Metti un giorno a pranzo a Ferrara. Trattoria dell’Archibugio, covo storico del tifo ferrarese. Per Spal – Ancona, visto l’antico gemellaggio esistente fra le due tifoserie era stato organizzato un pranzo in comune. Per l’occasione siamo stati invitati al convivio anche noi giornalisti al seguito della squadra. Devo dire che il Centro di coordinamento dei tifosi spallini ha organizzato tutto magnificamente, e aveva anche previsto la nostra collocazione accanto ai giornalisti di Ferrara. A me è toccato come commensale dirimpettaio il cronista del Resto del Carlino che segue la Spal da molti decenni per cui è stato inevitabile aprire insieme l’album dei ricordi. Nei nostri discorsi si sono affollati volti e nomi di varie generazioni di calciatori e allenatori di Spal, Ancona ma anche altre squadre. La Spal ha vissuto stagioni di grande rilievo sotto la presidenza di Paolo Mazza, un mago di provincia ancora venerato a Ferrara che fra il Cinquanta e il Settanta aveva portato i biancocelesti ad alti livelli. Specializzato nello scovare giovani di talento ma anche nel riciclare e rilanciare calciatori provenienti da grandi squadre ma in parabola discendente. Capello, Reja, Picchi, Zaglio, carpanesi, Bozzao, Novelli, Malatrasi, Gori, Bigon, Dell’Omodarme, Di Giacomo, Bui, Micheli, Corelli, Gasperi, Rozzoni, Olivieri, Galli, Pasetti, Innocenti, Reif, Improta, Bosdaves, Brenna sono solo alcuni dei nomi dei tanti che abbiamo citato nei nostri discorsi. In entrambi la nostalgia per un calcio a misura d’uomo. Ad un certo punto il collega del Carlino mi fa, “guarda, a proposito di vecchie glorie, ti presento uno che è stato un pezzo di storia della Spal”. Io ero seduto di spalle alla sala, quindi non potevo vedere il nuovo arrivato. Lui continua : “ecco Giorgio Gambin, uno che alla palla sapeva dare del tu”. Mi giro e compare la faccia simpatica di Gambin. Un po’ sovrappeso, certo, ma ancora in ottima forma, capelli bianchi lisci spioventi su un viso giovanile, sorriso aperto e una grande comunicativa.  Mi alzo, lo saluto e lo facciamo accomodare a capotavola, proprio accanto a me.   Da quel momento si apre un’altra storia, un autentico tuffo nel calcio della nostra infanzia e giovinezza. Ma soprattutto nelle sue parole e nei suoi racconti un affresco di un mondo semplice e divertente, nel quale i rapporti umani ancora contavano. Spesso più dei soldi e degli interessi. Veneto di Merlara classe 1948, a due passi da Padova, Gambin è stato calciatore di talento, attaccante in grado di ricoprire i ruoli di ala, centravanti e trequartista. Quasi 300 presenze nei campionati professionistici condite da 90 reti : esordio nel Legnago, prelevato da Paolo Mazza in persona e portato alla Spal nel 1966 da allora la sua storia calcistica ha avuto come centro di gravità permanente Ferrara anche se è stato all’Empoli, al Siena, Giulianova, Francavilla, Piacenza, Rimini, Brindisi, Fano e chiusura a Mantova. Un album dei ricordi ricco, ritratti vividi, capaci di restituire intatte la fragranza e l’umanità di quegli anni calcistici. A Ferrara, avendo militato in quattro periodi diversi nella Spal, Gambin è un’istituzione. Come lo è Giovambattista Fabbri, allenatore dell’Ascoli e del Lanerossi Vicenza dei miracoli e di tante altre provinciali che lui, indimenticato profeta del calcio offensivo e spettacolare, faceva giocare senza alcun timore reverenziale anche contro le grandi. Gambin mi parla subito di GB Fabbri, oggi ottantottenne e fino a un paio di mesi fa residente nella sua casa in campagna alle porte di Ferrara. Poco tempo fa Fabbri ha perso la moglie Irene e ora è stato costretto al ricovero per una caduta. Gambin e i tanti suoi ex calciatori residenti a Ferrara e dintorni non lo lasciano mai solo. Come racconta Gambin : “Per me è stato un padre e non solo per me. L’ho avuto come allenatore per sei campionati. Mi ha lanciato nel grande calcio e non mi ha mai assillato con istruzioni tattiche ferree. Guardi il calcio di oggi e sembrano tutti soldatini che si muovono sui binari rigidi. A me Fabbri diceva ‘Giorgio, vai in campo e fai quello che sai fare. Prova sempre la giocata, non temere di sbagliare’ era la sua filosofia di vita. Sapeva far rendere al meglio i suoi calciatori mettendoli tatticamente e psicologicamente nelle migliori condizioni per esprimersi in campo.     