L’Eco di Roccasecca
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Anno 18, n. 89		                                           Dicembre 2013 Anno 18, n. 89		                                            Dicembre 2013
Archivio storico de L’Eco di Roccasecca Dal n. 17 del Novembre 1998 Per questa edizione natalizia restiamo nel campo delle  tradizioni ciociare e riproponiamo un lungo saggio dedicato alle  tradizioni popolari, pubblicato nel lontano 1998 sulla “Edizione  speciale monografica” pubblicata nel novembre di quell’anno,  ben 15 anni fa!  Le tradizioni popolari  Il pianto delle zitelle  Secondo la tradizione, nell’alto medioevo, all’epoca del  movimento iconoclastico bizantino, un monaco si rifugiò in una  grotta nei pressi di Vallepietra per sfuggire alle persecuzioni.   Sulla parete egli abbozzò un disegno raffigurante la SS. Trinità.  Per circa trecento anni la grotta venne abitata dai monaci  benedettini, poi fu abbandonata e dimenticata.   Sul suo successivo ritrovamento fiorì un’altra leggenda: un  devoto contadino che arava sul crinale del monte, vide i suoi  buoi scivolare all’improvviso nel burrone; egli invocò subito la  SS. Trinità e scese a precipizio l’impervio sentiero. Quale fu la  sua meraviglia nel vedere i suoi animali che pascolavano  tranquilli, miracolosamente illesi, dinanzi alla grotta, all’interno  della quale scoprì la sacra immagine.   Ancora oggi è visibile, sullo spuntone dell’altissimo dirupo, un  arnese che i vecchi pensano sia l’aratro del contadino rimasto  impigliato tra i rami sulle rocce. Col passare dei secoli la  tradizione si è arricchita di altri elementi di devozione. Tra  questi, la rappresentazione detta "il pianto delle zitelle", che  costituisce uno tra i più antichi documenti di teatro popolare  italiano, spontaneo e al tempo stesso geniale.   Le "zitelle" - ovverosia le ragazze da marito -si recano in  processione, vestite di bianco, recando seco i segni e gli  oggetti della passione di Nostro Signore. Giunte sulla terrazza  prospiciente il Santuario, raccontano ai devoti, cantando un  motivo popolare, la passione di Gesù Cristo.  La Giostra del Maialino  Quando si dice che il Sacro si mescola con il profano. A Segni (  ed anche a Colfelice) venne elevato a patrono della città San  Gaetano da Thiene, vicentino, vissuto tra il 1480 ed il 1547,  fondatore della Congregazione dei Chierici Regolari, detti  Teatini.   Nel giorno dedicato al Santo, a Segni, tra le varie  manifestazioni in suo onore, venne stabilito di perpetuare una  antichissima tradizione popolare.   Come vedremo questa tradizione, molto simile ad una corrida,  non è, probabilmente, il modo più sereno e tranquillo per  festeggiare il Santo Patrono.   Questa "corrida" in miniatura si svolge dunque annualmente  presso le vestigia dell’antica Acropoli, accanto alla Chiesa di  San Pietro, dove è rimasta una vecchia cisterna per la raccolta  delle acque. La particolarità dell’evento consiste nel fatto che  al posto del tradizionale toro da corrida, viene "utilizzato" un  meno ingombrante maialetto, e che, al posto dei toreri, entrano in  campo dei "cacciatori" bendati che finiscono per darsele di  santa ragione. Vediamo come si svolge. Un corteo di  rappresentanti delle contrade cittadine, vestiti nelle fogge più  strane e bizzarre, percorre le vie del centro fino a raggiungere  la cisterna, dove è stato immesso il povero maialino con un  campanello legato ad una zampa. Altri campanelli similari  vengono attaccati ai piedi dei giostratori, i quali sono anche  bendati. Al segnale convenuto, ciascun concorrente, attirato  dal suono del campanello, che crede essere quello del  maialetto, corre da quella parte menando poderosi colpi di  scopa, e colpendo spesso un altro giocatore.   