Spiriti e spiritelli – Seconda parte  (1) La paura fa novanta
Renzo Marcuz
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Se nella prima parte ci siamo andati un po’ pesanti in un crescendo di paura che a volte si avvicinava addirittura al terrore, ora è giunto il momento di rompere gli indugi e di raccontare senza infingimenti tutto quanto era capace di togliere il sonno ai ragazzini del Palazzone in quei lontani anni cinquanta.  Se non a tutti ad uno certamente si. Parlo di me stesso, ovviamente, che pur non essendo mai stato un pavido ho sempre improntato il mio stile di vita ad una certa… prudenza, cercato di evitare rischi eccessivi e smargiassate inutili. A volte, però, i rischi non derivavano da comportamenti fuori misura o magari solo un po’ avventati ma semplicemente dal fatto di non conoscere quanto poteva capitare in circostanze inusuali anche se apparentemente tranquille e sicure.  Ricordo bene, ad esempio, quel giorno che con mio padre andai a fare un giro in bicicletta dalle parti di Castrocielo risalendo fino su al paese dalla Casilina e poi costeggiando la montagna fino a Caprile e a Roccasecca Paese. Era una bella mattinata di primavera e ricordo che fu faticosissimo, per me che avrò avuto otto o nove anni ed una biciclettina con le ruote piccole, guadagnare la quota fin su a Castrocielo, ma comunque, e probabilmente grazie anche a qualche spinta di papà, ce la feci e ne valse la pena. Lo spettacolo della grande valle che si mostrava alla mia sinistra pedalando verso Roccasecca era infatti stupendo come lo è ancora per chi percorre quella strada. Grossi rischi non ce n’erano anche perché le automobili allora erano veramente poche  e per questo, ogni tanto, davo un’occhiata al panorama stando comunque attento a non farmi distaccare troppo da mio padre. Chi poteva immaginare che dopo una curva, non so se tra Castrocielo e Caprile o tra Caprile e Roccasecca, su quella stretta strada sarebbe apparso un imprevedibile, insuperabile ostacolo?  “Un macigno?” No, non era un macigno.  “Un orso?” No, non era neanche un orso, anche se si trattava di esseri viventi, ed pure belli grossi. “Ma cos’era che poteva farti tanta paura tra Castrocielo e Roccasecca in quella mattinata di primavera? Il Diavolo in persona?” Mo’ non esageriamo, il Diavolo certo non era, erano… tre donne, tre donne grandi e grosse, oserei dire corpulente, che camminavano affiancate nella mia stessa direzione. Il problema era che già ero stato distaccato da mio padre, che le donne avevano fianchi e sederi enormi i quali, messi uno accanto all’altro, occupavano praticamente tutta la strada, che indossavano gonne lunghe e ondeggianti, che queste gonne seguivano  ritmicamente il movimento di quei fianchi, che avevano, tutte e tre, brocche o cannate in testa e  guardavano solo in avanti, che chiacchieravano spensieratamente tra loro assolutamente incuranti di chi veniva dietro, che per tutti questi motivi mi era assolutamente impossibile tentare il sorpasso senza rischiare di essere travolto da una eventuale macchina che fosse sopraggiunta, proprio in quel momento, in senso opposto. Che fare quindi per non perdermi per sempre su quella stradina di montagna? Tentai l’impossibile ovvero di passare, tra un ondeggiamento e l’altro, fra loro e la parete rocciosa che era sulla destra. Suonai più volte il campanello, come avevo già fatto in precedenza, ma senza risultati. Allora mi buttai e c’ero quasi riuscito se all’ultimo  momento, forse perché mi ero voltato per dire “Grazie!”, magari con un piccolo sorriso, il manico del manubrio non avesse toccato uno spuntone di roccia facendomi rovinare a terra. Non so quante parti del corpo mi sgrugnai in quell’occasione, di certo molte ma fui prontamente soccorso dalle tre donne che probabilmente provvidero anche a lavare le mie ferite. Poi ricomparve anche mio padre con il quale raggiungemmo finalmente Roccasecca e poi giù di volata verso casa. Finalmente senza pedalare.  Perché ho raccontato questo? Che c’entra con il tema della paura? L’ho raccontato perché i bambini di rischi ne corrono sempre, ora come allora, anche se oggi forse è peggio con le insidie virtuali che si aggiungono a quelle reali. L’ho raccontato perché i bambini, allora come ora, spesso hanno paura ma non sanno a chi rivolgersi. All’epoca, in sostanza, io ero preoccupato non tanto di dover rimanere da solo, quanto, pensate un po’, del fatto che mentre ero solo dalle rocce che sovrastavano la strada potesse all’improvviso… calare un’aquila e che questa mi prendesse per portarmi su in alto, magari al castello di San Tommaso per dami da mangiare ai suoi figli. Sciocchezze? Forse, ma quanti bambini sono scomparsi, scompaiono e scompariranno ancora perché ad un tratto, magari durante una tranquilla mattinata di primavera, all’improvviso sono apparsi un’aquila, un orco, o un maledetto essere umano, si fa per dire, in carne ed ossa? Sappiamo tutti bene che è così.  Ma torniamo finalmente al tema del racconto che è quello delle paure  cosiddette… notturne.