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L’Eco di Roccasecca
Anno 19, n. 90                                            Aprile 2014
Dal Tavor al Tabor,  ovvero la via roccaseccana verso la verità  Ognuno di noi può trovarci la sua. Fra i versi che Aldo Iorio ha raccolto nel libro “Dal Tavor al Tabor”, come lui stesso ha pubblicamente confessato nel corso della presentazione avvenuta nella casa parrocchiale di Santa Maria Assunta in una fredda serata natalizia, ha cercato di seminare dubbi e anche qualche risposta sul senso della nostra esistenza. Personalmente ho assistito alla presentazione insieme alla redazione dell’Eco, praticamente al completo quella sera compreso Renzo Marcuz sbarcato appositamente a Roccasecca per l’occasione, e devo dirvi che non è stata la solita storia che si ripete in simili occasioni. Tante volte mi è capitato di assistere a presentazioni e di scriverne. L’opera esaltata, l’autore incensato, le domande più o meno scontate, così come le risposte dell’autore e di chi conduce. No, stavolta c’era una partecipazione diversa. Oserei dire in sintonia con il contenuto del testo, a partire dalla prolusione di Don Domenico che di certo non ha il dono della sinteticità ma sa come parlare al cuore delle persone. Qualcuno le chiama poesie, ma i versi di Aldo per come li percepisco non sono mera poesia, pur conservando intatta la parte poetica. Sono una modalità, un canale, degli strumenti, per arrivare dentro di noi. In modo diretto. Immediato. Ho spesso pensato che forse ciò accade perché personalmente ritrovo in quelle pagine un affresco tutto roccaseccano. Poi però rileggendo con calma saltando da una pagina all’altra, senza nessun filo logico che non fosse quello dell’istinto e della percezione del momento, mi sono convinto che le storie raccontate nel libro sono storie che possono adattarsi a qualsiasi contesto paesano.   Sono una specie di prototipo di quella provincia italiana di paese che spesso ha costituito, e forse ancora costituisce, il tessuto sociale che tiene insieme le persone con tutti i loro dubbi, crucci, problemi, gioie e dolori. In una parola con la loro vita. Ecco quindi affacciarsi dalla rilettura dei testi una doppia chiave di lettura. Da una parte questo affresco di paese che esce genuino e quasi croccante dalle liriche di Aldo, un sentiero iniziale che si imbocca per entrare in quel mondo. Poi, con una progressione graduale, la scoperta di un filo più sottile ma altrettanto forte che percorre sotterraneo i versi . Versi che puoi scomporre e rimettere insieme come perle che però alla fine vanno sempre ad infilarsi lungo quel filo. Il filo della memoria sicuramente, ma anche il filo del male di vivere, del disagio quotidiano che ognuno di noi si porta dentro e che ti presenta nei momenti più imprevisti il conto di quei dubbi e quelle domande che, come segnali segreti di una pista nascosta, ti portano verso il senso della nostra esistenza. Non è detto che ci si arrivi; sicuramente ognuno cerca in direzioni differenti le proprie risposte agli stessi dubbi. E allora, scusate il paragone che può sembrare  irriverente, ma leggendo questi versi di Aldo “Vulesse truva’ na strada senza fanghe addò n'esistessere né solde né banche na strada senza spedale e campesante addò n'esistessere né ladre i né gnurante” mi si sono presentati nella mente questi altri : “Immagina un mondo senza la proprietà/Mi chiedo se ci riesci/Senza bisogno di avidità o fame/Una fratellanza tra gli uomini/Immagina tutta le gente/Che condivide il mondo/Puoi dire che sono un sognatore/Ma non sono il solo/Spero che ti unirai a noi anche tu un giorno/E il mondo vivrà in