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L’Eco di Roccasecca
Anno 20, n. 99                                            Luggio 2016
Ferdinando
Il Cibo a Roccasecca ha nome e cognome  Non esiste il cibo anonimo a Roccasecca. E’ pur vero che la massificazione della distribuzione sta gradualmente, purtroppo, penetrando anche i paesi. Però a Roccasecca la filiera alimentare è generalmente ancora molto corta e per lo più non servono etichette esplicative e certificazioni varie per attestare la genuinità di un prodotto. Tutto si basa sul nome. Almeno nell’ambito di familiari e conoscenze, ma non solo. Capita da sempre che esistano prodotti che non avranno un logo famoso ma presentano un marchio di fabbrica magari invisibile ma, in loco, altrettanto noto e indelebile quanto quelli più celebrati. Tutti conoscono marchi e prodotti come Coca Cola, Nutella, Gentilini, Barilla, De Cecco, e via dicendo. In alcuni casi si tratta di brand di multinazionali e colossi industriali, altri sono espressione di autentiche eccellenze dell’industria alimentare italiana. Ci sono poi prodotti legati ad una zona di origine ben identificata. Tutti o quasi conoscono le mele della val di Non, le orecchiette di Puglia, i pistacchi di Bronte, i capperi di Lampedusa, i pomodori Pachino, il dolcetto di Alba, i ricciarelli di Siena, le olive ascolane, lo stoccafisso all’anconetana, la bistecca fiorentina e potremmo continuare all’infinito. A Roccasecca è un po’ diverso. Esistono autentici prodotti ormai identificati con le zone di provenienza. In tutto il circondario, direi in tutti i mercati della bassa Ciociaria d’inverno troverete “i broccoli di Roccasecca” disponibili peraltro anche lungo la via Casilina all’incirca dai confini con Colfelice sino al Ponticello di Caprile sugli appositi banchetti esposti dai coltivatori che li raccolgono ogni mattina direttamente dal campo. Ma quello che rende ancora particolare il rapporto fra il roccaseccano autentico e il cibo è il vero marchio di fabbrica paesano. Cioè l’abbinamento fra i vari tipi di prodotti e piatti e chi li produce o, addirittura, cucina. Mia madre ormai ne è l’esempio classico con i suoi arcinoti e famosi supplì.                   I supplì di Maria, versione 16 luglio 2016   Quelli da lei cucinati indifferentemente per tante generazioni di amici, figli di amici, amici degli amici, alunni suoi e di altri, adunate religiose, gruppi di preghiera, squadre di calcio e di calcetto, nipotini diventati poi nipotoni, amici dei nipoti, gruppi della parrocchia, scout, musicisti, zampognari, giardinieri, medici, avvocati e così via, sono ormai identificati invariabilmente in paese con un autentico marchio di fabbrica. Per tutti sono “i supplì di Maria”. Lo sanno tutti, li conoscono tutti, li hanno mangiati tutti. Estate e inverno, autunno e primavera, con il freddo glaciale e il caldo agostano, non c’è stagione, non c’è orario. L’ordine può arrivare dall’amico che ha un piccolo rinfresco familiare o da chi un dato giorno ha una gita in montagna. Un picnic o una riunione fra amici, una cena fredda o un pellegrinaggio. Ogni occasione è buona. I “supplì di Maria” sono come il pane dei poveri: non si negano a nessuno. E piacciono a tutti. Famoso l’episodio dell’alunno che insieme ad altri andava da mia madre al pomeriggio per le ripetizioni. Il vivace bambino era reduce insieme ai sui compagni e compagne da una lezione di catechismo durante la quale era stato loro spiegato che il buon Dio chiede a tutti di dividere il pane con il prossimo. Anche nelle lezioni pomeridiane ai suoi alunni mia madre non faceva mai mancare la merenda, spesso a base dei famosi supplì. Quel pomeriggio Maria servì il piatto fumante al centro del tavolo dove i bambini erano applicati ai loro compiti.  