du cinèma iniziò una
riflessione (passata alla storia del cinema
come Politica degli autori) in cui
rianalizzava e rivalutava alcuni registi
hollywoodiani, tra i quali, oltre ad
Hitchcok, ricordiamo John Ford.
Quei critici francesi erano conosciuti con l’appellativo di Giovani turchi, per via della loro
virulenza e passionalità nel compiere analisi a volte azzardate, tra loro Jean-Luc Godard,
Jacques Rivette, Eric Rohmer, Calude Chabrol e naturalmente François Truffaut,
diverranno tutti registi a loro volta e saranno i protagonisti della Nouvelle Vague.
Hitchcock, 1956, di Rohmer e Chabrol è la prima monografia dedicata al regista,
seguiranno altri articoli e saggi, fino ad arrivare al 1963, quando Truffaut pubblica Il
cinema secondo Hitchcock, un volume in cui analizza con il Maestro tutti i suoi film,
dall’incompiuto Number Thirteen (1922) a The Birds (1963); nelle edizioni successive
Truffaut scriverà un’appendice, in cui parlerà dei film successivi, da Marnie a Complotto di
famiglia, l’ultimo film di Hitch un testo quello di Truffaut divenuto in breve un classico
della bibliografia del cinema. Hitchcock come regista si forma in Inghilterra, infatti nasce a
Leytonstone (nella parte nord orientale di Londra) il 13 agosto 1899. A ventiquattro anni
inizia a lavorare nel cinema, alla Gainsborough Pictures dove si occupa di tutto, dalla
sceneggiatura, ai disegni, dai titoli alle scenografie fino al montaggio e all'aiuto regia. Nel
1925 gira il primo film interamente suo, intitolato The Pleasure Garden, tratto da un
romanzo di Oliver Sandys, una storia “melodrammatica e movimentata” ricorderà
Hitchcock a Truffaut. Per il primo film di successo bisogna aspettare appena un anno, è
infatti il 1926 quando esce The Lodger: A Story of the London Fog (Il pensionante), tratto
da un romanzo di Maria Adelaide Belloce-Lowndes; in questa pellicola troviamo uno dei
temi ricorrenti della poetica hitchcockiana: l’innocente accusato ingiustamente di un
crimine, che dovrà impegnarsi per scagionarsi. Critica e pubblico sono entusiasti e
Hitchcock capisce di aver fatto centro: quella per il cinema non è più solo una passione,
ma può diventare un mestiere remunerativo.
Il 1926 è una data importante
anche per la vita privata del
regista, infatti sposa Alma che
rimarrà al suo fianco per sempre,
una longevità sentimentale
abbastanza rara nel mondo del
cinema.
The Lodger è importante anche
per un altro aspetto, è il primo
film in cui appare Hitchcock in
carne ed ossa, cameo, che salvo
poche eccezioni, sarà ripetuto
anche nelle pellicole successive.
L’ascesa di Hitchcock prosegue,
Downhill (Il declino, 1927), Black
Mail (Ricatto, 1929) , Murder!
(Omicidio, 1930) The Man Who
Knew Too Much (L’uomo che
sapeva troppo, 1934, rigirato poi
ad Hollywood nel 1956, con protagonista James Stewart), The Thirty-Nine Steps (Il club
dei 39, 1935), fino a quando nel 1939 il potente produttore hollywoodiano David Selznick
chiama Hitchcock ad Hollywood, il trampolino di lancio definitivo per la consacrazione
mondiale.
Il primo film di cui trattiamo è Shadow of a
Doubt (L’ombra del dubbio, 1943), uno dei
preferiti da Hitchcock stesso.
La storia, dopo un breve prologo in una
metropoli, si svolge a Santa Rosa una
cittadina di provincia, dove tutto appare
filare liscio, fino all’arrivo del sulfureo
Charles, annunciato dall’inquadratura di un
treno che entra in stazione, spargendo il
fumo nero che esce dalla locomotiva (nera
anch’essa) sulla candida stazione. Chi è
Charles? È un poco di buono, Hitchcock ce
l’ha fatto vedere nel prologo mentre si
sottrae al pedinamento-inseguimento di
due detective.
Cosa abbia fatto non lo sappiamo, ma di certo ci lascia straniti la facilità con cui evita la
cattura, infatti Charles è come se si dissolvesse alla vista dei due malcapitati inseguitori;
per poi riapparire perfettamente in ordine, senza una goccia di sudore o un capello fuori
posto.
