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L’Eco di Roccasecca
Cinema che passione!  secondo tempo
Anno 20, n. 96                                            Maggio 2015
con tanto di eroi e di eroina
Renzo Marcuz
Nel racconto sottotitolato primo tempo ho parlato, come forse si ricorderà, di film rimasti scolpiti nella mia memoria per motivi tra loro assai diversi passando da pellicole di rievocazione storica, come “Pia de’ Tolomei”, ad altre di trasposizione  cinematografica dei grandi romanzi ottocenteschi quale ad esempio  “Il gobbo di Notre Dame”  il cui titolo originale, per la cronaca, era “The Hunchback of Notre Dame”.  Ho infine concluso  con quelle ad ambientazione esotica come “Marocco” il cui titolo originale, sempre per la cronaca, era “Morocco” con due “o”. Molti generi li ho quindi tralasciati ma se l’ho fatto non è stato per fretta o negligenza bensì per la mancanza di prove provate che questo o quell’altro film fossero stati effettivamente proiettati nelle sale di Roccasecca.   Renzo Marcuz con Claudio Iacovella al tempo del cinema alla Stazione  “Emmò chessò‘ste prove provate? Ma ‘ndò stamo, ar cinema o ar tribbunale?” insorgerà a questo punto il mio solito lettore di borgata dimostrando però, ‘stavolta, di essere di memoria corta. Voglio infatti ricordare come le cosiddette prove provate fossero semplicemente quelle relative ai personaggi  dei diversi film e, in particolare, a quelli che a noialtri ragazzini erano piaciuti così tanto da farceli subito reinterpretare nei nostri giochi attorno al Palazzone. E’ per questo motivo che nulla ho detto, ad esempio, dei polizieschi o dei film associabili al genere noir, uno per tutti “Casablanca” con Ingrid Bergman e Humphrey Bogart.  E’ un film che ho visto e rivisto chissà quante volte, che mi ha sempre commosso e che, se lo rifacessero, lo rivedrei altrettante per la sua bellezza e per l’indimenticabile malìa di alcune frasi:  “Suonala, Sam. Suona… mentre il tempo passa”.   E la canzone? Ricordate la canzone? faceva così:   You must remember this A kiss is just a kiss, a sigh is just a sigh. The fundamental things apply As time goes by.  Ma non ricordo tentativi di reinterpretazione dei suoi personaggi nei nostri giochi attorno al Palazzone! Sarà dipeso dal fatto che la storia ci sarà sembrata  del genere un po’ troppo amoroso?  o dalla mancanza di ragazzine disponibili a reinterpretare il ruolo della Bergman? Questo non lo so, ma è certo che le prove provate per questo genere di pellicole non ci sono mai state!  Un filone che invece non posso tralasciare è quello della rievocazione storico-relgiosa, chiamiamola così. Parlo di film che a quei tempi ebbero la loro massima espressione ne “I dieci comandamenti” del 1956, ed anche in “Ben Hur” del 1959, entrambi interpretati da uno strepitoso Charlton Heston.  Il primo fu prodotto dalla Paramount, quella che all’inizio dei titoli di testa mostrava l’immagine di una montagna, tipo Cervino, con un cerchio di  stelle.  Era quello il suo logo, e lo è ancora.	 Il secondo era invece della Metro-Goldwyn-Mayer, quella con il logo del leone che ruggiva e che solo a sentirlo mandava il cuore a mille per l’emozione, a noi ragazzini del Palazzone. Dopo esserci guardati in faccia per l’ultima volta ci davamo di gomito tutti contenti e di botto cessavamo di fare chiasso per seguire con la massima attenzione le gesta dei nostri eroi. Trattenevamo quasi il respiro nell’attesa che iniziasse la prima scena e guai a chi fiatava!  Furono, quelle citate, pellicole a dir poco maestose tanto per il soggetto quanto per gli interpreti, e non mi riferisco solo a quelli principali. Anche la loro durata era… diciamo pure maestosa e richiedeva una tempra notevole tenendo conto del fatto che occorreva star seduti per oltre due ore. A volte anche tre.  