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Archivio storico de
L’Eco di Roccasecca
Dal n. 17 del Novembre 1998
Per questa edizione natalizia restiamo nel campo delle
tradizioni ciociare e riproponiamo un lungo saggio dedicato alle
tradizioni popolari, pubblicato nel lontano 1998 sulla “Edizione
speciale monografica” pubblicata nel novembre di quell’anno,
ben 15 anni fa!
Le tradizioni popolari
Il pianto delle zitelle
Secondo la tradizione, nell’alto medioevo, all’epoca del
movimento iconoclastico bizantino, un monaco si rifugiò in una
grotta nei pressi di Vallepietra per sfuggire alle persecuzioni.
Sulla parete egli abbozzò un disegno raffigurante la SS. Trinità.
Per circa trecento anni la grotta venne abitata dai monaci
benedettini, poi fu abbandonata e dimenticata.
Sul suo successivo ritrovamento fiorì un’altra leggenda: un
devoto contadino che arava sul crinale del monte, vide i suoi
buoi scivolare all’improvviso nel burrone; egli invocò subito la
SS. Trinità e scese a precipizio l’impervio sentiero. Quale fu la
sua meraviglia nel vedere i suoi animali che pascolavano
tranquilli, miracolosamente illesi, dinanzi alla grotta, all’interno
della quale scoprì la sacra immagine.
Ancora oggi è visibile, sullo spuntone dell’altissimo dirupo, un
arnese che i vecchi pensano sia l’aratro del contadino rimasto
impigliato tra i rami sulle rocce. Col passare dei secoli la
tradizione si è arricchita di altri elementi di devozione. Tra
questi, la rappresentazione detta "il pianto delle zitelle", che
costituisce uno tra i più antichi documenti di teatro popolare
italiano, spontaneo e al tempo stesso geniale.
Le "zitelle" - ovverosia le ragazze da marito -si recano in
processione, vestite di bianco, recando seco i segni e gli
oggetti della passione di Nostro Signore. Giunte sulla terrazza
prospiciente il Santuario, raccontano ai devoti, cantando un
motivo popolare, la passione di Gesù Cristo.
La Giostra del Maialino
Quando si dice che il Sacro si mescola con il profano. A Segni (
ed anche a Colfelice) venne elevato a patrono della città San
Gaetano da Thiene, vicentino, vissuto tra il 1480 ed il 1547,
fondatore della Congregazione dei Chierici Regolari, detti
Teatini.
Nel giorno dedicato al Santo, a Segni, tra le varie
manifestazioni in suo onore, venne stabilito di perpetuare una
antichissima tradizione popolare.
Come vedremo questa tradizione, molto simile ad una corrida,
non è, probabilmente, il modo più sereno e tranquillo per
festeggiare il Santo Patrono.
Questa "corrida" in miniatura si svolge dunque annualmente
presso le vestigia dell’antica Acropoli, accanto alla Chiesa di
San Pietro, dove è rimasta una vecchia cisterna per la raccolta
delle acque. La particolarità dell’evento consiste nel fatto che
al posto del tradizionale toro da corrida, viene "utilizzato" un
meno
ingombrante maialetto, e che, al posto dei toreri, entrano in
campo dei "cacciatori" bendati che finiscono per darsele di
santa ragione. Vediamo come si svolge. Un corteo di
rappresentanti delle contrade cittadine, vestiti nelle fogge più
strane e bizzarre, percorre le vie del centro fino a raggiungere
la cisterna, dove è stato immesso il povero maialino con un
campanello legato ad una zampa. Altri campanelli similari
vengono attaccati ai piedi dei giostratori, i quali sono anche
bendati. Al segnale convenuto, ciascun concorrente, attirato
dal suono del campanello, che crede essere quello del
maialetto, corre da quella parte menando poderosi colpi di
scopa, e colpendo spesso un altro giocatore.
