L’Eco di Roccasecca
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Anno 18, n. 89		                                           Dicembre 2013 Anno 18, n. 89		                                            Dicembre 2013 Sergio Zavoli  e il Processo alla tappa  Il 21 settembre scorso Sergio Zavoli ha compiuto 90 anni. Nato a Ravenna ma riminese d’adozione già dai primi anni di vita e amico d’infanzia di Federico Fellini, Zavoli è uno dei migliori giornalisti italiani di ogni tempo. Nel 1945 si inventa il “Giornale parlato di pubblicità ed informazione” che poi divenne “Finestre aperte”. Una sorta di radiogiornale fatto però dal vivo, con tanto di megafono, girando per le strade di Rimini. Ecco come lo racconta Zavoli : “La guerra era da poco terminata, eravamo nel pieno della ricostruzione, Rimini risorgeva, le macerie pian piano scomparivano, io e mi miei amici però ci accorgemmo che mancava qualche altra cosa, c'erano i gesti, c'erano i fatti, ma mancavano le parole, non c'era nulla che parlasse di noi a noi stessi. Non c'era il giornale, non c'era la radio, perché allora la radio funzionava poco, mancava un momento di condivisione. Io ed altri giovani ci ponemmo il problema di dare a Rimini qualcosa di cui servirsi per ricominciare a parlare di sé stessi. Ci inventammo allora un giornale parlato, di pubblicità, di informazione, che si chiamava Publifono dalle 13 e alle 19, era un giornale radio che entrava dalle finestre, realizzato col megafono. Ci servivamo dei primi cavi che ci avevano dato gli alleati, ma il nostro notiziario e le nostre radiocronache non si sentivano in tutta la città, a volte quando c'era il garbino (il vento di Rimini) ci sentivano solo verso la collina, quando invece c'era la tramontana non si sentiva verso il mare. Era un giornale che entrava dalle finestre, era un giornale che valeva la pena di ascoltare, perché era una novità.    Da Ravenna io feci la radiocronaca dal primo derby Ravenna-Rimini, ricordo la formazione del Rimini di allora: Ghezzi, Pinatti, Bettoli, Bomardieri, Mantovani, Davalbia, Tramontana, Massari.”  Così nasce il giornalista Sergio Zavoli e nel 1947 lascia la sua Romagna per trasferirsi a Roma su invito di un ingegnere veneziano dirigente della Rai che lo segnala a Vittorio Veltroni, padre di Valter, allora capo redazione radiocronache dell’ente radiofonico di stato. Appena arrivato gli affidano la telecronaca di un’ importante partita di calcio, Roma – Fiorentina. “Io che ero abituato a Rimini a trasmettere per sei o sette persone, mio padre mia madre gli amici del porto, non ho pensato in quel momento di essere ascoltato da milioni di persone. Per fortuna davanti al microfono pensavo di trasmettere sempre per le stesse sei o sette persone”. Poco dopo passa al Giornale radio e realizza fra le altre una tragica radiocronaca dell’alluvione del Polesine ( 1951) che resta un esempio di capacità narrativa. Nel 1958 propone per la prima volta alla radio Il Processo alla tappa, un programma di approfondimento e commento che va in onda dopo ogni tappa del Giro d’Italia.  Nel 1960 Enzo Biagi lo chiama a lavorare in televisione a tempo pieno. Qui nel 1962 lancia il Processo alla Tappa televisivo, uno dei programmi che hanno realmente fatto la storia della televisione e del costume in Italia. Un magnifico esempio di giornalismo non solo sportivo ma di approfondimento sociale. Andava in onda dopo la conclusione di ogni tappa del Giro d’Italia da un palco improvvisato nei pressi della linea del traguardo. Si alternavano corridori, direttori sportivi, giornalisti.   Zavoli ha il pregio di spiegare il ciclismo e di farlo commentare ad intellettuali del calibro di Pierpaolo Pasolini, Alberto Moravia, e a giornalisti come Enzo Biagi ed Indro Montanelli. Il Processo alla Tappa parte con il Giro d'Italia del 1962, il programma con la sua immediatezza conquista un pubblico quasi pari a quello del celeberrimo Lascia o raddoppia. Alla fine di ogni tappa Zavoli intervista gli eroi delle due ruote, ma anche i gregari, gli ultimi in classifica e tutti i personaggi minori che animano l'avvenimento sportivo, e che nessuno, prima di Zavoli, aveva pensato di intervistare. Il programma durerà dal 1962 al 1969. Fin dalla prima puntata, 20 maggio 1962, raccolse uno straordinario successo. Sono proprio le storie di piccoli eroi di giornata, ciclisti sconosciuti figli di quell’Italia che si stava appena rialzando e uscendo dal drammatico dopoguerra a catturare l’attenzione dei telespettatori. Per esempio resta nella storia della tv italiana la puntata nella quale Zavoli segue da vicino per l’intera tappa Lucillo Lievore, muratore passato al ciclismo, al suo primo Giro d’Italia. Lievore va in fuga solitaria per 183 chilometri, Zavoli lo segue e lo intervista più volte, durante la fuga, dalla sua motocicletta. Lo incoraggia, lo studia, lo porta nelle case degli italiani : uno di loro, figlio di povera gente, in fuga non solo dal gruppo ma dalla atavica povertà e dal destino quotidiano fatto di mani callose e mattoni da piazzare in fila uno sull’altro. Il Processo diventa un autentico caso nazionale coinvolgendo anche chi non è sportivo. Sugli improvvisati palchi delle varie sedi di tappa si alternano gregari perfetti sconosciuti, campioni di un giorno, campioni autentici, scrittori, grandi giornalisti, intellettuali.   