Gambin, a sinistra, e Ferdinando  Allontanava ogni pressione, sapeva farci divertire. In tanti anni con lui non ho mai fatto un giro di campo, diceva che la partita era il miglior allenamento. Il più completo.” Gambin si commuove  parlando di Fabbri e si capisce che tipo di rapporto c’era a quei tempi. “Qui a Ferrara ci sono tanti giocatori dell’epoca che lo hanno avuto. Spesso facevamo delle cene con lui per averlo in mezzo a noi. Proprio qui all’Archibugio ci siamo trovati tante volte, serate nelle quali lo spirito di un tempo si manifestava spontaneamente, un rapporto mai interrottosi. Fra di noi quando ci vediamo è come se fossimo ancora negli spogliatoi del Mazza prima dell’inizio di una partita. E GiBi è il padre di tutti noi, prima ancora che il nostro allenatore”. Beh, vi dico che sentire un ex calciatore di quasi settant’anni parlare in questo modo dei suoi compagni e soprattutto di un allenatore che ai tempi lo aveva anche tenuto fuori squadra per farlo maturare allarga il cuore. Viene fuori un calcio fatto di persone vere, di uomini prima che di atleti o tecnici o dirigenti. Un calcio lontano anni luce da quello attuale, un calcio dove i giornalisti non erano nemici da temere ma compagni di viaggio e, qualche volta, amici. Un calcio dove non c’erano procuratori “squali” affamati di soldi, non c’erano lobby che decidevano a tavolino come influenzare arbitri, risultati, carriere, e come ingannare i tifosi. Un calcio forse ruspante, forse non evoluto tatticamente, con pochi lustrini e tanta sostanza. Non che mancassero anche allora pastette e maneggioni, quelli ci sono sempre stati. Ma erano situazioni patologiche, non sistemiche. E comunque bilanciate da un ambiente nella sua generalità sano, genuino, anche aspro e autoritario forse visto che un calciatore poteva essere ceduto ovunque senza nemmeno ascoltarne il parere, ma un calcio nel quale i valori umani avevano ancora un senso. Tornando a Giorgio Gambin, mi racconta come una volta al mese si radunino anche a Piacenza gli ex calciatori che hanno militato in quella squadra negli anni settanta. Il Piacenza di Asnicar, Regali, Valentini, Gottardo, Secondini, Candussi e che Gambin snocciola a memoria. Indovinate chi allenava quella squadra ? GiBi Fabbri, sempre lui. Una squadra che faceva spettacolo, protagonista di una grande promozione in serie b ma anche di una retrocessione molto singolare. Il perché lo spiega Gambin: “A Piacenza quando retrocedemmo dalla serie B nonostante giocassimo sempre bene segnando tanto ( e subendo anche tanto ndr) accadde un fenomeno irripetibile. All’ultima giornata i nostri tifosi nonostante fossimo retrocessi ci tributarono un applauso lunghissimo mentre uscivamo dal campo”. Un altro calcio, decisamente. Il calcio di Giovambattista Fabbri, non un mago di provincia come qualcuno lo ha etichettato, ma un tecnico competente, appassionato e soprattutto convinto che alla base di ogni sua squadra ci dovesse essere l’amicizia e il rispetto. Ah, chiusura del pranzo all’Archibugio : ci alziamo per andare allo stadio, Gambin mi abbraccia calorosamente e mi da appuntamento in tribuna e mi fa : “Io dopo la partita vado in clinica a trovare Fabbri. Capisco che hai da lavorare, ma se vuoi venire sicuramente ci troviamo qualche altro dei suoi ragazzi. Non lo lasciamo mai solo e lui lo sa”. Non ha vinto né scudetti né coppe, ma ha vinto lo scudetto della vita. Almeno per me.  Fred
Ferdinando
FERRARA E GIORGIO GAMBIN: FOTOGRAMMI DI UN ALTRO CALCIO
Sito Promozionale di Cultura del Basso Lazio dell' Associazione onlus PRETA Via Sotto le mura snc - 03041 Alvito (FR) p.i. 02194120602 CIOCIARI.COM   © pretaonlus 2000-2010 - pretaonlus @ gmail.com   L’Eco di Roccasecca Anno 19, n. 94		                                           Dicembre 2014