Da qui l’ilarità della folla che assiste e che con alte grida incita
i concorrenti, spesso indirizzandoli a bella posta l’uno contro
l’altro, soltanto per il gusto di vederli ruzzolare a terra, o darsi
tante "mazzate" di santa ragione, o battere le povere costole
sui lati della cisterna. Dopo una mezz’ora di lotta, la vittoria
andrà alla squadra che sarà riuscita a colpire più volte (!) il
maialetto, e che otterrà come premio l’animale suddetto. Se
pensiamo che San Gaetano prescrisse ai suoi seguaci
"l’assistenza ai poveri, agli incurabili, agli orfani ed ai
diseredati, mediante la costituzione di ospedali ed istituti di
ricovero e di rieducazione", non sappiamo proprio quanto
gradisca questa "giostra" in suo onore proprio nel giorno della
sua festa.
Tradizioni di popolo.
Santo Eleuterio
Eleuterio nacque in Scozia da nobile ed agiata famiglia, si
convertì al Cristianesimo e nel 629 partì, con altri fedeli, in
pellegrinaggio, alla volta della Palestina.
La tradizione racconta che, al ritorno dalla Terra Santa,
Eleuterio (Sante Lauterie in quel di Arce) percorresse la Via
Appia e la Via Latina, per recarsi a Roma. Giunto ad Arce, di
notte, nei pressi della torre, Eleuterio chiese alloggio al
padrone dell’unica locanda esistente, ricevendone in risposta
un netto e sgarbato rifiuto; in più, l’oste gli aizzò contro due
grossi e feroci mastini i quali però, invece di azzannare il
pellegrino, al suo cospetto si fecero mansueti, accoccolandosi
ai suoi piedi.
Il mattino dopo il pellegrino fu ritrovato disteso in terra, morto,
al cui corpo i due cani facevano la guardia, mentre alcune serpi
gli rendevano omaggio lambendogli i piedi; inoltre, la locanda
era invasa di moltissimi animali. Sul corpo fu trovata una
chiave, al cui tocco i cani erano diventati buoni. Si gridò al
prodigio, sicché la gente volle provvedere ad una degna
sepoltura del pellegrino, che venne pubblicamente acclamato
Santo.
Tanti furono negli anni i miracoli ad egli attribuiti: guarigioni,
prodigi, superamenti di calamità pubbliche e private, come
riferisce il Corsetti nel suo libro "Arce" del 1957.
Santo Eleuterio è rappresentato, nelle effigi e nelle statue con i
due cani ai piedi, la chiave e la serpe.
Egli è venerato come Patrono di Arce, e protettore dalla rabbia
e dai serpenti velenosi. La sua festa viene celebrata il 29
maggio.
In questa occasione la statua del santo viene portata a spalla
dal Santuario alla Chiesa parrocchiale, lungo un percorso di
circa quattro chilometri, in un tripudio di fiori, ceri e fuochi
d’artificio.
Alcuni fedeli partecipano alla processione a piedi scalzi, mentre
le donne indossano abiti molto sgargianti, pettinature e
ornamenti di foggia antica, recando con sé un canestro
infiorato ricolmo di "ciammelle de Sante Lauterie" (le ciambelle
del santo). Sono grosse ciambelle di pasta all'uovo che
tradizionalmente, al termine della processione, vengono
distribuite ai portatori della statua (che sarebbero: chiglie che
l’affitane), agli organizzatori ed alle autorità. Per una
descrizione più particolare della processione, ci portiamo sulle
pagine del testo di Mario Corsetti precedentemente citato.
Già all'alba la grossa campana suona a distesa. A gruppi si va
al Santuario. Dopo la Messa si forma la processione.
Chi non è potuto andare attende lungo la strada. Molti si
recano "a castello" a far da vedetta per quando spunta, sotto il
ponte di San Martino, l'alto stendardo azzurro.
E quando poi, preceduto dalla interminabile doppia fila di
fedeli, dai "fratelli" della Confraternita in camice bianco,
rocchetto azzurro e bastone alla pellegrino, appare il maestoso
trono dorato con la statua del Santo, lacrime di gioia devota
rigano il volto dei fedeli.
Campana, campanelle, colpi in aria salutano il Santo come se
fosse andato in cielo e tornato in mezzo al suo popolo per
largire nuove grazie e favori divini. Preceduti da solenne triduo
in chiesa, il giorno 29, poi, grandi festeggiamenti che durano
due o tre giorni; processione per le vie del paese, cui
interviene il Sindaco con la Giunta, musiche, fuochi d'artificio.
