Spiriti e spiritelli – Prima parte  (1) Non è vero… ma ci credo!
di Renzo Marcuz
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“Ma tu, a Dio, ci credi?”  Quante volte abbiamo sentito questa domanda e quante volte ce la siamo fatta da soli senza essere in grado, magari, di dare o darci una risposta? Ricordo le prime volte, in cui… la questione si pose.  Capitava quasi sempre la domenica mattina, quando, tornando a casa dopo la Santa Messa che avevamo ascoltato nella vecchia chiesa di Don Raffaele,  correvamo  saltando e ridendo verso casa e  normalmente eravamo tutti assieme quelli del Palazzone, cioè io, Nino, Giggino, Rocco, Carmine, Mario, Claudio, Bruno…,insomma un bel gruppetto. Lungo la via ci facevamo piccoli scherzi e chiacchieravamo vagamente del più e del meno precisando subito che vagamente, in questo caso, non vuole significare con superficialità  o incertezza, ma con leggerezza, quella leggerezza caratteristica di chi sta per diventare grande e non vede l’ora che ciò accada. Durante la Messa nella chiesetta lignea di Via Piave il vecchio Parroco era solito ammonirci burberamente a non cadere in tentazione, a stare attenti, a non guardare verso la porta ogni volta che sentivamo un rumore perché oltre quella porta c’era il Diavolo, a non… a non… a non… … . Questo era, più o meno, quanto ci ripe-teva ogni volta che poteva quel vecchio Parroco e noi stavamo bene attenti a non sgarrare, anche se la tentazione, ad esempio, di voltarci verso la porta  ogni volta che lui si distraeva, diventava sempre più forte. Poi, finita la Messa o il Catechismo o quello che era, superavamo con circo-spezione la vecchia porta della facciata lapidea e, constatato che il Diavolo alla fin fine non c’era, ci rilassavamo, quei pochi che si erano davvero preoccupati, iniziando, come ho già detto, il nostro vago ritorno verso casa.  “E agli spiriti, ci credi agli spiriti?” Se la riposta alla prima domanda veniva data di solito rapidamente e in modo defini-tivo rimanendo tutti fermi nelle proprie certezze, la questione degli spiriti apriva spazi sconfinati di riflessione e tempi di notevole durata alle argomentazioni di risposta, e non solo nel caso dei bambini.  Alla prima domanda si rispondeva infatti più o meno unanimemente, magari solo con qualche leggero distinguo, con un: “Si, io a Dio ci credo”. Alla seconda si  rimaneva più… sul vago , che  stavolta significa proprio sull’incerto, prendendola magari un po’ alla larga, abbassando un po’ il tono della voce e non dando mai risposte definitive. “Mi hanno raccontato…” “Ho sentito dire che…” erano gli incipit più comuni delle risposte che venivano date, anche se talvolta qualcuno si sbilanciava addirittura con un  “Ho visto…” “Ho sentito…” . Tutti, comunque, passando magari vicino a qualcuna delle vecchie case spallate, che all’epoca che a Roccasecca Scalo non mancavano, concordavano nell’affermare:  “Ci si sente qualche cosa…”.  Quelle vecchie case, che non erano ovviamente senza palle ma semplicemente diroccate, in rovina probabilmente per gli effetti della guerra che era finita da poco, erano quindi le case degli spiriti, proprio come il Cimitero che oer fortuna era lontano dai nostri percorsi abituali!   Era infatti a sinistra in corrispondenza di un’ampia curva sulla strada per andare al Paese e ben lontano dallo Scalo. Aveva un grande muro di cinta, un ingresso monumentale e, all’interno, tombe e cappelle di pietra o di mattoni. Veniva dopo un altro minuscolo Cimitero di guerra tedesco che era invece sulla destra, che non aveva né mura né altro ma solo tante piccole croci in legno e che poi fu rimosso per farci delle case.  Fortuna davvero che fosse lassù, lontano dallo Scalo, perché altrimenti ci saremmo proprio azzittiti, magari anche di giorno!  Una cosa è certa, se il sentimento religioso, all’epoca, era un qualcosa di pressoché granitico e vissuto con una chiarezza che non chiedeva altro che di appalesarsi,  la superstizione era un qualcosa di oscuro e magmatico, ma non per questo meno sentito, da tenere nascosto anche se, a volte, spontaneamente prorompente.  Ma andiamo con ordine argomentando per capitoli,  per non sprofondare e perderci nell’oscuro magma.     Renzo Marcuz 3 maggio 2014
L’immagine della vecchia chiesa (dal n° 57 dell’Eco)