armonia”. Mi sembra superfluo indicarne l’autore, John Lennon ed Imagine sono patrimonio dell’umanità per quanto mi riguarda. E sono anche patrimonio intimo inalienabile di molti dei compagni di viaggio che ruotano intorno al nostro Eco, Direttore e Web Master per primi. Accostamenti irrazionali, asimmetrici, intimi. Ma non è il solo accostamento dell’anima che mi evocano le parole che Aldo ha saputo mettere insieme. Sono come pietre lanciate in uno stagno che emanano onde circolari che si allargano sempre di più e raggiungono gli angoli più intimi. Più nascosti di ognuno di noi. Un altro esempio ? Prendete “Diluvie Universale” : “Vabbè, pe falla breve i so gnurante,/ ma so gliù cumandante, /quindi ittate agli pescie gl'industriale, /attore, puliteche i cummerciante /salvate solamente chiglie che ngoppa alla terra ave chiante, /e ittate agliu mare tutte quante. /Chiste è gliù Paradise... poca gente sessaccise!!!”. La leggo e la rileggo perché nella mia mente subito si affacciamo altri versi. Questi : “Prelati, notabill e conti, sull’uscio piangeste ben forte/, chi ben condusse sua vita, male sopporterà sua morte/ straccioni che senza vergogna portaste il cilicio o la gogna/partirvene non fu fatica perché la morte vi fu amica”. “La Morte” Parole e musica di Fabrizio De Andrè. Un altro che il dialetto lo ha usato spesso e volentieri e tutti lo hanno capito. Anche quelli che non erano di Genova. Anche Aldo usa il dialetto e la mia impressione è che lo capiscano anche quelli che proprio roccaseccani non sono.  Voi direte; ma questo è pazzo. Che c’entra Aldo con gente come John Lennon e Fabrizio De Andrè. Niente. Niente. Eh Gianfra’, ma seconde te, gliù poeta la po di’ la verità a stu paese?   Ferdinando Ancona, Marzo 2014 Aldo Iorio Dal Tabor al Tabor - Poesie Roccaseccane pagg.98 - Preta onlus 2013 Richiedibile alla redazione dell'Eco  ciociari@pretaonlus.it  “Dal Tabor al Tavor” segna un percorso di vita che ha portato l’autore a passare, per la morte di suo fratello Giovanni, da uno stato di continua incertezza  e costernazione costringendolo al consumo continuo di un antidepressivo (il Tavor), fino a fargli trovare la strada per il  monte Tabor dove ha incontrato Gesù che gli ha restituito la pace e la tranquillità perdute.  Questo libro di poesie fa seguito ad altre tre raccolte scritte con Romano Filancia: “4 facce toste” (1985), “Apparecchie americane sgancia bbombe i se ne va” (Preta onlus 2002), “Cheste m’abbasta” (Preta onlus 2004).  Aldo Iorio (Vicolo Giovinazzi, Roccasecca 1949) è un poeta di strada e di piazza, luoghi  dove ha vissuto la giovinezza tra tante piccole occupazioni che oggi farebbero solo tenerezza ma che a quel tempo erano la vita dei ragazzi del paese. Le occasioni di socialità erano vissute in modo pieno e intenso: i bagni nel fiume Melfa durante la stagione estiva; le estenuanti partite di pallone giocate agliu campe de Meneca le Mole che era la piazza del mercato; l’insediamento del Circo pieno di attrazioni che riempivano la curiosità degli abitanti. I luoghi di ritrovo poi, subito fuori dalla porta di casa, facevano da sfondo ai loro riti sociali: la fontana con le quattro facce che sputavano acqua; la funtana atterra dove si andava a fumare le prime sigarette e dove si consumavano i  meloni e i cocomeri rimediati di nascosto al mercato; il bar dove si poteva vedere la “Tv dei ragazzi”  con in mano lo scontrino della consumazione che dava diritto alla visione. Tutto questo Aldo lo racconta nelle sue poesie portando avanti, con il dialetto, parole, sentimenti ed emozioni che altrimenti sarebbero persi nell’oceano di una vita uguale e livellata al consumo di tutti...