Da una veloce ricerca su web ho scoperto infatti che l’insieme dei soli brani musicali de’ “I dieci comandamenti “ durò più di due ore. E’ per questo motivo, chiamiamolo… di resistenza fisica, che quelle pellicole potevano essere viste solo nelle sale di Cassino che erano grandi ed importanti con tanto di platea e di galleria. Avevano poltroncine imbottite, gabinetti che funzionavano ed un soffitto scorrevole che veniva aperto tra il primo ed il secondo tempo. Questo anche per cambiare l’aria dato che all’epoca nelle sale cinematografiche si poteva tranquillamente fumare. Non voglio escludere del tutto che queste megapellicole possano essere state proiettate anche in altre sale del circondario quali ad esempio quelle di Pontecorvo dove però non sono mai stato e che quindi non so neanche quante fossero.  Posso citarle  solo per il fatto che Carnevale, il signor Carnevale che era capostazione e che abitava all’altra scala, spesso ci portava tutta la famiglia facendo la spola più volte con la sua vecchia vespa.  “Stasera iamme agliu cinema” diceva in quelle occasioni ed era tutto contento.  Concludo dicendo che  mi sembra quindi poco probabile la proiezione delle pellicole appena citate nella saletta di Roccasecca Scalo, ed anche in quella su al paese. Ve lo immaginate il pubblico aspettare due ore e passa per guardare il primo o il secondo tempo? Se ne sarebbero viste delle belle!  Ma veniamo al dunque.  La pellicola di rievocazione storico-relgiosa che più mi è rimasta impressa si chiama “David e Golia” è del 1959 e fu interpretata da Eleonora Rossi Drago e da Orson Welles. Sono certo che fu proiettata a Roccasecca proprio per i fatti che vi vado ora a raccontare. Nonostante il giudizio non propriamente lusinghiero della critica il film non mi sembrava poi così… accio, sarà stato perché conoscevo un po’ la storia, letta su di un Antico testamento che avevamo in casa e che i miei genitori mi propinavano ogni volta che cadevo ammalato.  E di malattie i ragazzini ne avevano spesso; da quelle vere, tipo varicella, morbillo, orecchioni, tosse convulsa e chi più ne ha più ne metta, a quelle per così dire tattiche che venivano ogni volta che la voglia di andare a scuola scendeva ai minimi storici.	 Ma non è questo il punto anche perché le cure che i genitori mettevano in campo in quelle occasioni erano di un’efficacia  davvero unica. Prima di parlare della nostra pellicola e del motivo per il quale la ricordo così bene voglio solo fare un ultimo breve inciso su come si svolgevano i nostri passatempi rievocativi, i giochi attorno al Palazzone ed anche sulle raccomandazioni che ci facevano puntualmente i nostri genitori.  Durante il pomeriggio, fatti i compiti, eravamo liberi di fare sostanzialmente tutto quello che ci pareva purché non uscissimo dalla portata di un tiro di voce delle nostre mamme che potevano sempre avere bisogno di qualcosa o che ci richiamavano a casa per la cena. La prima raccomandazione era quindi quella di non allontanarci troppo e poi anche di non farci male con gli oggetti che usavamo per giocare, soprattutto le spade fatte con i rami di un vecchio pioppo che per questo motivo era sempre tutto spelacchiato.  Per lo meno fino ad una certa altezza; i sassi, poi, dovevamo lasciarli per terra. Tutto andava bene e filava liscio fino a che di queste raccomandazioni ce ne ricordavamo, ma poi, inevitabilmente, cominciavamo a tirare sassate a bersagli di tutti i tipi: barattoli, bottigliette ed anche il tronco dell’albero spelacchiato. A volte li lanciavamo semplicemente a distanza, in direzione dal passaggio a livello 122, facendo a gara a chi arrivava più lontano. Quando poi cominciammo a costruirci le prime fionde con forcelle di legno e strisce di vetuste camere d’aria delle biciclette la situazione, tutto sommato, rimase sotto controllo anche perché i bersagli che sceglievamo erano sempre in posizione abbastanza sicura con ampi spazi liberi alle spalle, dove il sassolino vagante poteva perdersi in assoluta tranquillità.  