Uno dei personaggi chiave della trasmissione fu il "camoscio d'Abruzzo" Vito Taccone, il corridore abruzzese scomparso il 15 ottobre 2007, divenuto famoso per le sue vittorie ma soprattutto per il suo animo battagliero, in corsa e fuori. Per questo divenne per anni quasi un ospite fisso del programma di Zavoli, che animò con il suo modo schietto di affrontare ogni argomento, infarcendo i suoi discorsi con espressioni dialettali. Parlava della mamma :«Io vinco e lei mi prepara il capretto arrosto. Che profumo, che sapore, caro Sergio», cantava canzoni abruzzesi «Sun salito alla Maiella, la muntagna è tutta in fiore, me paria che passu passu se fignisse all'infinitu», si rendeva simpatico al pubblico per la sua straordinaria genuinità.  Memorabile anche la puntata del 31 maggio 1969 quando Eddy Merckx fu escluso dal Giro d’Italia che stava stravincendo per un’accusa di doping. Quel giorno partecipavano al Processo quattro grandissimi giornalisti: Indro Montanelli, Gianni Brera, Giampaolo Ormezzano ed Enzio Biagi.    Ma Il Processo alla tappa di Zavoli è da ricordare anche perché fu una delle prime trasmissioni della giovane Televisione italiana a introdurre una vera e propria rivoluzione tecnologica. Fu impiegata per la prima volta la moviola, per chiarire eventuali dubbi su un arrivo contrastato; fu usato il radio-telefono per riproporre, alla fine della tappa, collegamenti effettuati durante la corsa. Il primo esperimento riuscito fu con Vittorio Adorni che, in corsa nel 1966, con il radio-telefono intervistò un altro campione in gara, il francese Jacques Anquetil. Tra le invenzioni autentiche usate dai tecnici della Rai in corsa e poi riproposte dal Processo alla tappa ci furono anche strumenti all’avanguardia come l’ampex, il duplex e il triplex. Per le riprese in corsa veniva usata una Fiat 2300 con la camera mobile installata sul tetto manovrata da un cameraman  che seguiva dall'inizio alla fine le tappa dei vari giri d'Italia con all'interno l'elettromotorista addetto alla guida ed il generatore ubicato nel bagagliaio. Nell’auto prendevano posto anche  il regista Mario Conti che sedeva al centro dei sedili anteriori, il redattore Sergio Zavoli che intervistava i corridori con un microfono fissato ad una specie di tubo dal finestrino anteriore destro, il tecnico seduto posteriormente davanti al suo AMPEX, in pratica un videoregistratore portatile di dimensioni elefantiache e sul tetto, esposto ad ogni intemperia, il cameramen. Questa specie di studio mobile ante litteram  ad ogni arrivo si collegava al pullman della regia e creava, letteralmente, giorno per giorno o meglio tappa per tappa il servizio che i telespettatori sportivi  potevano godersi dopo ogni arrivo sul palco del Processo.    La trasmissione si chiuse con il Giro d’Italia del 1969, percorrendo in pratica per intero quello straordinario decennio. Sergio Zavoli continuò a produrre giornalismo di primissima qualità : TV7, A-Z un fatto come e perché, Controcampo, Incontri, sono capisaldi degli anni settanta.  Un suo programma del 1967 nel quale, per la prima volta, le telecamere e il microfono entrano in un manicomio testimoniandone fedelmente la drammatica realtà darà il via al movimento di pensiero che undici anni dopo si concretizzerà nella famosa legge 180 che ne decretò la chiusura. La parabola giornalistica di Zavoli produrrà tanti altri capolavori piccoli e grandi, uno per tutti “La notte della Repubblica” magistrale ricostruzione degli anni di piombo. In occasione del suo novantesimo compleanno, festeggiato dal presidente della Repubblica Napolitano, Zavoli ha ringraziato dicendo  : “Oggi si è dimenticato il racconto della realtà. In televisione ormai tutto è uno spettacolo interpretato da attori. I talk show sono stati una grande novità ma hanno avuto il torto di cancellare il racconto della realtà”.  Parole da sottoscrivere subito. Parole che risuonano ingombranti ogni volta che ci mettiamo davanti alla televisione e ci propinano personaggi e storie prefabbricate, programmi melensi che sembrano avere un unico fine : anestetizzare gli spettatori e la loro capacità di pensiero.  Quanto avremmo bisogno degli Zavoli e del giornalismo d’ inchiesta nella televisione di oggi.   Ferdinando Ottobre 2013