Il dubbio che s’insinua è che forse abbiamo di fronte un vampiro. Fantasie? Forse, ma
andiamo avanti. Charles decide di trasferirsi per qualche tempo dalla sorella e la
raggiunge.
Con l’arrivo di Charles la sottile ombra del male s'insinua nel piccolo paradiso di provincia.
Un dato caratterizza tutto il film ed è la relazione ambigua tra lo zio Charles e la nipote
Charlie.
Ambiguità conclamata da Hitchcock prima ancora dell’incontro tra i due, con ricorrenti
sequenze nelle quali zio e nipote pur spazialmente in posti diversi (lui ancora nella
metropoli, lei a Santa Rosa) sono ripresi dalle stesse angolazioni, mentre compiono gli
stessi gesti, si capisce come vivano un rapporto privilegiato, basato su una subliminale
comunicazione che sfugge a tutti gli altri.
Una volta riuniti a Santa Rosa Zio Charles e Charlie saranno presenti insieme nella
stragrande maggioranza delle inquadrature del film, fino all’epilogo.
Charlie è una ragazza per bene, intelligente, profonda, di una bellezza composta, eppure
viene attirata in un vortice nel quale rischia di perdere la vita. Infatti quando si accorge
che lo zio è un pluriuxoricida, non esita a cercare di smascherarlo e l’altro cercherà di
evitare di essere smascherato.
Non riveliamo il finale, per non rovinare la
visione a chi eventualmente volesse
vederlo, ma prima di concludere facciamo
qualche altra considerazione.
Rimaniamo ancora su Charlie, una volta
conosciuto il male attraverso Zio Charlie ha
perso la sua innocenza. Questo accade
perché Hitchcock è convinto che la purezza
del
Bene nel momento in cui viene
contaminato dall’impurità del Male non
avrà più il suo primordiale candore, l’aver
contemplato il torbido gli ha svelato
l’esistenza di qualcosa di profondamente
diverso dalla propria essenza e il ricordo
dell’altra faccia di sé rimarrà indelebile.
Hitchcock insiste molto sul confronto
Bene/Male (e continuerà a farlo nei film
successivi) esalta la dialettica tra ordine
(Charlie) e trasgressione (Zio Charles) fino
al
“duello” finale.
Un’altra considerazione riguarda una
ripetuta situazione in cui Hitchcock ama
rinchiudere i suoi personaggi, in particolari
quelli che devono salvarsi: con l’arrivo
dello Zio Charles si viene a creare un
piccolo gruppo chiuso (che coincide con la famiglia di Charlie, formata dai genitori, da una
sorella e da un fratello, entrambi più piccoli) che si trasforma in un microcosmo simile ad
una trappola mortale, da cui è pressoché impossibile fuggire, evadere senza lottare con
tenacia.
Hitchcock, appena arrivato ad Hollywood ricordiamolo, compie una rottura dello schema
classico del cinema hollywoodiano, sommariamente riassumibile in tre fasi:
1.
ordine.
2.
trasgressione (pericolo/minaccia).
3.
ripristino dell’ordine e della sicurezza.
l'ordine (Santa Rosa, Charlie) viene sconvolto dalla trasgressione (lo Zio Charles), ma alla
fine non tutto è come prima.
Shadow of a Doubt ha evidenti squilibri temporali, come spesso accade a Hitch. La prima
parte (57’) scorre più lentamente della seconda (46’) che va dalla scoperta delle
malefatte di Zio Charles, ai drammatici eventi che precedono il tragico finale. Questo
perché nel cinema di Hitch il tempo è un’astrazione, ha un valore meramente soggettivo,
ciò gli consente di concentrare in una durata minima il massimo degli eventi a dispetto
della verosimiglianza.
Perché l’obiettivo finale di Hitchcock è sempre quello di emozionare il pubblico, di
trascinarlo a seguire con il fiato sospeso le vicende da lui narrate sullo schermo, ma come
abbiamo incominciato a vedere con Shadow of a Doubt è la forma della messa in scena a
suggerire che Hitchcock non sia solo un grande narratore di cinema, ma un innovatore
dello stesso linguaggio cinematografico.
Continueremo a parlarne dalla prossima volta, quando ci occuperemo di Notorius.
Gianni Sarro