Forse le meno tranquille erano le galline che nel pomeriggio venivano liberate dalle proprietarie e girovagavano per il campetto oltre la linea dei pollai cercando vermi  e insetti vari tra l’erba alta. Quando le vedevamo arrivare era difficile resistere alla tentazione di tirargli una botta di fionda, ma, tutto sommato, la situazione era ancora abbastanza tollerabile, forse anche da parte delle stesse galline.  Quelle che tolleravano meno, invece, erano le proprietarie che all’imbrunire comparivano da dietro la linea dei pollai e cominciavano a richiamarle. Ogni donna aveva un suo richiamo particolare che galline e tacchini riconoscevano immediatamente e lo dimostravano zampettando veloci, ognuno verso la propria baracchetta, dove sapevano che avrebbero ricevuto una buona dose di granturco. Se qualcuna si confondeva con le altre non c’era alcun problema perché veniva infallibilmente riconosciuta dalla legittima proprietaria attraverso il controllo di un laccetto di stoffa che teneva legato alla zampetta.  Non c’era alcuna possibilità di errore, altro che i microchip che si usano oggi!  Con i figli i richiami delle mamme funzionavano un po’ meno e le dosi che si ricevevano al rientro erano sempre di rimproveri condite con minacce varie. “Scostumato, le vuoi lasciare in pace le mie galline con quella fionda? Stavolta glie lo dico io a tua madre, poi vediamo!!!” Questo era quanto spesso mi toccava di ascoltare aspettando che la signora di turno, giustamente inferocita, se ne tornasse a casa. Ma comunque fin qui, ripeto, nulla di grave, o per lo meno non eccessivamente.  La situazione precipitò nella la catastrofe più tremenda dopo la proiezione dell’ultimo film che ho citato, “David e Golia”, che accese in tutti noi un incontenibile spirito di emulazione. Come facevamo, infatti, a non sentirci tanti piccoli David animati dall’unico desiderio di abbattere l’invincibile gigante Golia, simbolo di tutti i mali e somma minaccia per il popolo di Israele? C’è anche da dire che David usava una fionda piuttosto semplice da costruire, bastavano due pezzetti di spago ed un rettangolino di tomaia per reggere il sasso e per costruirla non occorreva più di procurarsi le strisce di camera d’aria e soprattutto quelle forcelle di legno così difficili da reperire attorno al Palazzone, con i pochi alberi che c’erano. Un difetto, però, quelle fionde lo avevano, erano difficilissime da usare. Dopo aver messo il sasso nel suo alloggiamento occorreva farlo dondolare avanti e indietro, rimettendolo al suo posto ogni volta che cadeva a terra. Poi, dopo che ci si era presa un po’ la mano, si cominciava a fare una rotazione con il braccio e con la spalla e la fionda, armata del suo bravo sasso, veniva fatta passare più volte, e sempre più velocemente, sopra la testa. Quando alla fine la velocità ci sembrava giunta al massimo, ed il bersaglio era stato ben inquadrato, allora si mollava uno dei due pezzetti di spago seguendo poi con lo sguardo il proiettile per vedere dove andava effettivamente a sbattere. Sembra facile! Di fatto era invece un esercizio difficilissimo che richiedeva una perfetta coordinazione dei movimenti ed un precisissimo calcolo del tempo, risultati assolutamente impossibili da ottenere da parte di frombolieri alle prime armi. Quando lasciavamo lo spago il sasso prendeva le direzioni impensate e spesso rischiavamo di colpirci tra di noi. E’ per questo motivo che la nostra palestra divenne quel pezzo di terra di proprietà ferroviaria sulla destra Via Domenico Torriero, andando verso fuori, e posizionato, più o meno, di fronte alla casa di Cupone. Era un posto dove lui teneva enormi tronchi d’albero in attesa che stagionassero perché qualcuno poi li comperasse e dove potevamo allenarci con una certa tranquillità e senza eccessivi rischi di incidenti. Bastava solo stare attenti a fermarsi quando passava il treno, che se avessimo beccato un viaggiatore mentre magari stava beatamente fumando una sigaretta affacciato al finestrino allora si che sarebbero stati dolori!  