Al break merenda il bambino di cui sopra scattò verso il piatto accaparrandosi la stragrande maggioranza dei supplì. Una candida bambina vide che non ne sarebbero rimasti per lei e allora si rivolse a mia madre, lamentandosi della furia mangereccia del suo amichetto. “Maestra, guarda Giuseppe, sta mangiando tutti i supplì”. Mia madre intervenne con il piglio e il carisma della vera educatrice sperimentato in una vita da insegnante richiamando il reprobo: “Giuseppe, non devi comportarti così. Non devi essere egoista. Te l’hanno spiegato anche al catechismo, Gesù vuole che tu divida il pane con i tuoi compagni”. E il buon Giuseppe a bocca piena: “Si Maestra, Gesù dice che dobbiamo dividere il pane con gli altri mica anche i supplì”. Da applausi.  Ma i “supplì di Maria” sono soltanto un esempio. A Roccasecca nelle cerchie familiari, amicali, vicinali, ogni cibo ha il suo marchio di fabbrica. Così capita di vedersi recapitare “le salsicce di Tommasina” oppure “i peperoni di Maria la pontecorvese”. Una volta c’era “il pane di Rundeglie” che mio padre comprava ogni mattina, esiste “la pizza di Lombardi”, così come “il parmigiano di Lina”, famose un tempo “le sfogliatelle di Vittorina” e pure “gli scivolenti di Leda” cioè gli spaghetti agli e olio buoni anche a mezzanotte. Una tradizione ripresa purtroppo infrequentemente da Miria. Scavando nella memoria c’era a casa mia “il vino di Pasqualino”, mentre Angelo e Mirella ricorderanno certamente “la pizza e i dolcetti del forno di Pasqualina”.  Oggi esistono ancora “i broccoli di Teresa” scoperti dal Trapper in zona San Vito, con la signora Teresa diventata ormai fornitrice ufficiale di casa Vicini a Roccasecca ed anche ad Ancona. E, udite udite, cominciano a farsi largo anche prodotti che non sono propriamente classificabili nella tradizione culinaria roccaseccana. Ciononostante non sfuggono alla regola del “marchio di fabbrica roccaseccano”. Un esempio? Se passate durante le mattine d’estate dalle parti di casa del Trapper sentirete il profumo inconfondibile del caffè “americano”. Che poi americano non è trattandosi del caffè “belga” magistralmente preparato da Marie France. Eccolo pronto il marchio di fabbrica: “il caffè di Marie France”.  Del resto la proprietaria del marchio è una roccaseccana ampiamente naturalizzata, per molti versi ormai più roccaseccana dei roccaseccani. Una curiosità: il “caffè di Marie France” ha ormai varcato i confini di Roccasecca, viene preparato anche in un certo ufficio di Pescara grazie alla fornitura di attrezzatura e prodotto da parte della stessa detentrice del marchio. Del resto non siamo in piena epoca di globalizzazione? Roccasecca si adegua, ma alla roccaseccana. Cambia nel segno della tradizione. Basta che se magna. E se beve.  Ferdi  * * * * * * * * * * * * *   Mi pare che il caro Ferdi in questa veloce cavalcata sui cibi “ad personam” delle contrade di Roccasecca abbia dimenticato proprio sua sorella! Ed allora, prima che si scatenino lotte intestine (si parla di cibo!), interviene il Direttore a difesa della cuginetta che tante volte lo ha gratificato con la famosa “crostata di Mietta”, che è diventata ormai un classico culinario delle famiglie Vicini – Sarro. La qualità del dolce in questione supera di gran lunga quella riscontrabile in tutte le pasticcerie frequentate in 60 anni dallo scrivente! La foto acclusa può dare solo un’idea iconografica ma non del gusto al palato. L’articolo ha dato spunto ad una sicura seconda puntata in cui si parlerà, tra gli altri, della “pastasciutta di Gianfranco” e degli “intrugli di Vincenzo”. Ad maiora. Il Direttore                   La crostata di Mietta in versione bicolore (gennaio 2016)