Non manca il palio che fino a pochi anni fa era
immancabilmente costituito da un vitello e chi giuocava faceva
segnare il proprio nome sul biglietto. Nella seconda o terza
domenica di Giugno, ma con minore solennità e con un senso
di accorata passione nostalgica per il distacco, la statua viene
riportata alla Chiesa Santuario.
Ave, ave S. Eleuterio...
Ave, ave gentil Patrono...
è il canto che s’innalza al cielo e man mano si spegne nella
piccola chiesetta.
Fino a qualche tempo fa, in onore del Santo, si teneva un
digiuno stretto (diune stritte) il 5 maggio, a base di pane e
acqua. Ma se "il ricordo della tradizione è abbastanza vivo -
osserva A. Germani - la sua pratica va diminuendo di continuo.
Ave, ave S. Eleuterio...
La festa della Panarda
Questa tradizione si svolge il 16 agosto, festa di San Rocco,
elevato a Santo Protettore da più di un paese della Ciociaria,
Roccasecca in testa.
A Villa S. Stefano alla festa religiosa è stata abbinata un’antica
usanza popolare.
Dopo il rientro dalla processione, si dà luogo alla "festa della
Panarda", che perpetua l’uso di elargire la pagnottella di pane
ed il boccale dei ceci cotti.
Il rituale prevede che una Commissione, posta in piazza dietro
capaci caldaie, proceda alla distribuzione del pane e dei ceci,
secondo una gerarchia precedentemente individuata. Vengono
fatte le "chiamate", ad ognuna delle quali un portatore, vestito
nel costume tradizionale (calzoncini azzurri, camicia a scacchi
rossi e verdi, basco nero con fiocco rosso), si presenta al
distributore dei ceci e porge il boccale di coccio. L’altro,
manovrando due mestoli, con quello bucato immette nel
boccale i ceci, con quello ordinario somministra il condimento;
poi consegna il sacchetto di pane al portatore, che di corsa si
reca a casa del destinatario, per portare con i doni il
tradizionale messaggio di solidarietà tra i devoti del Santo.
La ballata di Santo Sossio
Nella campagna di Castro dei Volsci, sulla riva sinistra del
fiume Sacco, si svolge un caratteristico pellegrinaggio (il 22 e
23 settembre) presso il Santuario di Santo Sossio,
caratterizzato dal fatto che i devoti, anziché marciare
lentamente chiedendo grazie particolari, si recano dal Santo
ballando festanti. Al suono degli organetti, che eseguono
sfrenati "salterelli" i balli si trasformano in gare di resistenza,
fino al limite delle forze.
Ogni tanto ci si ferma, ci si rifocilla con le vettovaglie portate
da casa, all’ombra dei castagni del vicino bosco o lungo la riva
del fiume, per poi tornare a partecipare ad un altro turno di
danze.
In mancanza di precisa documentazione, si può pensare che
questo modo singolare di andare in processione derivi da una
sovrapposizione cristiana ad una celebrazione pagana, oppure
all’acquisizione dei balli biblici, accettati nel primo periodo
dell’età cristiana.
La festa di San Martino
Tutti certamente conoscono la festa dell’11 novembre dedicata
a San Martino (315-397), Vescovo di Tours, evangelizzatore
delle Gallie.
In particolare, in Ciociaria, il fatto che tale festa cada nel
periodo della svinatura, dette luogo, con la massima "A San
Martino spilla la botte e assaggia il vino", a tutto un rituale tra
i contadini ciociari, i quali scambievolmente si recavano nelle
case vicine per confrontare i prodotti delle cantine,
centellinando il vino, corroborato da pane casereccio, fette di
prosciutto e pezzi di formaggio. Spesso gli ospiti trovavano,
accanto al ciocco del focolare, la pignatta di coccio, in cui
cuocevano le castagne, altro frutto di stagione.
Le "callalesse" e le "caldarroste" ben si accoppiavano al vino
nuovo, e prolungavano in allegria le fredde serate d’autunno.
A cura del Direttore
Il Santuario di Vallepietra