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L’Eco di Roccasecca
Anno 20, n. 99                                            Luggio 2016
Riccardo
Sull’onda dell’ennesima Italia-Germania  Il gommone di Angelo Domenghini                       Domenghini a Mexico 70 (fonte web)  Di questi noiosi Campionati Europei di Calcio, in cui poco bel gioco si è visto, rimangono a mio avviso due momenti di un certo interesse. Del primo faccio solo un rapido accenno perché se ne è parlato così tanto e c’è poco da aggiungere, ma merita la citazione; parlo della sorpresa Islanda, del saluto dei suoi giocatori ai propri tifosi, con quel curioso modo di battere ritmicamente le mani. Una popolazione che è inferiore a quella del quartiere di Roma dove abito, ha seguito con gioiosa partecipazione e, neanche a dirlo, senza la minima violenza le gesta dei propri beniamini arrivati tra le prime 8 nazioni europee, un traguardo inimmaginabile fino a pochissimo tempo fa. Sembrano lontani i tempi in cui il Reykjavik ne prendeva 12 dal Feyenoord! L’Islanda ha scritto belle pagine di sport e gliene saremo sempre grati. La seconda grande emozione è stata data dall’ennesima sfida tra Italia e Germania. Avessero perso anche stavolta in cui erano nettamente favoriti, per i tedeschi si sarebbero aperte le porte di qualche ospedale psichiatrico!   Avete presente i film della Pantera Rosa in cui l’ispettore Capo Dreyfuss, tenta disperatamente di mantenere un equilibrio mentale pur avendo a che fare quotidianamente con quel matto di Closeau – Peter Sellers? Grazie alla dabbenaggine dei nostri tiratori scelti che non hanno saputo approfittare dei 2 errori sui primi 3 tiri dei tedeschi, la serie positiva azzurra contro i tedeschi si è infranta dopo tanti anni. Abbiamo evitato loro la psicanalisi, ma dalla prossima ricominceremo a vincere, ne sono certo! Ovviamente in quei caldi giorni si è rivisitata in tutti i modi la sfida Italia-Germania, partendo dalla cosiddetta “partita del secolo” del giugno 1970 allo Stadio Atzeca, quel 4-3 che ancora fa vibrare i cuori dell’intero mondo pallonaro. Non ho resistito e sono andato a vedermi su Youtube i famosi supplementari, sia nella telecronaca originale di Nando Martellini, sia nella radiocronaca (mai ascoltata finora) dell’immortale Enrico Ameri.                      Due particolari mi hanno colpito su tutto. Ho rivisto per l’ennesima volta il secondo goal di Gerd Muller e l’immediata vendetta di Rivera, quel passaggio dalla delusione, dall’amarezza, dallo scoramento, alla nuova esaltazione.    Rivera non è riuscito a fermare il colpo di testa di Mueller, Albertosi inviperito lo insulta a lungo!  E mi sono trovato a fare questa riflessione: che calcio assurdo quello del 1970! Un giocatore realizza il gol decisivo nella partita definita "del secolo" e fa appena un saltello, non si denuda, non corre con lo sguardo invasato, non mostra tatuaggi dal collo ai polpacci, non lancia urli liberatori contro il mondo intero che lo odia, non rivolge saluti e ringraziamenti al Signore ed ai suoi defunti che dal Cielo lo hanno aiutato perché SANNO che lui è giusto mentre il portiere avversario è cattivo... niente di tutto questo... anzi, soffermatevi sui fotogrammi dal 55° secondo in poi: dopo un primo tiepido abbraccio dei compagni egli si avvia a capo chino verso il centrocampo, con passo quasi mesto, ignorato persino dai suoi stessi commilitoni... e non si sistema la cresta! E che cresta gli sarebbe venuta con tutti quei capelli!!! Ma sì, meglio così, in fondo non era mica Flavio Destro o Mario Balotelli, semplicemente... Gianni Rivera, Stadio Azteca di Città del Messico, 17 giugno 1970.                            Rivera ha segnato, Mayer si dispera  E sono arrivato al minuto 120, quando la difesa italiana spezza l’ennesimo tentativo del velocissimo Held e riparte verso il centrocampo. Sulla fascia destra viene servito Domenghini, che appare ancora più sfinito nella sua impressionante magrezza.   Mi aspetterei un controllo di palla lungo la linea laterale, magari solo per prender tempo. E invece sfidando la stanchezza e l’altitudine di Città del Messico, Domingo parte veloce per un’ultima sgroppata sulla fascia, con tanto di cross verso il centro area avversario. Incredibile, inconcepibile, mitologico! Come ci mancano questi tipi di calciatori, che prima ancora di essere campioni erano uomini, spesso partiti dalla miseria, sempre pronti al sacrificio fino all’ultima goccia di sudore. Angelo Domenghini è stato poi anche allenatore e mentre parlavo al telefono con Ferdinando raccontandogli la mia emozione nell’aver rivisto quelle immagini, lui ha immediatamente messo in tavola un ricordo del Domingo allenatore. Correva l’anno 1987/88 e il buon Domenghini era riuscito a mantenere la Sambenedettese in serie B con un sudato ed onorevole 14° posto. Il presidente Ferruccio Zoboletti lo convoca e gli chiede di scegliere un premio speciale per la raggiunta salvezza. Lui ci pensa un attimo e poi chiede un “gommone”, dal momento che a San Benedetto del Tronto c’è il mare, potrà utilizzarlo piacevolmente. Capito? Non un Rolex d’oro, non una spider ultimo modello, ma un semplice gommone. Questa è storia. Questo è Angelo Domenghini da Lallio, provincia di Bergamo, sei sorelle e due fratelli, i genitori gestori di una piccola osteria. Con i primi soldi guadagnati con l’Atalanta regalò un televisore da mettere nell’osteria, ma il padre gli disse che non ne aveva bisogno … Questi personaggi dovrebbero essere oggetto di studio nelle scuole italiane. La sobria esultanza di Rivera andrebbe insegnata a quei ragazzini che a 8-9 anni si tolgono la maglietta e la gettano per terra dopo aver segnato un piccolo gol in una partitella tra amici. E come dice un mio caro amico, il gol di Marco Van Basten nella finale degli Europei 1988 andrebbe insegnato nelle ore di Storia dell’Arte.  Riccardo (con l’ispirazione di Ferdinando)