L’Eco di Roccasecca
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Anno 17, n. 85		                                            Dicembre 2012 Anno 17, n. 85		                                            Dicembre 2012 Da questo numero natalizio dell’Eco accogliamo con piacere un nuovo “collaboratore” che ha vissuto l’infanzia a Roccasecca e che si propone di inviare alcuni profili di personaggi roccaseccani vissuti tra fine anni 50 e gli anni 60. Renzo Marcuz, classe 1948, uno dei tanti che ci ha conosciuto “vagando sui siti roccaseccani” , come lui stesso scrive sul suo primo articolo. Eh già, quel “qualcuno” che aveva scritto tanti anni fa quelle due parole su Sonagliera … era proprio il direttore del nostro giornale!  Diamo il benvenuto a Renzo, che sicuramente sarà apprezzato dai nostri lettori, e lasciamo la sua presentazione alle sue stesse parole, riprendendo una mail da lui inviata al nostro web master Gianfranco: Buonasera Gianfranco come va? mi fa molto piacere ricollegarmi a persone del paese della mia infanzia, luogo importante della mia esistenza e cui sono rimasto molto legato. Ti ringrazio per l'indicazione dei siti in cui andare a curiosare ed anche per le immagini di Peppantonio che riuscirai a farmi avere. Mi aiuteranno a raccontare meglio quel pezzo della mia esistenza che spesso mi ritorna alla mente e nei racconti che spero di scrivere Peppantonio, uno dei primi personaggi che la mia famiglia conobbe quando arrivammo nel 1954 o giù di lì, comparirà senz'altro. Ti allego un breve racconto su di un altro personaggio di quei tempi lontani: Sonagliera.  Ciao. Renzo   Sonagliera  Avrà avuto una cinquantina d’anni a quel tempo Sonagliera o forse anche meno ma questo non lo saprò mai anche se non si può mai dire. E’ stato solo per un caso, infatti, che vagando sui “siti” roccaseccani ne ho ritrovato la foto che qualcuno ha associato alla didascalia “Infine un personaggio, un nome, un mito: Sonagliera!” Questo ritrovamento mi è sembrato la dimostrazione che chi sopravvive a se stesso nella memoria popolare a volte è proprio l’ultimo della scala sociale, quello su cui nessuno avrebbe mai scommesso una lira. Il paria. Ma perché lo ricordo così bene “a Sonagliera”? La risposta è una sola, purtroppo. Lo ricordo così bene perché ho la coscienza sporca e quando ripenso a Roccasecca mi torna alla mente soprattutto per il male grande che gli ho fatto. Certo non da solo, certamente in combutta con qualche altro teppistello, di nove o dieci anni come me, istigato assieme a me probabilmente da qualche “grande”. Ma questo non mi fa sentire meno colpevole. Ma come facevamo noi, così piccoli, a fargli un male così grande? E’ semplice. Innanzitutto quando qualcuno lo vedeva comparire lungo Via Domenico Torriero, mentre la percorreva faticosamente a piedi tornando dalle campagne lontane verso le case dello Scalo, dava subito “l’allarme” agli altri.  “Sta arrivando Sonagliera, sta arrivando Sonagliera!” era il passaparola che si faceva a bassa voce, per non farsi sentire da lui, da chi l’aveva visto fino per primo fino a tutti gli altri. Allora alzavamo la testa dai giochi in cui eravamo impegnati, magari a terra in mezzo all’erba, ed in un momento ci trasformavamo da bambinetti “perbene” in tante piccole belve spietate. Poi scrutavamo attentamente la staccionata di cemento che separava il campetto dove ci trovavamo dalla strada bianca che lui stava percorrendo in grazia di Dio. Alla fine, quando eravamo ben sicuri che non c’erano varchi da cui sarebbe potuto passare per venirci ad acchiappare, cominciavamo a correre verso di lui gridando “Sunagliè, Sunagliè, Sunagliè!”. Allora Sonagliera usciva dalla pace in cui si trovava e ci guardava minaccioso agitando le braccia ma senza proferir parola. Certo, colto di sorpresa, non capiva il perché di quelle urla infantili. “Sunaglié, Sunagliè, in galera ti voglio, in galera! A Porto Longone, a Porto Longone, a Porto Longone !” continuavamo a gridare, spietati, ripetendo parole che non erano le nostre ed andavamo avanti così finché il povero Cristo non si chinava sulla strada bianca a raccogliere qualche sasso per scagliarcelo contro, con gli occhi pieni di rabbia. (Porto Longone è l’antico nome di Porto Azzurro, sull’isola d’Elba, sede di una colonia penale. Ma allora neanche lo sapevo, ndr). Erano grosse pietre che se qualcuna ci avesse preso in testa certamente ci avrebbe “fatti secchi”. Ma ce lo saremmo meritato.  Il divertimento consisteva soprattutto nello schivarle finché ce le tirava, e continuava così per un poco. Poi lui si stancava di cercare di ammazzarci ed anche noi ci stancavamo, che per quel giorno il nostro spasso lo avevamo avuto.  Tornavamo così a giocare in quel campetto vicino alla ferrovia anche se forse, un poco, la coscienza ci rimordeva.  Più tardi, con le prime ombre della sera, dal Palazzone giungevano i richiami dei genitori e rientravamo a casa dimentichi di tutto, anche di Sonagliera. Non sono molte le altre circostanze in cui vidi quel povero Cristo e l’ultima immagine che conservo nella mia memoria è associata a quando andavo a comperare qualcosa in una bottega lungo Via Piave dove lui faceva lavori di fatica.  In quella bottega Sonagliera si aggirava tra il negozio antistante e il magazzino sul retro e, come sempre, era coperto di polvere e spostava, con la solita espressione dolente del viso, sacchi di granaglie o cose simili. Ecco, l’ultima che ricordo è l’immagine di un Sonagliera stanco, dormiente sui sacchi di grano del magazzino con un braccio sulla testa irsuta, a coprire un po’ gli occhi. Il volto, grazie a Dio, non era come al solito dolente, ma atteggiato al sorriso. Voglio concludere affermando che per me il ritrovamento della sua foto è stato comunque una consolazione. “Come una consolazione, che dici?” mi si domanderà.  Ecco, mi consola pensare che in quei momenti, addormentato sui sacchi del grano, Sonagliera sognasse di aver finalmente colto in testa con una pietra qualcuna delle piccole belve che tanto lo tormentavano quando faticosamente, ma in grazia di Dio, tornava a piedi lungo Via Domenico Torriero, dalle campagne lontane verso le case dello Scalo. E che per questo sorridesse. “Perdonami Sunagliè!” gli direi se solo ancora potessi “e continua a sognare”.   Renzo Marcuz  25 marzo 2012 e, per L’Eco di Roccasecca, Novembre 2012