Finalmente, dopo un po’ di tempo, sembrò che fossimo diventati tutti perfetti lanciatori ma forse fui solo io a considerarmi tale, non posso ricordarlo con precisione dopo più di cinquanta anni!  Ricordo però un bel pomeriggio, che poi si trasformò in bruttissimo, quando mi misi a giocare con la fionda di Davide  proprio nel giardino con l’albero accanto al Palazzone; quello dalla parte della Stazione per capirci.  Non so se sbagliai subito o dopo un poco e non so neanche se sbagliai per eccesso di sicurezza oppure per stanchezza, fatto sta che ad un tratto il sasso prese una traiettoria assolutamente imprevista andando a colpire il vetro di una finestra al terzo piano, che si lesionò completamente. Fortunatamente non si ruppe ma la disgrazia volle che quella fosse proprio la finestra dietro la quale era solita star seduta una vecchina, anziana nonna degli inquilini di quella casa, la famiglia Patamia.  Gente assolutamente riservata, molto perbene che non si sentiva mai e che aveva un figlio giovanotto, avvocato.  Anche lui molto perbene ed anche lui che non si sentiva mai.  La sassata provocò una violenta, peraltro giustificatissima, fragorosa reazione in quella famiglia normalmente così quieta. La vecchina si spaventò a morte, forse gridò o svenne, non so, e qualcuno scese a farsi sentire da mia madre, ignara di ogni cosa, chiedendole immediate spiegazioni. Io ero terrorizzato. Mi sembrava che quel pomeriggio tranquillo ed anche un po’ noioso si fosse di colpo trasformato nel giorno più infelice della mia vita e forse per alcuni versi fu proprio così. Non pensai però di scappare e dove sarei potuto andare? Mi consegnai quindi immediatamente a mia madre ed attesi a casa gli eventi che si sarebbero sviluppati, a sera, con il ritorno di mio padre. Degli sviluppi è inutile parlare, come è facile immaginare furono molto, molto… concreti, ma il peggio doveva ancora venire.  Mio padre mi obbligò a salire al terzo piano e ad entrare in quell’appartamento dove non avrei mai pensato di dover mettere piede. Poi mi fece chiedere scusa in ginocchio davanti alla vecchina che si commosse e mi carezzò il capo, perdonandomi.  E non era finita! Nei giorni che seguirono papà ordinò un vetro a Cassino per la sostituzione di quello lesionato e mi obbligò ad andare a ritirarlo da solo prendendo, sempre solo, il treno dell’andata e quello del ritorno. Poi fece la riparazione e l’incidente poté finalmente considerarsi concluso.  Non voglio giudicare mio padre per la pena che mi inflisse, forse fu adeguata al delitto che avevo commesso, o forse no; del resto io ero suo figlio e lui era figlio del suo tempo. A volte penso che  oggi le cose sarebbero andate in un altro modo, o forse no; mio padre su certe cose non scherzava e probabilmente non avrebbe scherzato neanche oggi.  Di una cosa sono assolutamente certo:  dopo quel terribile pomeriggio della fine degli anni cinquanta di fionde alla… re Davide non ne ho più voluto sapere, e neanche di inutili stragi ed ammazzamenti.  Piano piano cominciavano a piacermi di più i film d’amore, magari con ambientazione  ciociara come “Pane amore e fantasia”, e certo era naturale che andasse a finire così. Ma che ora abbiamo fatto?  E’ tardissimo, vorrei tanto continuare ma non posso anche perché sul vecchio telone consunto si legge ormai la scritta Fine  Renzo Marcuz 16 settembre 2013
“Suonala, Sam. Suona…”
Il maresciallo e la “bersagliera”… altro che “David e Golia”!