Da qui l’ilarità della folla che assiste e che con alte grida incita  i concorrenti, spesso indirizzandoli a bella posta l’uno contro  l’altro, soltanto per il gusto di vederli ruzzolare a terra, o darsi  tante "mazzate" di santa ragione, o battere le povere costole  sui lati della cisterna. Dopo una mezz’ora di lotta, la vittoria  andrà alla squadra che sarà riuscita a colpire più volte (!) il  maialetto, e che otterrà come premio l’animale suddetto. Se  pensiamo che San Gaetano prescrisse ai suoi seguaci  "l’assistenza ai poveri, agli incurabili, agli orfani ed ai  diseredati, mediante la costituzione di ospedali ed istituti di  ricovero e di rieducazione", non sappiamo proprio quanto  gradisca questa "giostra" in suo onore proprio nel giorno della  sua festa.  Tradizioni di popolo.  Santo Eleuterio  Eleuterio nacque in Scozia da nobile ed agiata famiglia, si  convertì al Cristianesimo e nel 629 partì, con altri fedeli, in  pellegrinaggio, alla volta della Palestina.   La tradizione racconta che, al ritorno dalla Terra Santa,  Eleuterio (Sante Lauterie in quel di Arce) percorresse la Via  Appia e la Via Latina, per recarsi a Roma. Giunto ad Arce, di  notte, nei pressi della torre, Eleuterio chiese alloggio al  padrone dell’unica locanda esistente, ricevendone in risposta  un netto e sgarbato rifiuto; in più, l’oste gli aizzò contro due  grossi e feroci mastini i quali però, invece di azzannare il  pellegrino, al suo cospetto si fecero mansueti, accoccolandosi  ai suoi piedi.   Il mattino dopo il pellegrino fu ritrovato disteso in terra, morto,  al cui corpo i due cani facevano la guardia, mentre alcune serpi  gli rendevano omaggio lambendogli i piedi; inoltre, la locanda  era invasa di moltissimi animali. Sul corpo fu trovata una  chiave, al cui tocco i cani erano diventati buoni. Si gridò al  prodigio, sicché la gente volle provvedere ad una degna  sepoltura del pellegrino, che venne pubblicamente acclamato  Santo. Tanti furono negli anni i miracoli ad egli attribuiti: guarigioni,  prodigi, superamenti di calamità pubbliche e private, come  riferisce il Corsetti nel suo libro "Arce" del 1957.   Santo Eleuterio è rappresentato, nelle effigi e nelle statue con i  due cani ai piedi, la chiave e la serpe.   Egli è venerato come Patrono di Arce, e protettore dalla rabbia  e dai serpenti velenosi. La sua festa viene celebrata il 29  maggio.  In questa occasione la statua del santo viene portata a spalla  dal Santuario alla Chiesa parrocchiale, lungo un percorso di  circa quattro chilometri, in un tripudio di fiori, ceri e fuochi  d’artificio.  Alcuni fedeli partecipano alla processione a piedi scalzi, mentre  le donne indossano abiti molto sgargianti, pettinature e  ornamenti di foggia antica, recando con sé un canestro  infiorato ricolmo di "ciammelle de Sante Lauterie" (le ciambelle  del santo). Sono grosse ciambelle di pasta all'uovo che  tradizionalmente, al termine della processione, vengono  distribuite ai portatori della statua (che sarebbero: chiglie che  l’affitane), agli organizzatori ed alle autorità. Per una  descrizione più particolare della processione, ci portiamo sulle  pagine del testo di Mario Corsetti precedentemente citato.   Già all'alba la grossa campana suona a distesa. A gruppi si va  al Santuario. Dopo la Messa si forma la processione.   Chi non è potuto andare attende lungo la strada. Molti si  recano "a castello" a far da vedetta per quando spunta, sotto il  ponte di San Martino, l'alto stendardo azzurro.  E quando poi, preceduto dalla interminabile doppia fila di  fedeli, dai "fratelli" della Confraternita in camice bianco,  rocchetto azzurro e bastone alla pellegrino, appare il maestoso  trono dorato con la statua del Santo, lacrime di gioia devota  rigano il volto dei fedeli.  Campana, campanelle, colpi in aria salutano il Santo come se  fosse andato in cielo e tornato in mezzo al suo popolo per  largire nuove grazie e favori divini. Preceduti da solenne triduo  in chiesa, il giorno 29, poi, grandi festeggiamenti che durano  due o tre giorni; processione per le vie del paese, cui  interviene il Sindaco con la Giunta, musiche, fuochi d'artificio.  Non manca il palio che fino a pochi anni fa era  immancabilmente costituito da un vitello e chi giuocava faceva  segnare il proprio nome sul biglietto. Nella seconda o terza  domenica di Giugno, ma con minore solennità e con un senso  di accorata passione nostalgica per il distacco, la statua viene  riportata alla Chiesa Santuario.  Ave, ave S. Eleuterio... Ave, ave gentil Patrono... è il canto che s’innalza al cielo e man mano si spegne nella  piccola chiesetta.  Fino a qualche tempo fa, in onore del Santo, si teneva un  digiuno stretto (diune stritte) il 5 maggio, a base di pane e  acqua. Ma se "il ricordo della tradizione è abbastanza vivo -  osserva A. Germani - la sua pratica va diminuendo di continuo.    Ave, ave S. Eleuterio... La festa della Panarda   Questa tradizione si svolge il 16 agosto, festa di San Rocco,  elevato a Santo Protettore da più di un paese della Ciociaria,  Roccasecca in testa.   A Villa S. Stefano alla festa religiosa è stata abbinata un’antica  usanza popolare.   Dopo il rientro dalla processione, si dà luogo alla "festa della  Panarda", che perpetua l’uso di elargire la pagnottella di pane  ed il boccale dei ceci cotti.   Il rituale prevede che una Commissione, posta in piazza dietro  capaci caldaie, proceda alla distribuzione del pane e dei ceci,  secondo una gerarchia precedentemente individuata. Vengono  fatte le "chiamate", ad ognuna delle quali un portatore, vestito  nel costume tradizionale (calzoncini azzurri, camicia a scacchi  rossi e verdi, basco nero con fiocco rosso), si presenta al  distributore dei ceci e porge il boccale di coccio. L’altro,  manovrando due mestoli, con quello bucato immette nel  boccale i ceci, con quello ordinario somministra il condimento;  poi consegna il sacchetto di pane al portatore, che di corsa si  reca a casa del destinatario, per portare con i doni il  tradizionale messaggio di solidarietà tra i devoti del Santo.  La ballata di Santo Sossio Nella campagna di Castro dei Volsci, sulla riva sinistra del  fiume Sacco, si svolge un caratteristico pellegrinaggio (il 22 e  23 settembre) presso il Santuario di Santo Sossio,  caratterizzato dal fatto che i devoti, anziché marciare  lentamente chiedendo grazie particolari, si recano dal Santo  ballando festanti. Al suono degli organetti, che eseguono  sfrenati "salterelli" i balli si trasformano in gare di resistenza,  fino al limite delle forze.   Ogni tanto ci si ferma, ci si rifocilla con le vettovaglie portate  da casa, all’ombra dei castagni del vicino bosco o lungo la riva  del fiume, per poi tornare a partecipare ad un altro turno di  danze. In mancanza di precisa documentazione, si può pensare che  questo modo singolare di andare in processione derivi da una  sovrapposizione cristiana ad una celebrazione pagana, oppure  all’acquisizione dei balli biblici, accettati nel primo periodo  dell’età cristiana.  La festa di San Martino    Tutti certamente conoscono la festa dell’11 novembre dedicata  a San Martino (315-397), Vescovo di Tours, evangelizzatore  delle Gallie.  In particolare, in Ciociaria, il fatto che tale festa cada nel  periodo della svinatura, dette luogo, con la massima "A San  Martino spilla la botte e assaggia il vino", a tutto un rituale tra  i contadini ciociari, i quali scambievolmente si recavano nelle  case vicine per confrontare i prodotti delle cantine,  centellinando il vino, corroborato da pane casereccio, fette di  prosciutto e pezzi di formaggio. Spesso gli ospiti trovavano,  accanto al ciocco del focolare, la pignatta di coccio, in cui  cuocevano le castagne, altro frutto di stagione.   Le "callalesse" e le "caldarroste" ben si accoppiavano al vino  nuovo, e prolungavano in allegria le fredde serate d’autunno.  A cura del Direttore 
Il Santuario di Vallepietra